Caro Scalfaro,
noi non ci stiamo
Tricoteuse
del giustizialismo
di Pucci Cipriani
Il Giornale della Toscana
Giovedì 1 giugno 2006
Uno dei pochi democristiani che si espose e si spese nella battaglia per l’abolizione del divorzio fu l’on. Oscar Luigi Scalfaro e lo dico con molto imbarazzo, perché Scalfaro fu, ed è…quello che é.
Io lo avevo conosciuto qualche anno prima con l’avv. Clarkson, del quale era molto amico, alle riunioni della corrente di destra DC all’Istituto Stensen. Gianni Preda su Il Ventennio della Pacchia (Ed. Il Borghese) ce lo presenta così: «21 luglio 1950. Ieri sera in un ristorante romano di via della Vite l’on. Democristiano Scalfaro […] rivolto verso la signora Edith Toussant, rea di mostrare le spalle in un abito estivo, ha detto: ‘E’ uno schifo, è vomitevole! Lei manca di rispetto alle donne presenti; così vestita è una donna disonesta. Si metta il bolero o vada fuori!’ La signora Toussant ha reagito vivacemente […] ».
Ebbene, conoscere un uomo così – ebbi modo di conoscere anche, e molto bene, nei ambienti monarchici, la signora Tousssant, peraltro simpaticissima, e vi risparmio i suoi commenti e il suo condivisibilissimo giudizio su Oscar Luigi – non mi fece molto piacere. Oscar era eccessivo in tutto, anche nel suo anticomunismo. All’Istituto Stensen disse cose contro I comunisti e contro la sinistra della Democrazia Cristiana che se le avessi dette io avrei passato venti anni a godermi il sole a strisce.
Con l’avv. Clarkson lo portammo a pranzo al ristorante “Campidoglio” (lo ricordo come se fosse ora!), quindi, piano piano, ci avviamo a piedi alla stazione dove lui prese, al binario 16, il “Settebello” che, all’epoca era uno dei treni più confortevoli e veloci, da non confondere con la marca di un famoso profilattico che avrebbe fatto sobbalzare il pio Oscar Luigi. Durante il pranzo ci parlò più che di politica, di morale e più che di morale, di moralismo, di quello bigotto da quattro soldi.
Ma torniamo a noi: quando l’on. Oscar Luigi Scalfaro venne a parlare a Firenze, al cinema “Gambrinus”, contro il divorzio, io c’ero, ma mi guardai bene dall’andare a salutarlo. Nel suo stile aulico e pomposo citò l’episodio evangelico dei pani e dei pesci, ma non ricordo a che proposito. Da allora non ho visto più l’on. Scalfaro se non in televisione: con le basette da cocchiere e la bazza rientrata, la sua “evve” accentuata: sponsorizzato da Marco Pannella (chi si somiglia, si piglia!) e da tutte le sinistre divenne Presidente della Repubblica, come poi, abbiamo avuto il piacere di conoscere. Io lo ricordo con la cravatta verde, con tutti gli ulema e gli imam, all'inaugurazione della moschea di Roma, ancor prima che l’Islam ci avesse, ormai, invaso. Ricordo le parole pronunciate da Filippo Turati del discorso parlamentare dell’11 febbraio 1907: «La ferocia dei moralisti […] è superata soltanto dalla loro profonda stupidità».
Da quando, dunque, sotto la spinta emotiva dell’attentato al giudice Falcone, il pio Oscar sedette, con ampio consenso, sullo scranno più alto della Repubblica divenne il notaio di Tangentopoli e, quasi tarantolato da quel “dolce tintinnir di manette” assistette, con li suo piglio giustizialista, alla decapitazione di una classe dirigente (DC, PSI, PRI, PLI) di cui pur lo stesso Scalfaro fu magna pars, una classe dirigente che aveva avuto il torto di assicurare all’Italia cinquant’anni di benessere e di libertà assoluta, nonostante avessimo in casa il più grande partito comunista d’Europa, ampiamente foraggiato dall’Unione Sovietica, come ineccepibilmente documenta (da nessuno contestato!) Valerio Oliva nelle oltre novecento pagine del suo volume L’oro di Mosca (Mondadori ed.).
«Mi sento sempre come se avessi sempre la toga sulle spalle» confidò un giorno Oscar Luigi al magistrato fiorentino Pier Luigi Vigna: ed aveva ragione; infatti, l’ex-magistrato democristiano, prestato alla politica, quella sua propensione non solo a farsi giudice ma a sentirsi – secondo un certo concetto calvinista della religione – il braccio armato della giustizia divina, ovvero il “giustiziere”, lo “sceriffo”, nel senso del custode di un ordine, che promana più che da Dio dagli uomini.
Non lo hanno dimenticato, né tuttavia lo dimenticheranno certamente i familiari di quei due militi della Repubblica Sociale per i quali Scalfaro, a guerra finita, allora Pubblico Ministero, chiese e soprattutto ottenne la pena di morte mediante fucilazione…entro pochi mesi sarebbe subentrata l’amnistia che avrebbe reso la libertà (e forse la giustizia) ai due morti ammazzati, come accadde per coloro che non ebbero come Pubblico Ministero il pio Oscar Luigi.
Insomma, l’ex-collaboratore di Mario Scelba – il quale Scelba fu persona coerente, alieno da furori o pruriti, e si batté contro il comunismo e la sinistra interna al suo partito, la DC, per affermare lo Stato e la libera iniziativa -–non capì la lezione del maestro e concepì l’ordine nel senso giacobino e bigotto, avvampato da un fuoco purificatore, alimentato dal suo carattere vendicativo. Scalfaro ha odiato Berlusconi e i suoi seguaci, vedendo in loro chi riuscì a fermare una sorta di golpe giudiziario che avrebbe finalmente portato al governo il comunismo. Da allora Oscar Luigi è diventato la Tricoteuse del giustizialismo, il sacerdote laico delle celebrazioni della Repubblica. Eccolo con le sue esternazioni, i suoi ribaltoni, il suo giocare in squadra piuttosto che in funzione arbitrale, i suoi vuoti di memoria, i suoi «non ci sto», i suoi furori robesperriani…fino a diventare un’icona, quella della fazione e del furore. E della sinistra.
Oggi ce lo ritroviamo a Firenze, a tener concioni e ad aizzare per abrogare una buona legge costituzionale, fatta dal centrodestra sul federalismo. Lui invita a votare per il NO; quanto ci basta per votare nella maniera opposta, ovverosia per il SI’, contro le tricoteuses delle ghigliottine.