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> Esclusiva italiana <


Perù, la nazionalizzazione secondo Ollanta Humala


Un comizio alla periferia di Arequipa, tra gli applausi che la “base” tributa al candidato dell’ “Unión por el Perú” (Upp). L’incontro ravvicinato con uno dei personaggi politici più discussi del panorama continentale. Due domande al volo e due risposte, chiare, per i lettori di Selvas.org.


Dall’inviata Diletta Varlese, per Selvas.org


12 maggio 2006.


Perù, Arequipa, sud-est della cordigliera andina. In uno spiazzo c’è un camioncino, di quelli con le sponde ribaltabili. Due altoparalti e tre luci ne fanno un improbabile palco attorno al quale si affanna un gruppo di uomini con i soliti denti incastonati d'argento e la t-shirt rossa con su scritto "Amor por el Perù", lo slogan dell' Unión por el Perú’ (Upp), il partito di Humala.


«El comandate va a llegar en un ratito», fra poco "il comandante"(Humala) arriverà, ripetono al microfono per calmare la folla che si accalca attorno, riempiendo quello spiazzo in cui si muovono, di norma, cani randagi tra i cumuli di immondizia, bambini sporchi di pochi vestiti, donne con qualche dente su un largo sorriso, trecce lunghe e nasi aquilini che adesso fanno la spola tra impossibili baracchini che friggono "fideos y chicharon", pasta scotta e salsiccia, un pasto che costa appena un sol (circa 25 centesimi di euro).


Aspettano, aspettiamo, il “comandante”, Ollanta Humala, uno dei due candidati alla Presidenza della Repubblica peruviana che terrà proprio qui il suo comizio. Fa uno strano effetto pensare che uno dei protagonisti della cronaca dell’intero Latinoamerica salirà su quel camioncino sgangherato, mentre l’aria si impregna di fumo acre e del cattivo odore dei rifiuti, ma sappiamo che è proprio in questi quartieri peruviani che Humala ha la sua base elettorale, proprio in posti come questo, lontani dal "paseo" del centro cittadino, lontani dai ristoranti per i turisti o dai lustrini delle vetrine alla moda. E’ qui che va forte "il comandate", cosi detto per via della sua vita da militare. Si fa chiamare esattamente come Hugo Chavez, ma senza sventolare un basco rosso.


Eccolo. Applausi, urla, la folla ondeggia. Inizia il comizio, il candidato sbandiera il programma di nazionalizzazione, ma senza disdegnare l’apporto che possono dare le compagnie multinazionali, proponendo accordi che comportino maggiori profitti per il Perù. Chiede rispetto della sovranità, Ollanta Humala, ammorbidendo dunque i suoi discorsi più radicali di qualche settimana fa. Sicuramente un modo per allargare il consenso, conquistando così anche la fiducia della classe media, preoccupata che una possibile “cacciata” delle imprese straniere causerebbe la perdita degli investimenti stranieri con la conseguente chiusura di uffici, fabbriche, industrie una delle accuse più forti mosse dall’altro candidato, Alan Garcia, dell’Apra (Alianza Popular Revolucionaria Americana).


Ma qui, in questa piazza, ogni volta che il comandante pronuncia la parola “nazionalizzazione” vengono giù lunghissimi scrosci d’applausi. E Humala questa parola la dice davvero molto spesso.
Non vogliamo fare propaganda, qui non ci interessa il suo discorso alla piazza. Preferiamo riportare quello che ha detto al nostro registratore, lontano dagli altoparlanti, lontano dalle luci e dagli occhi sgranati della sua gente.
Un brevissimo incontro, giusto il tempo di porgergli due domande, secche ma chiarificatrici sui temi portanti della sua campagna elettorale.


Cosa intende esattamente per "nazionalizzazione"?
«Nazionalizzazione vuole dire far partecipare lo stato alle attività strategiche. Per partecipare lo stato deve partire da un principio basilare che è quello secondo il quale le risorse naturali del paese, tanto quando sono ancora nel sottosuolo che quando vengono estratte, sono di proprietà dello stato peruviano, che rappresenta il popolo peruviano. Qui sta la differenza tra il mio programma e quello dei neoliberali che danno un significato giuridico al concetto che le risorse naturali del paese sono dei peruviani quando restano nel sottosuolo, mentre quando escono sono di chi li ha estratti. E quello che si vuole fare è semplicemente nazionalizzare le risorse del paese. Come dire… le danno una caramella che si chiama petrolio, ed è sua finchè è incartata, ma se lei la scarta, diventa mia».


In Europa la parola "nazionalismo" fa molta paura, ma qui la si intende in modo diverso. Può spiegarlo Lei ai nostri lettori europei?


