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Discussione: Branca d'affari

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    Predefinito Branca d'affari

    Branca d'affari



    ALTRI MONDI

    L’Honda SH di Marco Branca è posteggiato sempre in zona San Babila. Il casco nel bauletto, il sorriso ai cronisti che aspettano sotto la sede dell’Inter. Moratti è l’atteso, Branca è il segnale che il presidente sta per scendere. Preparate i microfoni. “Bella giornata, eh?”. Marco mette in moto e parte. Ha già tutto in mente, ha già parlato, ha già ascoltato. Il gol di Sneijder è lo schema che torna: sette giornate di campionato e hanno già segnato Milito, Eto’o, Lucio, Thiago Motta, Sneijder. Che vuole di più? I gol del calciomercato, i gol di Branca. Non basta, certo. Qui, a Milano, serve solo vincere e stavolta potrebbe non essere sufficiente neanche lo scudetto. Il mercato serve a questo, Marco serve a questo. Prendi i giocatori che ci fanno arrivare dove vogliamo, gli dicono anche senza dirglielo davvero. Allora Branca è un’ombra che si muove con delicatezza, diplomazia, che tratta ogni giorno dell’anno, che parla poco, che compare a un certo punto perché Mourinho è stato espulso: “Perché ci sono io? Perché il mister è stato espulso, tra l’altro ingiustamente, e quindi eccomi qui. Parlo io con voi. Non è che mi occupi di tennis, tra l’altro. Mi occupo di calcio, lavoro all’Inter, qui rappresento il club e la squadra”. Ha vinto quel giorno contro il Cagliari: Milito-Milito. Due gol di Marco. Come prima, come contro il Milan, la sua partita perfetta. Perché alla seconda di campionato ha già raccontato che il mercato interista ha funzionato: il derby è delle figurine vincenti. Cioè la vittoria del calciomercato.

    Cioè la vittoria di noi. Perché non importa la squadra, ma i sogni: chi compriamo oggi? Passiamo quattro mesi così, poi arriva Milan-Inter alla seconda di campionato e stiamo tutti a guardare: interisti, milanisti, neutrali. Branca è il protagonista oscuro, lo stratega dei desideri: Thiago Motta e Milito che segnano al primo derby di Milano della loro vita sono tutti i calciatori comprati, venduti, scambiati. Soldi e fantasie. Segnano loro e dietro si portano quest’estate fatta di pochi affari e di molte tentazioni. Una realizzata è stata Sneijder, titolare appena arrivato in Italia, cercato a lungo, voluto, pagato. Mercato, mercato, mercato. La dimostrazione che il calcio è bello anche quando non si gioca, perché siamo tutti presidenti e allenatori con la voglia di andare a scoprire un talento e a immaginare uno schema. Eto’o che segna e se non segna si procura il rigore, come accaduto proprio col Milan, sta qua dentro, nel ragionamento di una sfida di un mondo che gioca anche quando la palla sta ferma. Perché magari i campionati si vincono dove nessuno immagina: negli alberghi dove si sono chiuse le trattative del mercato. Qui c’è Branca e con lui quelli che fanno lo stesso mestiere in ogni squadra, in ogni città. Però prendi Marco: quanto l’ha voluto Motta? Era quello che voleva, era quello che cercava perché Mourinho gliel’aveva chiesto. L’Inter ha puntato su di lui e su Milito, prima di sapere che Ibrahimovic decidesse di andarsene davvero.

