Domenico Savino
28/05/2006
Per fare un vangelo gnostico occorrono alcuni ingredienti.
Pochi, in verità, ma quasi sempre gli stessi.
Vediamoli:
1) anzitutto una conoscenza esoterica, cioè non valida per tutti, ma destinata ad una ristretta cerchia
di iniziati.
Detta conoscenza non coincide affatto con il sapere, o con la scienza o la cultura, ma esprime una forma di consapevolezza «profonda» delle cose e del loro essere, in maniera da superare la loro apparente contraddittorietà e divisione.
Detta conoscenza non viene acquisita tanto sui libri o sui testi, ma attraverso esperienze iniziatiche che innalzano l’adepto via via a gradi più segreti e profondi della «verità» occulta.
E’una precisazione necessaria questa, anche per rispondere all’obiezione di lettori che ci rimproverano una sorta di «oscurantismo» verso la conoscenza, ricordandoci come tutta la teologia tomista parta da presupposti di conoscenza profonda: «tutto questo gran parlare di gnosi e gnostici - ci scrive per esempio un lettore - e della ricerca della conoscenza è un male? Ma allora che si deve fare? Si deve rinunciare alla ‘conoscenza’ e alla ragione? Il cristianesimo e il cattolicesimo sono contrari alla ‘conoscenza’? Ma la Scolastica e Tommaso d’Aquino? I Dottori della Chiesa hanno vissuto invano?».
Il lettore avrà forse ora compreso che altro è il sapere speculativo della filosofia (peraltro considerata dalla scolastica ancilla della teologia) ed in particolare della metafisica, altro il «conoscere ermetico» di quella particolare forma di conoscenza che è la gnosi, sapienza iniziatica, non-razionale, non-logica, occulta, magica, esperienziale, segreta.
2) Secondo elemento della Gnosi è un dualismo assiologico tra bene e male, in base a cui lo spirito è Bene e la materia è Male e che svaluta conseguentemente e radicalmente il mondo sensibile, considerato appunto come regno del «male» e delle tenebre.
3) Terzo elemento è una cosmologia che presuppone un’unità originaria indistinta («pleroma») dove da un Dio originario e inconoscibile vengono emanate coppie di esseri celesti (eoni).
Man mano che gli eoni si allontanano dal divino divengono meno perfetti.
La «caduta» fuori da questa unità di un eone, con la successiva nascita di un dio malvagio («demiurgo») che, direttamente o tramite i suoi collaboratori (arconti) opera, è alla base della creazione del mondo materiale e dell’uomo.
Il «demiurgo», creatore della materia, nel creare l’uomo vi ha imprigionato la scintilla divina, sicché essa è nell’uomo paragonabile all’oro caduto nel fango, che si sporca, ma rimane oro.
La permanenza nell’uomo di questa scintilla divina, che può essere ravvivata attraverso la «conoscenza», permetterebbe però ad alcuni di risalire dal mondo della materia e della finitudine fino al mondo divino delle origini.
4) Quarto elemento è dunque il primato della conoscenza (conoscenza esoterica ed ermetica - precisiamo!) su qualunque altro mezzo di «salvezza» per l’uomo, sia esso la legge, il rito, la pietas religiosa e più tardi, con l’opposizione all’ortodossia cristiana, la fede.
Ciò comporta la sostituzione dell’idea di Salvezza con l’«illuminazione», della redenzione da parte di Dio con l’autorendenzione da parte del «sé», della resurrezione del corpo con la liberazione dal corpo e la sua dissoluzione e, in quanto parte dell’opera malvagia della creazione demiurgica.
5) In conseguenza di ciò la figura del Cristo non è più quella dell’Agnello di Dio, della vittima sacrificale offerta per la salvezza dell’umanità: il Cristo cessa di essere il Salvatore per trasformarsi in «illuminatore», in portatore di luce: è il Cristo-Lucifero, l’angelo di luce che secoli dopo sarà tanto caro al deismo illuministico e che verrà raffigurato sulla colonna di piazza della Bastiglia a Parigi come il «genio» con la stella fiammeggiante sulla fronte.
E’ colui del quale Isaia (14, 12-14) dice: «come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!».
6) L’inversione di polarità si riflette immediatamente nel sesto elemento tipico della gnosi, che è l’indifferentismo morale: non esistono un «bene» ed un «male» ed anzi essendo il «male» stato creato dal «demiurgo», l’uomo non ne è responsabile ed è inutile resistervi: anzi il praticarlo può talvolta addirittura costituire la «via» privilegiata per il ritorno al «divino».
