In un libro l'ammiraglio Martini ricorda quei momenti
"Noi, armi in pugno, di fronte alla Delta Force"
Sigonella 1985:
"Così fermammo gli Usa"
Fino all'ultimo i militari americani non si arresero
"I loro caccia cercarono di ostacolare il nostro aereo"
ROMA - "Alle 23,57 squillò improvvisamente il telefono". Era l'11 ottobre 1985. La vicenda dell'Achille Lauro è appena finita. Sembra finita, almeno. L'ammiraglio Fulvio Martini (morto a Roma il 14 febbraio scorso), all'epoca direttore del Sismi, alza la cornetta. Dall'altra parte del filo c'è Bettino Craxi che, a quel tempo, siede a palazzo Chigi. "Mi informò di una telefonata degli Stati Uniti: gli avevano chiesto di dare ordini per autorizzare l'atterraggio sull'aerporto militare di Sigonella di un aereo egiziano dirottato all'altezza del Canale di Sicilia da F-14 americani". Sull'aereo ci sono due negoziatori palestinesi, nominati da Arafat per la vicenda dell'Achille Lauro, i quattro dirottatori, un ambasciatore del governo del Cairo ed elementi del servizio di sicurezza egiziano. I due rappresentati palestinesi sono Abu Abbas e Hani el Hassan. E' la storia della crisi di Sigonella raccontata da uno dei maggiori protagonisti, l'ammiraglio Martini, nel suo libro Nome in codice Ulisse.
Eccola la ricostruzione di quelle frenetiche ore. Martini cerca sia il ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, sia i capi di stato maggiore della difesa e dell'aeronautica. Senza successo. Così decide per il via libera. L'aereo atterra a Sigonella alle 00,15. Sulla pista viene circondato dai soldati italiani, Vam dell'areonautica e carabinieri. Pochi minuti dopo atterrano altri due C-141 statunitensi. Scendono i militari della Delta Force americana che, guidati generale Steiner, si dirigono verso il boeing egiziano fermo sulla pista. L'intenzione è chiara: prendere prigionieri i passeggeri. Sono momenti drammatici. Quelli della Delta Force, armi impugno circondano gli avieri italiani e i carabinieri disposti intorno all'aereo. Subito, altri carabinieri affluiti nella base circondano a loro volta gli americani. "Cominciò un vero e proprio braccio di ferro" ricorda Martini.
"Esistevano tre cerchi concentrici intorno all'aereo - continua il generale - I nostri erano in territorio italiano, difendevano una legalità nazionale, non si sarebbero mossi senza ordini precisi. Gli americani intendevano a tutti i costi impadronirsi dei quattro palestinesi responsabili tra l'altro dell'assassinio di un loro connazionale e non volevano solamente loro, volevano uno dei negoziatori palestinesi, Abu Abbas, che ritenevano fosse il vero capo del commando oltre ad essere come in effetti era un terrorista".
Comincia una guerra dei nervi, tra Martini e Steiner. L'americano sfrutta la tecnologia. Riceve notizie in tempo reale, parla con gli Stati Uniti via satellite su apparecchiature che codificano e decodificano in tempo reale le sue parole. Martini si arrangia come può. "Usavo la rete telefonica della Sip" ricorda.
Nessuno sembra disposto a cedere. Il comandante generale dei Carabinieri Riccardo Bisogniero chiama alcuni blindati. Si arriva così alle 5,30. Gli americani mollano la presa e ripartono.
Sembra finita ma non è così. La polizia italiana arresta i quattro dirottatori. Poco dopo, con un aereo del Sismi, a Sigonella arriva anche Martini. Comincia la trattativa con gli egiziani rimasti a bordo dell'aereo. Alla fine si decide di trasferire il Boeing a Ciampino. "Partimmo in formazione e non so come mi venne l'idea di chiedere una scorta di aerei caccia all'aeronautica - continua Martini - Fu una saggia decisione. Poco dopo esserci alzati in volo, da una pista di rullaggio secondaria, a luci spente, decollò da Sigonella un caccia F-14 americano della sesta flotta". Il velivolo cerca di interferire con il volo della formazione italiana per dirottare l'aereo egiziano.
"Subito dopo l'arrivo a Ciampino verso le 23 - spiega Martini- ci fu un'altra interferenza. Un secondo aereo americano, dichiarando uno stato di emergenza chiese e ottenne l'autorizzazione all'atterraggio immediato. Era solo un pretesto. Si posò in pista e si mise di traverso all'aereo egiziano. Stavo perdendo la pazienza: tramite il colonnello militare dell'aeroporto feci sapere al pilota americano che se non ubbidivano al mio ordine di togliersi di mezzo, avrei fatto buttare fuori pista l'aereo con il bulldozer: gli diedi cinque minuti; ne passarono solo tre, andò via". La battaglia di Sigonella finisce.
(16 aprile 2003)
La Repubblica/esteri: Sigonella 1985: "Così fermammo gli Usa"