    E’ un gioco di ruolo: le carte che scegli ti diranno se vincerai o perderai. Non c’è certezza, ma un’equazione che può riuscire: se spendi bene, funzioni. L’Inter ha tirato fuori milioni incassandone di più e s’è ritrovata più forte di prima. E’ un disegno, uno schema, la piantina del successo. E’ la trigonometria del pallone, dove Mou è l’architetto e Branca è l’ingegnere. Cioè quello che firma il progetto che poi l’architetto trasforma in opera d’arte. L’Inter ti piace o no, ma è costruita come una squadra vera. Nessuno parla più di Ibra, per merito di Mou e pure di Branca. Basta muoversi e provare, trattare con gli altri club e con i procuratori. Serve alla gente che smania dalla voglia di pensare di aver comprato un campione. Milito, Motta, Sneijder, Eto’o, Maicon che non è partito. La partita perfetta di Branca è stata lì. La storia è qui. Il campionato sarà qui. Forse. Perché Sneijder che segna il gol decisivo contro l’Udinese in una partita difficile è la prosecuzione del discorso di Milan-Inter. Ha esultato, Marco. Vittoria, perché i gol così ti cambiano una giornata. Lo sa lui che la scrivania l’ha presa esattamente il giorno dopo essere uscito dal campo. Centravanti. L’avevano descritto così, una volta: “Soprannominato ‘il cigno di Grosseto’, dov'è nato il 6 gennaio 1965, Branca è un attaccante dalle movenze eleganti, tanto da essere spesso paragonato a Van Basten. La sua carriera calcistica comincia nella città natale, da dove nel 1982 si trasferisce a Cagliari. Quattro stagioni, tre delle quali in serie B. Poi si fa avanti l’Udinese, che lo lancia in serie A. E’ il 14 settembre 1986”. Eccetera.

    L’enciclopedia della vita, la biografia stereotipata con annesso soprannome già visto e terminologia da veteronozionismo. Però oltre questo c’era lui. Lui che dall’Udinese andò alla Sampdoria, nella stagione 1990, quella dello scudetto. “E’ chiuso da Vialli e Mancini”, scrivevano i giornali. Riuscì a fare venti presenze e cinque gol. Poi Firenze e la coppia solo ipotetica con Batistuta. Non decollò mai quella storia: “Avevo a che fare con personaggi piuttosto estrosi”. Udine di nuovo, poi Roma, anzi Parma, in prestito, cioè scaricato dal club all’inizio del campionato: “Soltanto il presidente Sensi è stato leale e coerente con me”, disse all’epoca. Finì anche quell’esperienza e cominciò quella di Milano. Ecco, non è mai finita. Giocatore e dirigente. Branca è l’Inter senza esserlo. Perché c’è dentro fino all’ultimo ciuffo, ma all’apparenza non è intruppato, sembra vivere in un mondo che gli appartiene con distacco, invece ne è protagonista: la rete degli osservatori, il circolo degli amici, le discussioni con i procuratori. Direttore tecnico, cioè l’uomo degli uomini: vede e compra, vede e vende. Però mica solo questo. Per esempio, il caso Adriano. Marco era quello che lo aiutava, era la spalla, era l’appoggio. Sapeva senza parlare. Il calciatore l’ha raccontato pochi giorni fa: le bevute, la follia dell’arrivo agli allenamenti direttamente dalla notte nei locali, la voglia di non avere voglia, il logorio dell’atleta. Branca ha gestito una situazione complicata, fatta di amici sbagliati e di un malessere interiore che non poteva conoscere fino in fondo.

    Adriano dice di essere rinato, ecco forse deve fare un sorriso a Branca ogni tanto che non ha la fama di simpatico e neppure la nomea dell’amicone, però dentro l’Inter fa funzionare la sua parte di mondo. Dici: facile fare l’uomo mercato. Perché certo l’Inter c’ha i soldi, l’Inter compra, l’Inter paga. Però quanti acquisti ha sbagliato negli ultimi dieci anni? L’abbiamo letto e scritto decine di volte: una cinquantina di acquisti inutili, di spese eccessive, di soluzioni improbabili. C’hanno fatto barzellette, spettacoli teatrali, numeri comici. Hanno scritto libri e inventato aforismi. L’era Moratti attraverso i bidoni pagati a caro prezzo è una delle letture più divertenti del pallone degli ultimi decenni. Non per gli interisti. Non per l’Inter. Non per Branca che però non c’entra. Perché qui si parla di gestioni precedenti, di altri uomini, di altre scelte, di altri spessori. Lui direbbe così: “Ma chi mi ha preceduto ha fatto un ottimo lavoro”. E’ il fair play da dopo partita, la banalità detta per non ferire le sensibilità di nessuno, l’eleganza di non dire quello che si pensa davvero. Ce l’hanno tutti gli uomini mercato: una specie di fair play anti-fregatura. Perché può capitare a tutti l’errore clamoroso. Anzi capita.

