Le rissose comari del centrosinistra

• da La Repubblica del 26 maggio 2006, pag. 1


di Francesco Merlo

Si beccano, ministri e sottosegretari del governo Prodi, come i capponi di Renzo, e sembra quasi che avevano più bisogno loro di tenere Berlusconi al governo di quanto bisogno avesse lo stesso Berlusconi di starci. E’ come se, dissolvendosi Berlusconi, quelli che ci sembrarono dei giganti contro “il tiranno", più coraggiosi di Gramsci, più astuti di Togliatti, piu eleganti di Einaudi, si fossero anch’essi dissolti nella loro vera identità che ora sembra fatta di chiacchiericcio, di dispetti, di appetiti, di false competenze sbandierate..., di questo coccodè da galline, insomma, che sta clamorosamente venendo fuori. E che oppone Bianchi a Di Pietro, la Bindi a Fioroni, la Turco a Mastella, Ferrero ad Amato, Rutelli a D'Alema... mentre Bersani non può affidare gli incarichi a chi gli pare “se no a D'Antoni che gli diamo?”.

E Visco annunzia nuove tasse.E Mastella dice: “Sto' a impazzi' con ste' deleghe; pensavo che avrei avuto quattro sottosegretari, invece sono cinque, e mo' come faccio?”. E intanto Prodi inutilmente cerca di zittirli tutti e nota sconsolato: “C'e troppa promiscuità dei politici con i giornalisti”.



Ma il problema non sono i giornalisti, nè è lecito sognare un impossibile silenzio stampa. Prima ancora che il Paese, Prodi deve governare i propri uomini. Dando per scontata la risaputa difficoltà di tenere insieme componenti politicamente diverse e a volte conflittuali, solo l'autorevolezza della leadership in un'Italia sempre più biscardiana può impedire che un governo di quasi cento uomini, si trasformi in un biscardismo non stop, dove tutti sentono il bisogno di partecipare comunque e sempre, di apparire coprotagonisti, di ritagliarsi il proprio quarto d'ora di retorica, di eccesso sgangherato, di esibizione orgogliosa, di fierezza fuori luogo, di polemica sopra le righe. Bisognerebbe insomma che ciascuno fosse sempre libero di parlare, ma che sempre fosse chiamato a rispondere delle cose che ha detto. Un capo deve sapere bacchettare, colpire e persino irridere, una per una, le invettive biliose e gli spruzzi di vanità. E mai con le minacce o con i richiami al silenzio collettivo, ma con il carisma, questa virtù misteriosa che ti rende leader.



In molti hanno studiato, ma nessuno ha ancora capito cosa sia questa specie di magia che spinge la gente a riconoscere qualcuno come leader, aldilà del ruolo che occupa;e cosa sia esattamente la forza che ti convince ad affidarti al tuo leader anche quando non condividi le cose che sta facendo, perchè senti che comunque le sta facendo nel migliore dei modi, e non solo tecnicamente, ma anche moralmente. Ebbene, il pericolo è che questa fragilità del nuovo potere di centrosinistra, che non riesce ad essere nè tragica nè simpaticamente comica, diventi la fragilità di un capo che troppo ha concesso ai partiti e ai partitini, alle correnti, ai leaderini, alla mediocrità del Cencelli.



Venuta a mancare la tensione dell'antiberlusconismo, nel rilassamento generale, si è purtroppo aperta la stagione dei cicaleccio e delle liti da comari, a partire da Massimo D'Alema e Francesco Rutelli che, dopo aver dato per cinque anni lezioni di bon ton e di politesse, ora si disputano le stanze da occupare al terzo piano di Palazzo Chigi con un'allusione obliqua alla propria superiorità. D'Alema e Rutelli infatti sono entrambi vice presidenti del Consiglio. Ma il problema è matematico e geometrico piuttosto che politico: ci sono più persone che scrivanie, c'è più staff che spazio, ma anche più portaborse che borse e più portavoci che voci. E’ l'assenza di buoni maestri che moltiplica il fabbisogno di cattedre, con la funzione che prevale sull’organo. Come i toni si alzano quando mancano gli argomenti, così nulla è più vuoto di uno spazio troppo pieno. Ministri e sottosegretari si abbandonano ogni giorno a frasi che galleggiano, che stanno in mare aperto senza approdo, quasi sempre pronunziate di getto, con il tono concitato, nervoso e presuntuoso: sulla parata militare dei 2 giugno, sulla Tav, sui parchi, sui diritti alle coppie gay, sulla politica estera, su Gheddafi, Bush,Castro, l'Iraq, l'Iran, l'immigrazione... E l'uno è impegnato a fermare gli appetiti dell'altro in combattimenti da eroi omerici, con danze di guerra e squilli di tromba in tv e sui giornali. E di nuovo Prodi accorre con il suo sottosegretario Enrico Eetta a spegnere fiamme e fiammelle, ma lo Spirito e le buone intenzioni da soli non bastano a soffocare l'incendio del mondo, ci vuole la forza del pompiere che deve sì moderare i danni, ma per farlo deve sapere e potere spaccare tutto, sfondare una finestra, improvvisamente buttare giù un muro.