7) All’interno dei Vangeli gnostici, poi, una figura essenziale è quella dell’«illuminato», di colui cioè che avrebbe ricevuto da Gesù segretamente la vera dottrina cristiana, dottrina che, all’opposto di ciò che hanno inteso gli altri discepoli, non è quella della Salvezza e della resurrezione della carne, ma quella dell’«illuminazione» e della dissoluzione nel «pleroma».
Peccato che - visto il numero dei vangeli gnostici e delle rivelazioni ricevute «segretamente»
(si fa per dire!…) ora da questo ora da quel discepolo - Gesù quella dottrina l’avrebbe in realtà rivelata a tutti o quasi.
Se nel vangelo di Giuda è scritto infatti: «allontanati dagli altri, a te rivelerò i misteri del Regno», in quello di Tommaso si dice: «questi sono i detti segreti pronunciati da Gesù, il Vivente, e scritti da Tommaso detto Didimo».
Dopo mesi di preavviso, quasi in coincidenza con la settimana santa, con una copertura mediatica senza precedenti nell’archeologia biblica, con tanto di diretta in mondovisione sui canali del network «National Geographic» è stato presentato alla stampa - per i tipi della stessa «National Geographic» - «Il Vangelo di Giuda» (o meglio quel che ne resta, vista l’approfondita attività di «scavo» di acari e muffe), apocrifo gnostico di cui già Ireneo di Lione nel suo «Contro le Eresie» scriveva: «[Secondo i Cainiti] solo Giuda il traditore conosceva la Verità come nessun altro e per questo ha realizzato il mistero del tradimento, in seguito al quale tutto, in terra e in cielo, rimase sconvolto. Essi hanno dunque prodotto una storia fondata su dette basi e l’hanno chiamata Vangelo di Giuda».
Il vangelo di Giuda non era dunque sconosciuto, anzi era il «testo sacro» dei Cainiti, una setta gnostica che - ovviamente in quanto tale - credeva che il dio (o «demiurgo») del Vecchio Testamento fosse malvagio e ostile all’umanità.
In conseguenza di ciò non deve stupire che i Cainiti venerassero tutti i personaggi della Bibbia, oppositori del Creatore, come Esaù, Cam, gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e soprattutto Caino (da cui appunto il nome della setta), l’eone decaduto per colpa di sua madre Sophia (Eva) e quindi il personaggio depositario della gnosi.
Altro importante riferimento dei Cainiti era ovviamente Giuda: fin qui si sosteneva che la loro predilezione per l’apostolo maledetto fosse ascrivibile o al fatto che Giuda avrebbe creduto Gesù Cristo un agente del «demiurgo» malvagio o, al contrario, che il «demiurgo» volesse impedire la morte di Gesù, per rendere vano il Suo intervento come Salvatore/«illuminatore», sicché: il ruolo di Giuda sarebbe stato fondamentale per consentire a Gesù di compiere la sua missione.
In realtà, molto più banalmente il vangelo di Giuda ripercorre il paradigma della dottrina gnostica ed elogia Giuda poiché, consegnando Gesù perché fosse crocifisso, avrebbe consentito di dissolvere il suo corpo: «tu [Giuda] li supererai tutti - dice Gesù - perché tu sacrificherai il corpo che mi riveste».
I Cainiti, inoltre, come altri gnostici credevano che fosse possibile ottenere la salvezza passando attraverso ogni sorta di esperienza, anche sessuale e spesso assumevano un forte atteggiamento antinomistico, praticando, cioè, tutti gli atti proibiti dalla Legge (non a caso disprezzavano Mosè).
A ben vedere, dunque, il contenuto del vangelo di Giuda non costituisce affatto una novità né rispetto a ciò che già se ne sapeva, né rispetto allo schema classico dei vangeli gnostici.
C’è da domandarsi allora il motivo di tanto clamore, tale - secondo i promotori della campagna pubblicitaria della «National Geographic», che ne ha accompagnato la pubblicazione - da «fare impallidire il Codice da Vinci».
Certamente un Cristo come quello del vangelo di Giuda è tagliato apposta per i teorici del «mondo nuovo».
Un Cristo illuminato e illuminista, che spazza via d’un tratto con la sua dottrina segreta il bimillenario «oscurantismo clericale» e svela al mondo una dottrina inedita, ma identica a quella dei grandi «iniziati» e fondatori di altre religioni è l’ideale per un progetto mondialista e sincretista.