    Allora la corporazione difende il lavoro e non i risultati. Ci sta, lo facciamo tutti. Giovani o vecchi, c’è la complicità dell’errore: Branca vede che un acquisto del Cagliari non vale niente, ma davanti ai microfoni non lo dice. Chiamatela ipocrisia, loro la chiamano educazione. Perché comprare è difficile, scegliere bene è complicato: il pallone è la scienza dell’inesattezza, il divertimento delle anomalie. Prendi Benito Rivas del Bari, che ha fatto ammattire prima la difesa dell’Inter, poi quella del Milan: ecco, quest’estate doveva finire alla Salernitana che oggi è ultima in serie B, invece ora è titolare in A, in una squadra che stupisce proprio grazie a lui. Non c’è una sola certezza con gli uomini. Non c’è una sola sicurezza quando devi andare a comprare un calciatore. E’ il dominio dell’incognita, il trionfo della casualità: brocchi che diventano fenomeni e ovviamente fenomeni che diventano bidoni, spese che varrebbe fare anche al doppio e altre che non si dovrebbero fare neanche per un terzo. Più si sale di livello, più aumentano i rischi: è un videogioco reale e l’uomo mercato è l’avatar di noi stessi, affamati di acquisti, di nuovi giocatori, di sogni da realizzare con un assegno e una maglietta esibita in una presentazione di agosto.

    Branca è fatto di cellule che rappresentano ogni singolo tifoso dell’Inter. Deve scegliere e sa che la percentuale d’errore è direttamente proporzionale al costo dell’operazione e all’importanza del club: più spendi più devi garantire che quello sia un giocatore da Inter. E’ uno splendido lavoro da matti. Perché bisogna essere un po’ istintivamente pazzi: sicuri di sé al punto da sopportare ogni genere di critica, fulminati da vivere la vita inseguendo un dvd con le prestazioni di un calciatore come se fosse un film rilassante. Branca realizza i desideri: vive per assecondare le voglie e le aspirazioni di presidente e allenatore.

    Dicono che con Mourinho in estate abbia avuto qualche problema: la storia di Deco e Carvalho, pronti per arrivare e invece rimasti all’estero. Forse è stato il momento in cui Mou deve averlo maledetto un po’, salvo poi ammettere che questa squadra funziona bene così. Ha letto anche lui la Gazzetta: “Branca ha messo la sua firma su un mercato straordinario, economicamente e tecnicamente”. Ha letto il resto, cioè lo stesso Marco che ha diviso i meriti: “Va tutto condiviso con la macchina Inter, ormai praticamente perfetta. Moratti è la garanzia più grande per i tifosi. Se una cosa si può fare, non si tira mai indietro. E per me è un prezioso aiuto anche dal punto di vista tecnico: è un vero intenditore. Sneijder non accettava di essere scaricato senza appello dal Real, però fin dal primo contatto, Wesley ci ha fatto capire di tenere molto all’Inter, le sue erano questioni di principio, mai ha messo in dubbio il fascino del nostro club.

