Vi sottopongo un'altra interessante analisi da Postpoll.it, a firma di Roberto Weber.

L’Italia uscita dalle urne: un paese a fluidità variabile
Scritto da Roberto Weber
martedì 16 maggio 2006


I limiti e le difficoltà dell’Unione nella campagna elettorale

Uno dei quesiti che ci ponevamo prima e durante la campagna elettorale che ci ha portato alle elezioni era legato agli spostamenti di voto che si erano verificati alle elezioni regionali del 2005? Si sarebbero ripetuti? Si sarebbero intensificati? Avrebbero investito anche le regioni che non erano andate al voto nel 2005 e segnatamente la Sicilia? Si sarebbero estesi in termine di intensità fino a toccare anche il Veneto e la Lombardia? Da queste domande dipendeva l’entità e l’estensione anche territoriale (quindi con effetti anche sul governo del Senato) della vittoria del Centro-Sinistra. Nessuno quindi metteva in discussione l’affermazione dell’Unione, tutti si interrogavano sulla sua perentorietà: avrebbe avuto il carattere netto assunto alle Regionali – e quindi alla fine avremmo ritrovato quel paio di milioni di voti di vantaggio che dall’alveo del centro-destra si erano spostati sui candidati Presidenti del centro-sinistra - oppure l’affluenza e il ritorno al voto di una vasta parte degli elettori del 2001 avrebbe reso meno netta la vittoria dell’Unione?

La risposta c’è stata - e come spesso accade - è andata aldilà delle previsioni e degli interrogativi: gli elettori che soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud si erano spostati da destra a sinistra hanno riconfermato la loro scelta (parrebbe che seppure di poco l’abbiano ‘rafforzata’), ma a questa ‘riconferma’ si è sovrapposto nell’insieme delle regioni italiane (con molta più forza in Friuli, Veneto e Lombardia e in Sicilia) un massiccio rientro al voto di chi aveva mancato gli appuntamenti amministrativi ed europei del 2004 – 2005, che è andato a ‘premiare’ in larga misura i partiti della Cdl. La tradizionale vischiosità dell’elettorato italiano caratterizzata da modesti passaggi fra le due coalizioni negli appuntamenti ‘politici’ che contano, esce quindi incrinata e tuttavia gli smottamenti assumono intensità ed estensione disuguali a seconda delle varie aree territoriali: forti al sud ma debolissimi in Sicilia, di buona intensità ma non marcatissimi nel centro-nord (includendo Piemonte e Liguria) ma esigui nel nord profondo (Friuli, e segnatamente Lombardia e Veneto).

Il tutto restituisce l’immagine non già di un’Italia ‘spaccata’, quanto di un paese a ‘fluidità variabile’ per zona territoriale e come vedremo, intensità abitativa, ceti e ‘generazioni’.


Blocchi sociali a confronto

Da questo punto di vista i dati appaiono piuttosto nitidi. Dal 2001 ad oggi si è prodotto un ri-orientamento del voto nel vasto universo del lavoro dipendente che ha come picco di intensità il comportamento elettorale delle donne che lavorano. Molto più improntato alla stabilità si rivela invece il comportamento delle fasce di popolazione in condizione non lavorativa (casalinghe e pensionati), in questo caso (pur in presenza di alcuni riequlibri) assistiamo ad una sostanziale ‘tenuta’ della Cdl.

Impermeabili e del tutto estraneo a dinamiche di mobilità elettorale si rivela invece il mondo del lavoro autonomo che come nel 2001 premia nettamente la Cdl.

Interessanti i rilievi sul genere e sull’età: più degli uomini, le donne nel complesso ‘spostano’ i consensi dalla Cdl all’Unione (il vantaggio del centro-sinistra fino ai 54 anni appare nettissimo), gli under 25 (grosso modo i figli di chi aveva fra i 15 e i 25 anni a metà degli anni settanta) premiano più nettamente l’Unione (le ragazze molto più dei ragazzi), chi gravita nelle aree urbane, piuttosto che nei centri con meno di 30.000 abitanti, nuovamente preferisce il centro-sinistra.