Un Cristo che riprende la teoria primordiale della dissoluzione del corpo come mezzo per liberare la scintilla divina che è in noi, un Cristo che considera il corpo come pura prigione dell’anima, un Cristo che non risorge, un Cristo così straordinariamente spiritualista, è veramente l’altra faccia della medaglia del Cristo carnale e libertino del Codice da Vinci.
In fondo in entrambi i casi il cristianesimo, pur continuando ad apparire come portatore
di «forti istanze etiche», smetterebbe di essere quella fastidiosa pietra di inciampo sul cammino della «modernità» e anzi potrebbe aspirare a contribuire a creare il «mondo nuovo»… il «mondo a venire».
Per contro insistendo nel rimanere ancorato al suo dogma specifico, a Gesù unico salvatore del «mondo», a quella «materialistica» idea di resurrezione del corpo, a quei rigidi precetti morali, a quei fastidiosi tabù sessuali, il cristianesimo, specie se cattolico, appare inidoneo ad apparire adeguato ai cambiamenti inevitabili del «mondo nuovo»… del «mondo a venire».
Questo «fondamentalismo» cattolico presuppone infatti di perseverare nei comandamenti, per conoscere una verità, che ci rende liberi.
Esattamente l’opposto di chi, praticando indifferentemente ogni cosa, è libero solo di adeguarsi a ciò che accade, senza più libertà di scelta, né di tornare indietro, come capitò a Giuda, quando provò a restituire i trenta denari: «allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: ‘ho peccato, perché ho tradito sangue innocente’. Ma quelli dissero: ‘che ci riguarda? Veditela tu!’».
Si sa che per i detentori del potere nulla è più insidioso di uomini liberi, nulla più gradito di servi comprati per pochi sicli d’argento.
La sorte di Giuda è la sorte di chi al tradere (da cui «tradizione») ha preferito il tradire, cioè il venir meno al destino più esigente (quello di trasmettere senza contaminare ciò che si è ricevuto), vendendo invece la Verità per denaro o potere, consegnando l’Innocente perché venga sacrificato.
Un Cristo che esaltasse invece il peccato ed il tradimento come mezzi possibili per raggiungere la Verità, che esaltasse l’annientamento del corpo anziché la sua resurrezione (proprio in un mondo come il nostro che esalta il corpo per dissolverlo poi comunque nella trasgressione) sarebbe un Cristo molto più plastico e funzionale all’anomia del «mondo nuovo», sarebbe un Cristo «nuovo» per un «mondo nuovo».
Un Cristo da riscrivere sarebbe un Cristo che consentirebbe alla Chiesa di lasciarsi alle spalle la propria intransigenza, la propria infungibilità, il proprio dogma, i propri antichi antagonismi: sarebbe una Chiesa che, mettendo in discussione il proprio Capo, dovrebbe mettere in discussione anche se stessa, il Corpo Mistico.
Davvero ha stupito il clamore mediatico del vangelo di Giuda, con quei milioni di dollari impiegati per restaurarlo e renderlo conoscibile al mondo.
E non è certo casuale che la sua presentazione sia avvenuta quasi in concomitanza con la ricorrenza della Settimana Santa e con poche settimane di anticipo sull’uscita del film «Il Codice da Vinci».
Ciò che ha colpito, visto l’asserito valore scientifico del documento, è che esso sia stato dato in pasto al grande pubblico, senza che fosse minimamente accompagnato da una seppur breve introduzione al contesto in cui il documento venne redatto, senza fornire al lettore un minimo di contestualizzazione storico-sociologica, rappresentandolo invece da subito come un vangelo che offriva la versione alternativa a quella ufficiale da sempre proposta dalla Chiesa.
Se è vero che è il titolo che fa il pezzo, Alberto Flores D’Arcais su La Repubblica chirurgicamente titola: «Fu Gesù a dirgli di tradire - Riletta la vicenda dell’uomo che vendette Cristo: qui diventa il discepolo più fedele», mentre Aristide Malnati su La Stampa parla de «la rivincita dell’apostolo»…rivincita - si intende - contro la Chiesa.
La «National Geographic» ha pubblicato, in contemporanea con la divulgazione del documento due volumi, il primo di Rudolph Kasser, Marvin Meyer e Gregor Wurst dal titolo «Il Vangelo di Giuda», con commento di Bart Ehrman ed il secondo, sempre con prefazione di Bart Ehrman, di Herbert Krosney con il titolo «Il Vangelo perduto».