Stia attento Prodi, perchè la moderazione senza forza trasforma il pompiere in una figura negativa, un doroteo che perde tempo, un democristiano che deresponsabilizza, rimanda e tira a campare. Il pompiere modera i danni quando è coraggioso, sa camminare sui cornicioni e poi, di colpo, rompere i vetri con i pugni. Qui ci vorrebbe insomma uno Schwarzenegger con la testa di un Cavour, un Prodi con il fisico e la potenza di Primo Carnera.



E intanto il ministro Padoa Schioppa ha scoperto che nessuno dei suoi sottosegretari è in grado di leggere, di scrivere nè tanto meno di spiegare la Finanziaria. Giuliano Amato ha dovuto rassicurare l’ambasciatore della Libia per smentire la sua sottosegretaria Marcella Lucidi che aveva ridisegnato la politica estera dell'Italia con un attacco a Gheddafi. Un'altra sottosegretaria assegnata all'Interni, la comunista di Rifondazione Manuela Palermi ha annunziato la chiusura dei Centri di accoglienza “previsti dalla disumana leggeBossi-Fini”, e di nuovo Amato è stato costretto ad intervenire per spiegare che quella legge c'è e sarà applicata. l ministro dei Trasporti, il carneade del Pdci Alessandro Bianchi, quello che "il sessantotto mi ha preso di striscio” si è per l'ennesima volta lasciato intervistare dal Corriere della Sera e dopo aver spiegato al collega Aldo Cazzullo che la sua città ideale è l'Avana e aver raccontato "le forti emozioni” che gli ha procurato ”ascoltare per ore e ore il discorso del primo maggio di Fidel sulla Piazza Grande” ha sentenziato che il Ponte sullo Stretto è un'opera inutile e dannosa, ha ribadito le sue perplessità sull'alta velocità che forse "non è compatibile”, anche perché “comunque il futuro è nel Mediterraneo”, naturalmente attraversato con il "ferribbott".



Il ministro Rosy Bindi polemizza con Rutelli: lei dice che i Pacs si faranno, lui replica che no, non si faranno. Ma la Bindi ha intanto aperto un secondo e un terzo fronte di guerra. Vuole strappare le deleghe sulla famiglia dalle mani del ministro Ferrero. Perchè? Ma perché le spettano! Convinta di subire ingiustizie, si è sfogata in tv: "Prodi ha dato l'istruzione a Fioroni e non a me perchè lui è un signore delle tessere mentre io di tessere ne controllo solo una, la mia”. Ed è questo della Bindi una specie di complesso di superiorità, l'idea di essere maltrattata dalla mediocrità del mondo, il narcisismo difensivo che ci eravamo illusi fosse tipico solo del berlusconismo e che invece ora porta la Bindi a sentirsi superiore ai colleghi, ai condomini, alla propria epoca: “Un cavallo male impiegato” come un giorno disse dise Silvio Berlusconi.



Alla fine tutti hanno capito che Prodi ha deciso di rinviare al primo giugno il Consiglio dei ministri perchè deve ridisegnare le deleghe. Si trova infatti con sette ministeri da rifare ed e la prima volta che il rimpasto si fa prima del pasto. Insieme agli scontati problemi politici ha davanti a sè cento problemi di psicanalisi, una collettiva malattia infantile, un malessere che potrebbe pure contagiarlo, sino alla percezione di far parte a pieno titolo di una realtà mediocre che vorrebbe zittire perchè non riesce a governarla.