Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore
Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore
di Dario Fertilio [13/04/2006]
Fonteorriere.it Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore
Lo storico Knabe: i sovietici deportarono e commisero violenze. Dopo l' 8
maggio centomila cittadini trasferiti in Urss con la forza. E i lager si
riempirono di tedeschi
Fu vera Liberazione? Oggi in Germania c' è chi contesta l' idea dell' allora
presidente federale von Weizsäcker, che vent' anni fa proclamò l' 8 maggio
(il giorno della resa nazista agli Alleati, con la pace conseguente)
giornata di festa per la Germania. Il motivo? Ne esistono molti, e tutti
insieme pesano soprattutto sulle coscienze dei tedeschi orientali, che dopo
l' arrivo "liberatore" dell' Armata Rossa conobbero gli orrori dell'
occupazione sovietica. Una serie di ragioni che si esprimono attraverso le
cifre: centomila civili liquidati senza pietà, due milioni di donne e
ragazze tedesche violentate, una porzione enorme degli edifici pubblici e
privati saccheggiati e devastati. E non è tutto: in scia ai soldati
sovietici con i mitra in pugno, comparvero presto gli agenti della polizia
segreta di Mosca in guanti di pelle, quelli della famigerata Nkvd
staliniana, e allora le sofferenze di un popolo già martoriato sprofondarono
definitivamente nella disperazione. Centomila tedeschi, soprattutto donne,
ragazzi e anziani, furono caricati su vagoni bestiame e deportati in Unione
Sovietica per essere assoggettati in condizioni estreme ai lavori forzati;
più di tre milioni di prigionieri di guerra finirono nei gulag sovietici,
dove un terzo trovò la morte. Ma anche in Germania, per esempio a
Buchenwald, Jamlitz o Sachsenhausen, altri diecimila prigionieri perirono
per fame.
Sicché complessivamente si può affermare che, nell' ambito del territorio
occupato dall' Armata Rossa (e qui davvero l' aggettivo "liberato" suona
come una beffa atroce per i parenti delle vittime) morirono circa due
milioni e mezzo di cittadini tedeschi a causa degli stenti, delle violenze e
delle deportazioni. Senza contare i circa centomila russi e ucraini presenti
sul territorio germanico al momento della caduta di Hitler: tutti, fra
addetti ai lavori forzati e prigionieri di guerra, collaborazionisti ed
emigranti, "infettati" agli occhi di Stalin dal morbo tedesco. Sicché
finirono deportati nei gulag sovietici, dai quali la grande maggioranza non
tornò. Ecco alcune ragioni che inducono a rifiutare, nonostante le indubbie
intenzioni pacificatrici di von Weizsäcker, la data dell' 8 maggio quale
giorno della Liberazione tedesca. Ne è convinto lo storico Hubertus Knabe,
direttore del Museo di Berlino-Hohenschönhausen e autore del libro che oggi
divide la Germania, anzi rischia addirittura di accendere una nuova
Historikerstreit, una disputa storica sulle responsabilità dei due grandi
totalitarismi europei, bolscevismo e nazionalsocialismo.
Tag der Befreiung?, «Giorno della Liberazione?», intitola Knabe, con un
significativo punto interrogativo, il saggio che denuncia quanto nel
dopoguerra la maggioranza del popolo tedesco sapeva, ma non aveva mai os ato
dichiarare pubblicamente. Come si può considerare giorno di festa, si
chiede, l' arrivo sul suolo tedesco di soldati nemici, pronti ad
abbandonarsi alla violenza sfrenata? Knabe racconta episodi impressionanti,
in testa a tutti le atrocità commesse dall' Armata Rossa a Nemmersdorf, dove
donne vecchi e bambini innocenti, o forse colpevoli di appartenere a una
"razza" nemica, vennero sterminati con un colpo alla nuca e abbandonati sul
margine della strada principale. A Königsberg, l' antica patria di Kant,
centinaia di appartamenti furono devastati, lasciando gli inquilini al
freddo, alle intemperie e senza cibo, provocando la morte dei più deboli e
malati. Un capitolo a parte, particolarmente odioso, è dedicato alle
violenze di massa commesse dai soldati sovietici su donne e ragazze, dalle
conseguenze fisiche e mentali immaginabili. Probabilmente - afferma Knabe -
furono un milione e 400 mila le violenze sessuali commesse nell' area
orientale compresa tra i fiumi Oder e N eisse: di donne ne morirono 180
mila.
In realtà, il libro potrebbe essere letto come un catalogo degli orrori: le
storie dei centomila tedeschi orientali periti durante le deportazioni a
est, e quelle dei settecentomila semplicemente scomparsi in Unione
Sovietica, inghiottiti nel nulla; quelle di altri popoli, romeni ungheresi
jugoslavi o slovacchi, sottoposti a simili trattamenti. Senza contare le
atrocità meno "spontanee" e più programmate, che gli ufficiali d'
occupazione e il servizio segreto sovietico cominciarono a praticare a
partire dal 1946.
E qui si tocca il culmine, perché i nomi dell' immaginario collettivo legati
allo sterminio nazista (Auschwitz, Buchenwald, Jaworzno) indicarono nuovi
orrori: svuotati dei vecchi prigionieri, si riempirono di nuovi "schiavi",
condannati a lavorare in condizioni impossibili fino alla consunzione e alla
morte. Corpi rasati, decine di cadaveri gettati di notte nelle fosse comuni
(ad esempio vicino al lager di Zgoda), sadismo gratuito sui prigionieri
(come quello cui si abbandonava il medico Isidor Cederbaum nel campo di
concentramento di Potulitz): nulla fu risparmiato. E ci fu anche del metodo
in questa crudeltà. Per un lungo periodo successivo alla "liberazione" della
Germania, i soldati dell' Armata Rossa vennero in realtà non solo
autorizzati, ma incoraggiati dalle autorità a commettere violenze. Il
motivo: odio razziale e di classe, lo stesso che aveva animato la logica
dello sterminio dei nemici nell' Unione Sovietica prima di Lenin, poi di
Stalin. Ma ci fu anche l' intento di preparare il terreno alla edificazione
di una nuova dittatura. Ecco perché, secondo Knabe, celebrare l' 8 maggio
significa ignorare la verità. Ma non tutti sono d' accordo. Gli
antirevisionisti, e una buona parte dell' opinione pubblica credono o almeno
lasciano capire di ritenere che i tedeschi meritassero in fondo una
punizione. Altri, all' opposto, fanno rilevare come al momento del crollo
del nazismo, gli iscritti al partito della croce uncinata fossero ancora ben
otto m ilioni e mezzo: parlare di "liberazione" sarebbe dunque una finzione,
anzi un comodo alibi per assegnare ai collaborazionisti la patente di
vittime. E non mancano naturalmente gli estremisti di oggi, i neo o
post-nazisti, che cavalcano le tesi di Knabe per riaprire i conti con la
storia e "relativizzare" le colpe di Hitler. Grande è dunque la polemica
sotto il cielo di Germania, tanto da far temere che il polverone ideologico
e il disgusto per tante atrocità finiscano per favorire l' oblio delle
vittime. Meglio forse ricordare la figura vincente di Anna Schmidt,
drammatica protagonista del Terzo uomo di Graham Green (e interpretata da
Alida Valli nel film di Orson Welles). In fuga da una spettrale Vienna
sovietizzata e strappata in extremis alla deportazione, nell' ultima scena
prende sottobraccio il suo salvatore Martins e si avvia con lui da qualche
parte, per convincersi che domani è sempre un altro giorno.