I fattori determinanti: L’offerta elettorale

Guardando ai dati – e in particolare ai dati del Senato – è difficile sottrarsi all’idea che il Centro-sinistra abbia smarrito un’occasione per allargare il suo vantaggio. Il rendimento dei due principali partiti che andavano a comporre l’Ulivo, appare infatti per molti versi deludente. Dall’analisi dei flussi elettorali sembra infatti che una vasta quota di elettori (più di 700.000) che alla camera aveva scelto l’Ulivo, nel passaggio di voto al Senato sia rifluita in larga parte verso la scheda bianca, ove non sia ‘tornata’ a votare Cdl. Curioso appare anche il ‘rendimento’ delle liste minori: ove esse vengono presentate (Codacons, Psdi, Socialisti etc) dal centro-sinistra, raccolgono mediamente lo 0,5% dei consensi. L’insieme lascia immaginare che forse quote significative di elettorato di centro-destra, non abbiano trovato – specie al Senato – ancoraggi adeguati dentro l’Unione, ancoraggi cioè che consentissero un passaggio ‘morbido’, privo del vincolo di una nuova appartenenza.


La campagna elettorale.

La cronologia della campagne elettorale, rinvia grosso modo a tre momenti: una prima fase fino alla terza settimana di gennaio centrata sull’affare Unipol; è probabile che la sedimentazione elettorale che si era andata creando fino ad allora, ne sia uscita almeno parzialmente incrinata. In quel momento vengono poste le premesse per un allentamento del vincolo di fiducia di una parte dell’elettorato con i Ds e con il suo Segretario. Una seconda fase che va fino ai primi di marzo, tutta fondata sulla sottolineatura berlusconiana, del sorpasso possibile o prossimo. Questo momento – vissuto inerzialmente dal centro-sinistra occupato a costruire le liste – può aver rappresentato un’ occasione di rimotivazione dell’elettorato di centro-destra. Una terza fase che arriva fino al voto, a sua volta suddividibile in due momenti: da marzo fino al primo confronto televisivo fra Prodi e Berlusconi (che vede il primo prevalere con nettezza), un secondo che comprende il secondo confronto (che segna la ‘rinascita’ di Berlusconi) e la tematizzazione esclusiva sulla presunta o reale volontà del centro-sinistra di introdurre nuove tasse.

Aldilà di insufficienze relative ai soggetti in campo, alle chiavi programmatiche, all’impatto sugli elettori, due fatti emergono con nitidezza: l’Unione rinuncia da subito a territorializzare la campagna consentendo che essa si avvii su un crinale totalmente ‘mediatizzato’ e quindi suscettibile di ‘vasti elementi di virtualita’; in nessun momento l’Unione detta l’agenda. Quindi il ‘come’ e il ‘cosa dire’ restano sempre saldamente in mano a Silvio Berlusconi.


Fear strategy

L’ultimo elemento di incrinatura del vantaggio dell’Unione è infine costituito dalla sapiente gestione che il Presidente del Consiglio Berlusconi, ha mostrato in relazione ad un’inedita – e certamente influente - caratteristica della campagna elettorale, qualcosa che definiremo ‘gestione dell’economia della paura’. La Cdl cioè introduce con sistematicità e forza, l’idea della ‘minaccia’ , della ‘sottrazione’, di un disegno punitivo nei confronti delle famiglie e dei piccoli risparmiatori da parte del centro-sinistra. Questa chiave di ‘fantasmatizzazione’ viene compresa in ritardo, sottovalutata o fraintesa da leaders e forze politiche di centro-sinistra, da analisti e sondaggisti in particolare che non riescono a configurare una adeguata strategia di risposta.


Conclusioni

L’Unione alla fine riesce a drenare una buona parte del consenso ‘sedimentato’, ma non coglie – e non colgono i sondaggi – la dimensione fluttuante, per quanto minima essa si sia rivelata. Alla base della rimonta della Cdl, come abbiamo osservato, c’è una pluralità di motivi: un ventaglio di offerta insufficiente (specie al Senato), la rinuncia a ‘territorializzare’ la campagna, la vulnerabilità rispetto ad una campagna ‘negativa’, una chiave progettuale che rinuncia (fin dal 2001) a entrare nelle contraddizioni del blocco sociale avversario.