Bart Ehrman non è un Carneade qualsiasi, è uno studioso del cristianesimo delle origini ed è divenuto celebre in Italia per avere scritto un testo che confuta il libro di Dan Brown, dal titolo
«La verità sul Codice Da Vinci - Un grande storico svela tutti i segreti del libro che ha affascinato il mondo» (Mondadori, 2005).
Il volume è stato salutato con un certo entusiasmo dagli avversari del «Codice», perché demolisce scientificamente gli assunti su cui il racconto di Brown pretende di fondarsi ed è pure citato nel sito dell’Opus Dei, come uno di quelli più autorevoli in tal senso.
Ma questo non deve indurre in errore, perché la demolizione dell’opera di Dan Brown si accompagna in Ehrman ad un certo modo di dipingere la formazione del canone neotestamentario, presentato come frutto di una sordida lotta di potere, in cui l’insegnamento di Gesù Cristo viene assimilato ad una mera diceria, portata avanti da un gruppo di settari fanatici.
Sembra quasi che il vero intento di Ehrman non sia quello di smascherare le falsità del Codice da Vinci e di ristabilire la «verità», ma quello di dare una definitiva spallata alla fede cattolica, sicchè con la scusa della «verità», egli liquida il cristianesimo come una delle tante false religioni.
Il risultato è che Ehrman, accreditato col titolo di storico rigoroso, si pone come il vero ed unico paladino della «verità», col rischio di suscitare una enorme confusione nel lettore disinformato, che potrebbe arrivare a considerare gli insegnamenti della Chiesa come un mucchio di menzogne propinate ad uso e consumo dei creduloni… paradossalmente rafforzando così la tesi di fondo di Dan Brown, pur ufficialmente confutandola.
In uno dei due volumi sopracitati ed editi dalla «National Geographic», «Il Vangelo perduto» di Herbert Krosney, i riferimenti a Ehrman, che ne cura la prefazione, sono frequenti ed aiutano a comprendere quale disegno e quali «matrici» stiano dietro l’enorme pubblicità data al Vangelo di Giuda.
Nella prefazione Ehrman, riprendendo alcuni spunti delle tesi già esposte nel libro sul «Codice da Vinci», scrive: «in merito a Giuda, ogni autore del Nuovo Testamento aveva il proprio punto di vista e ha descritto le vicende che lo riguardano in base a quel punto di vista. Lo stesso fenomeno si è prodotto anche successivamente, quando cominciarono ad avere larga diffusione le diverse leggende su Giuda. Tra le più deteriori si distinguono quelle che conferivano rilievo all’etimologia del nome, collegata alla parola ‘giudeo’. Giuda, nel Medioevo, divenne sinonimo di ‘giudeo infedele’ (l’avido, assetato di denaro, ladro, ingannatore, traditore, ‘assassino di Cristo’). Alcuni studiosi moderni hanno cercato di riabilitare Giuda, ma sulla base di prove testuali poco convincenti. Tutte le documentazioni più antiche che si conoscano lo ritraggono, nel quadro della vicenda di Gesù, come l’incarnazione del male. Ma cosa accadrebbe se vi fossero altre rappresentazioni di Giuda che lo descrivono in termini positivi e che ne interpretano il comportamento in modo diverso da quello descritto nei quattro Vangeli che entrarono nel canone del Nuovo Testamento?».
E prosegue: «Il Vangelo di Giuda è qualcosa di più di un semplice testo gnostico. È un antico Vangelo che fornisce un’interpretazione alternativa della figura di Gesù in base al punto di vista di chi l’ha tradito. In questo resoconto, Giuda è l’iniziato più avveduto, quello a cui Gesù affida la sua rivelazione segreta. Giuda è l’unico discepolo fedele, quello che comprende Gesù, che riceve da lui la salvezza. Gli altri discepoli, come la religione che essi rappresentano, sono immersi nell’ignoranza. Come spero chiariscano queste brevi osservazioni, la visione trasmessa dal Vangelo di Giuda diverge dal solco del cristianesimo tradizionale […] è una visione alternativa di cosa significhi seguire Cristo e mantenersi fedele ai suoi insegnamenti».