    Altrimenti non l’avremmo aspettato fino all’ultimo momento. Gli avevo già parlato e la sua conoscenza delle cose interiste non era passata inosservata. Io non porto all’Inter gente poco entusiasta. Con i possibili acquisti prima parlo di progetto Inter, poi di soldi. Se non vedo la giusta luce negli occhi del giocatore non se ne fa nulla. Già tre mesi fa lo avevamo richiesto al Real Madrid”. Parla poco e malvolentieri, Branca. Alla Gazzetta ha raccontato il futuro: “In linea di massima andremo a caccia di un paio di difensori di grandi prospettive, ma non è detto che arrivino subito. Mourinho sa come far crescere i giovani e soprattutto non ha paura di gettarli nella mischia quando è il momento. In ogni modo, siamo convinti di aver preso un futuro campione. Anzi due: occhio infatti ad Arnautovic, è ormai vicino al pieno recupero, ha 20 anni, ma per me è già pronto per il grandissimo calcio. Punteremo sul settore giovanile, abbiamo uomini straordinari, non sbagliano un colpo. Santon e Balotelli sono i fenomeni, Crisetig un motivo di orgoglio vero, ma grazie a tanti altri ragazzi meno celebrati siamo arrivati ad acquistare Milito e Thiago Motta quasi senza tirare fuori contanti”.

    E’ il criterio, l’ultimo. Funziona adesso, perché si va. I soldi risparmiati, cioè il contrario di quello che l’Inter ha fatto prima, quando non controllava il portafoglio. Ora sì. Obbligata a farlo da se stessa e dagli altri. Perché spendere se puoi ottenere di più risparmiando? Erano tutti convinti che Mou fosse deluso dal mercato dell’Inter. Lo chiesero a Marco: “Non ha mai detto di essere scontento. Sappiamo che bisogna fare spazio, ma andare via dall’Inter non è facile”. Vendere. Ora e in futuro. Vendere per comprare. Un inferno la vita di Marco. Perché bisogna vederlo a trattare con i procuratori. Tira qui, poi aggiungi lì. Prendi il caso dell’estate, quello di Ibrahimovic e del suo agente Raiola: lo stress infinito di Branca. Perché Carmine, cioè Mino, per settimane ha tirato la corda: la vendita al Barcellona, i diritti di immagine di Zlatan, i fiumi di denaro che vedeva scorrere sotto gli occhi. Tutti a raccontare la storia di Raiola, nato a Nocera Inferiore, emigrato in Olanda e diventato a 41 anni il re dei procuratori. Dicono giocasse e poi, una volta smesso, lasciò per diventare dirigente dell'Haarlem. “E' lui che porta un certo Dennis Bergkamp all'Inter per 20 miliardi delle vecchie lire”, hanno scritto tutti. Marco ha letto, Marco sa. Le sei lingue conosciute da Mino, i trucchetti usati per fare pressione sulle società. Chi ha vinto? Dipende, dipende sempre.

    Alla fine il mercato dice che è convenuto a tutti: Ibra felice, l’Inter con Eto’o, i soldi, la squadra che piace, il mondo che gira. Ci sarà un altro duello, comunque
    . Arriverà, perché nel giro ci si trova sempre, allora tornerà la domanda: chi vince? Con lo stile non c’è partita. Con le parole neanche. Vince Marco, che se si presenta ai microfoni sa che cosa dire. Vedi il dirigente scontato e cancellalo. Ricorda la storia di Lo Monaco, invece. L’amministratore delegato del Catania litigò con Mourinho che gli rispose così: “Io conosco il Monaco, il Bayern di Monaco, Monaco di Baviera, il Principato di Monaco, il Gran Premio di Monaco. Se uno vuol farsi pubblicità con me, deve pagarmi”. Poi tirò in mezzo Ibrahimovic. Allora toccò a Marco parlare al posto dello svedese: “Per essere dirigenti di un certo livello, bisogna avere educazione e rispetto, e soprattutto occuparsi della propria squadra senza dare consigli ad altri. A Lo Monaco, una mezz’oretta di zappata, prima di parlare, non farebbe male”. Quella storia è finita. Però la prossima partita a San Siro è Inter-Catania: non c’è più Ibra, però c’è Branca.

    © 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO

    Beppe di Corrado

    Giovedì 8 ottobre 2009
    Ultima modifica di Bèrghem; 19-01-10 alle 00:44
    Dato che questa è una Magnum 44, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Dì, ne vale la pena? ("Dirty" Harry Callahan)

 

 

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