< PER LIQUIDARE I POPOLI SI COMINCIA CON IL PRIVARLI DELLA MEMORIA. SI DISTRUGGONO I LORO LIBRI, LA LORO CULTURA, LA LORO STORIA. E QUALCUN ALTRO SCRIVE LORO ALTRI LIBRI, LI FORNISCE DI UN'ALTRA CULTURA, INVENTA PER LORO UN'ALTRA STORIA. DOPO DI CHE IL POPOLO INCOMINCIA LENTAMENTE A DIMENTICARE QUELLO CHE E' E QUELLO CHE E' STATO. E IL MONDO ATTORNO A LUI LO DIMENTICA ANCORA PIU' IN FRETTA. >> [ MILAN KUNDERA ]
IN MEMORIA DI SILVIO VITALE
Effedieffe edizioni
28/05/2005
Un numero dell'Alfiere
Gli esponenti della destra cattolica sono in lutto per la morte di Silvio Vitale, geniale studioso della tradizione italiana, politico coraggiosissimo, fondatore della rivista "L'Alfiere" e animatore di magnifiche avventure della cultura italiana anticonformista.
Gli uomini che con coraggiosa ostinazione dichiarano l'appartenenza alla cultura di destra – alla destra ideale, dal momento che qui non si ragiona della destra ufficiale, la destra senza passato e senza futuro e perciò priva di debiti e di crediti – i tradizionalisti, si diceva, hanno un debito ingente nei confronti di Silvio Vitale.
Alla vocazione avanguardista di Vitale, al suo coraggio, alla sua creatività, alla sua straordinaria interpretazione del ruolo di organizzatore culturale, si deve la scoperta e la valorizzazione di quella luminosa tradizione italiana che rappresenta l'arma vincente di coloro che si accingono ad affrontare le grandi sfide dell'età postmoderna.
A Vitale compete il titolo di restauratore del tradizionalismo italiano: egli ha infatti avviato un movimento inteso a liberare la cultura della destra dalle desolanti incrostazioni prodotte dalla speculazione ottocentesca (massonica) intorno ai miti dell'illuminismo e del cosiddetto "risorgimento".
Nel primo numero de "L'Alfiere", pubblicato nella drammatica estate del 1960 Vitale, rivendicando l'opposizione del Meridione "sanfedista" all'ideologia del "risorgimento", rammentava "che troppe delle idee che oggi imperano sono la risultante di quello che si disse e si scrisse un secolo fa… chi accetta certe tesi dei liberali settari dell'Ottocento non può non trovarsi, oggi, spiritualmente preparato a cadere nella rete della cosiddetta cultura di sinistra".
Dall'insorgenza antiliberale de "L'Alfiere" e dall'incontro di Vitale con Francisco Elias de Tejada, ebbero origine alcune tra le più vivaci e innovative imprese della destra culturale: l'organizzazione dei congressi de "L'Alfiere", degli incontri di Civitella del Tronto e di Gaeta, dei grandi convegni della tejadiana Associazione dei giusnaturalisti cattolici, la promozione del premio Alianello, la fondazione delle riviste "Nuovo Ordine" e "La Quercia", la pubblicazione e la divulgazione delle principali opere di Antonio Capace Minutolo principe di Canosa, del cui pensiero fu lo studioso più autorevole.
di Effedieffe edizioni
Silvio Vitale, direttore della rivista tradizionalista napoletana
“L’Alfiere” è improvvisamente scomparso martedì 25 maggio. Ha vissuto
pienamente i suoi 77 anni, che non dimostrava minimamente, continuando a
lavorare su imponenti studi e ambiziosi progetti. Stava portando a termine
la traduzione del monumentale saggio di Francisco Elias de Tejada “Napoli
spagnola”, pubblicato da Controcorrente, di cui a breve sarebbero dovuti
uscire i due tomi conclusivi.
La sua figura, legata alla rivista “L’Alfiere” (che riprende il nome dal
romanzo-capolavoro di Carlo Alianello), è stata un faro per il
tradizionalismo napoletano: Silvio Vitale, rifiutando il semplicistico
aggettivo di “borbonico” che gli veniva costantemente affibbiato,
specificava che il concetto di tradizionalismo non si identificava
esclusivamente con l’ultima dinastia che aveva retto lo scettro di Napoli,
ma comprendeva tutto il pensiero che, nel corso dei secoli, la città ed il
regno avevano prodotto.
Ha partecipato alla guerra civile, è stato attivo nella politica (nel MSI,
ricoprendo le cariche di consigliere regionale e deputato al Parlamento
Europeo), nella vita culturale (tra l’altro organizzando l’annuale ritrovo a
Gaeta nella ricorrenza del 13 febbraio, giorno di resa della fortezza
borbonica), diventando amico personale di importanti (ancorché meno
conosciute) figure di studiosi come lo stesso Elias de Tejada e Attilio
Mordini ed ospitando sulla sua rivista, che dirigeva dal 1960, le più
prestigiose firme della cultura monarchica e tradizionalista.
Un altro dei meriti di Silvio Vitale è quello di aver contribuito a
riscoprire Antonio Minutolo, Principe di Canosa, figura emblematica della
cultura controrivoluzionaria, più realista del re e quindi “scomodo” anche
dopo la restaurazione: dopo il 1799 fu sul punto di pagare per aver cercato
di ripristinare il potere dei Sedili (le antiche circoscrizioni cittadine) e
dopo il definitivo ritorno dei Borbone fu allontanato dalla corte perché
rivelatosi ministro troppo zelante. Vitale ha tradotto in italiano corrente
alcuni suoi lavori (come il più citato che letto “I pifferi di montagna”):
lo svecchiamento ha molto giovato alla comprensione dell’opera del grande
incompreso (che finì a Modena, collaborando ad una rivista reazionaria con
Monaldo Leopardi, padre di Giacomo).
Anche negli ultimi tempi Napoli e la napoletanità erano al centro
dell’attenzione di Silvio Vitale: la sua ultima pubblicazione è uno studio
sugli stemmi del Regno di Napoli, dai Normanni ai Borbone, e la prossima
settimana si realizzerà il suo ambizioso progetto di un Istituto di Studi
Storici dedicato all’approfondimento della storia napoletana.
Con Silvio Vitale scompare una delle ultime figure di “napoletano
autentico”, di appartenente alla “hidalguia” della Napoli “quando era
Napoli”, come scriveva Francisco Elias de Tejada, che sul finire degli anni
‘50 lamentava la mancanza di intellettuali locali che (ri)conoscessero
l’importanza della tradizione culturale locale e non cercassero, da
“parvenu”, di accantonarla per sentirsi piuttosto “europei”. Tranne poche
eccezioni, rilevava lo studioso spagnolo, tra cui Antonio Altamura, Carlo
Curcio, Giuseppe Coniglio e lo stesso Silvio Vitale, che di lì a poco
avrebbe raccolto il “grido di dolore” di Elias de Tejada e, fondando
“L’Alfiere”, la rivista tradizionalista napoletana, fece per primo
rinascere, lui davvero, l’orgoglio di sentirsi napoletani.
Gianandrea de Antonellis