Insomma per Ehrman il vero vangelo è quello di Giuda, che non sarebbe il traditore, ma l’unico apostolo fedele: «tradizionalmente, negli ambienti cristiani Giuda è stato di fatto associato ai giudei, non solo per via del nome, ma anche per certi attributi che nel Medioevo divennero stereotipi per denotare gli ebrei, come ad esempio il luogo comune che li rappresentava come traditori e avari o come coloro che tradirono Gesù. E ovviamente questa raffigurazione di Giuda avrebbe in seguito condotto, nei secoli, anche a orribili atti di antisemitismo […] Se Giuda non avesse tradito Gesù muterebbe nei cristiani non solo la considerazione della figura del traditore per antonomasia, ma anche di tutti coloro che ad esso sono stati tradizionalmente associati - principalmente gli ebrei. Per questo morivo, nel corso della storia, i cristiani hanno incolpato il popolo ebraico della morte di Gesù facendo di Giuda l’emblema dell’ebreo traditore. Ma qualora si dimostrasse che, nel compiere la sua missione, Giuda aveva agito secondo il volere di Gesù, muterebbe di conseguenza anche la concezione dei rapporti fra ebrei e cristiani […] Una volta accertata, la nuova versione dei fatti dimostrerebbe che la figura di Cristo si pone come elemento di continuità, anziché di rottura, con la tradizione ebraica. E se da un punto di vista storico Gesù non costituisce di per sé una frattura, la nuova versione accrescerebbe la consapevolezza della dipendenza reciproca fra le due religioni, che in tal modo non risulterebbero più storicamente distinte, ma potrebbero essere percepite come una sola e unica religione».
Secondo questa versione il «deicidio» consumato nei confronti di Gesù non solo non esisterebbe, ma andrebbe visto al contrario come la vera obbedienza al volere del Cristo e di Dio. Sarebbe Dio Padre a volere la morte del figlio Gesù.
Spiega Ehrman: «il Nuovo Testamento ci presenta un’immagine davvero contraddittoria di Gesù che avanza verso la propria morte. Da un lato, infatti, Gesù conosce il proprio destino, sa perché sta per morire e sa che non può evitarlo: egli muore per volontà di Dio. D’altro canto, le persone responsabili della sua morte, in primo luogo Giuda che lo ha consegnato ai nemici, sono oggetto di riprovazione. Ciò nonostante è lecito porsi una domanda: se Gesù doveva morire in ogni caso, era necessario che Giuda lo consegnasse. Non è forse questa la volontà di Dio? E, secondo questa logica, Giuda non ha fatto un favore a Gesù?».
Ehrman spiega perché questa conclusione dovrebbe avere un forte significato per coloro che credono nella fede gnostica.
«Nei primi Vangeli sono la morte e la resurrezione di Gesù che contano per la salvezza. Il suo corpo muore, e Dio lo fa resuscitare. La resurrezione del corpo è molto importante, e Gesù nei Vangeli di Matteo, Luca e Giovanni appare ai suoi fedeli per mostrare che è ancora vivo. Che il suo corpo è ancora vivo. Tutto questo è in contraddizione con ciò che accade nel Vangelo di Giuda, dove non si racconta nulla della sua morte, perché la sua morte non ha importanza. In particolare non si racconta nulla della resurrezione perché, nel Vangelo di Giuda, Gesù non risorgerà. Il corpo non tornerà in vita, poiché per Giuda ciò che conta davvero è che il corpo morirà, mentre lo spirito continuerà a vivere».
Così conclude Krosney: «il Vangelo di Giuda non parla del tema del tradimento, perché Giuda non tradisce il suo maestro: piuttosto compie la sua volontà. La figura di Giuda sovrasta quella degli altri discepoli, che restano sullo sfondo. Giuda è lo strumento prescelto da Gesù per il compimento della sua volontà. Il racconto degli ultimi giorni di Gesù, nella testimonianza del Vangelo di Giuda, non manifesta nessun accenno, nessun indizio di colpa collettiva. Non vi è alcuna calunnia insanguinata che possa attraversare la storia causando la diffamazione degli ebrei, i pogrom e l’Olocausto».
Le stesse cose scritte da D’Arcais su La Repubblica: «un testo destinato a fare discutere storici, religiosi e filosofi, un testo che fa giustizia anche dell’odioso e brutale antisemitismo che per secoli si è nutrito della vicenda-leggenda di ‘Giuda il Traditore’».
Il motivo di tanto misterioso successo mediatico del vangelo di Giuda, ora, pare molto più chiaro… Come si dice a Napoli: «‘ccà nisciuno è fesso».
Domenico Savino
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