«In Europa si e' vissuta l’amara esperienza delle estremizzazioni del nazionalismo che crearono una grande alleanza di grandi capitali, trasformandosi in imperialismi, che poi si chiamarono fascismo e nazismo, e che terminarono in una catastrofe, una guerra mondiale che nessuno vuole ripetere. Nel nostro caso, il nostro nazionalismo è la lotta per l'indipendenza reale del nostro paese. Se ci riferiamo al contesto europeo, direi che la richiesta di nazionalismo in Perù somiglia alla richiesta di quei popoli che furono soggiogati dai diversi tipi di imperialismo e che dovevano decidere tra l'essere colonie di questi imperi, o lottare per la propria indipendenza e la propria sovranità. Questo è il nostro
nazionalismo. Il nazionalismo in Perù chiede il recupero della sovranità delle risorse naturali, ed il recupero della capacità dello Stato di mettere in atto politiche a favore dell’educazione, della salute, della sicurezza e della qualità di vita per tutti i peruviani».
Il 4 giugno, data delle elezioni, non è lontano. E noi saremo qui per vedere come si concluderà questo lungo, estenuante, periodo elettorale in Perù».


...E in un bar al centro di Arequipa, la classe media svela il volto intimo del Perù a due settimane dalle elezioni.


Siamo in un bar come ce ne sono tanti, con la gente che si trova in un qualunque bar alle 8 della mattina.


Accanto alla nostra tazza di caffé tre uomini, ben vestiti, esponenti di quella che possiamo chiamare classe media, chiacchierano animatamente sulla "segunda vuelta", la seconda tornata elettorale peruviana. “Io non voto per certa gente, capite?”, dice uno dei tre apostrofando pesantemente uno dei candidati, Alan Garcia, ex-presidente dal 1985 al 1990, appartenente all’APRA, il partito politico più antico in Perù.
Questo primo interlocutore, capiamo dai suoi discorsi, ha una piccola azienda. “Forse sarà una scommessa, ma voterò Humala”, aggiunge. Gli fa eco l'uomo seduto al tavolo accanto, un dermatologo: “Gli Stati Uniti hanno sempre voluto alla presidenza il candidato che gli ha fatto più comodo, e Alan Garcia è il loro protetto".
A far da cornice a questi discorsi, i titoli dei giornali che gridavano allo
Scandalo contro la sospensione del visto d’ingresso negli States a Ollanta Humala.
Commentando il fatto con i primi due, un terzo uomo prosegue: “Vedrete che questa mossa porterà più voti a Ollanta perché la gente sente puzza di bruciato quando gli Stati Uniti si intromettono… alla gente non piace".
Ricapitoliamo. Mentre prendevamo il caffé, abbiamo sentito il parere di un medico, di un agente turistico e di un impresario. Magari non rappresenteranno tutti i 18 milioni di elettori, ma certamente, visto che non sapevano di essere “ascoltati” da orecchie interessate, possono essere considerati esempio del pensiero di una classe sociale che certamente non rappresenta lo zoccolo duro di Ollanta “el comandante”.
Humala parla di nazionalizzazione, dice di non voler scendere a compromessi con
le multinazionali, di non volere un TLC così come proposto dagli Stati Uniti, lo stesso che il presidente Toledo ha accettato. Humala guarda con simpatia a Chavez e Morales e dichiara, facendo eco ai due colleghi, di volere restituire tutte le ricchezze del territorio peruviano ai peruviani. Chiede di poter finalmente esercitare la sovranità dello stato sulle sue risorse, senza doverle svendere al primo offerente. Uno dei suoi slogan, infatti, recita "la costa, la sierra y la selva no se vende" (la costa, la montagna e il bosco non sono in vendita).


In un paese dove, come ci dice l'analista Raul Winer, “l'unico capitale che conta è quello straniero, non le risorse, non la forza lavoro, non la produzione nazionale”, è ovvio che il programma di Humala scateni il panico, almeno a detta dei quotidiani, del 95% dei quotidiani.
Ma a sentire quello che dice la stampa da queste parti si corre il rischio di commettere errori madornali. Ad esempio, a detta della stampa, Alan Garcia avrebbe già vinto, e la casse media proverebbe "odio", testuali parole, nei confronti di Ollanta Humala e delle sue idee alternative che “vogliono destabilizzare l'ordine neoliberale delle cose”.


Noi però abbiamo ascoltato parole diverse, in un caffé come tanti, in una cittadina di provincia come Arequipa, tra le strade in cui si muove la gente comune, là dove si ascolta una storia diversa. (d.v.)