Originariamente Scritto da
Der Wehrwolf
Bossi: i nostri ragazzi tornino a casa
«In Iraq campagna informativa per spiegare che i soldati sono lì ad aiutare» «Riforme, bene un tavolo con la sinistra ma solo dopo il sì al referendum»
DAL NOSTRO INVIATO
NOVARA - «Ma tornino indietro, cosa ci stanno a fare lì? È troppo pericoloso». Reagisce d’istinto Umberto Bossi, turbato dalla notizia di un’altra vittima a Nassiriya. Sono passate da poco le 11 di sera e il leader leghista sta per entrare alla trattoria Poretti di Torrion Quartara, a Novara. C’è da festeggiare il giovane sindaco leghista, Massimo Giordano, reduce da un trionfo personale (riconfermato con il 60 per cento dei voti). Insieme con il Capo c’è lo stato maggiore locale, compreso Roberto Cota, il segretario piemontese che è riuscito, insieme a Giordano, nel miracolo di quintuplicare i voti leghisti: dal 4 al 21 per cento. Un successo che conforta Bossi, soprattutto dopo l’esito nazionale non entusiasmante. Ma prima di entrare in pizzeria, arriva la notizia. «C’è un morto a Nassiriya» sussurra Cota al segretario. Bossi si ferma un attimo e scuote la testa: «Basta così, è troppo pericoloso». Poi entra, quasi trascinato dall’entusiasmo dei militanti, che non si sono accorti di nulla. In pizzeria Bossi rimarrà per due ore, raccontando al Corriere scenari e strategie della Lega, ma anche confessando il suo vero desiderio, la speranza di guarire e di restare a lungo capo della Lega. È un Bossi ancora claudicante ma in forze, che rimane a festeggiare insieme con gli altri fino all’una di notte. Scherza con «Lupo», mitico autista di Cota («ma togliti quegli occhiali da sole che è buio»); mangia, anche se con moderazione (affettati e tonnarelli al nero di seppia con pomodorini e spada, innaffiati dalla solita Coca Cola, anche se stavolta non ci sono i grissini da pucciare); lancia e guida i frequenti cori per il sì al referendum («Sì! Sì! E questo è per Scalfaro», ovvero il presidente del Comitato per il no, novarese); si unisce all’augurio per l’Insubria libera («Sapete chi ha fatto l’università dell’Insubria? Io e Reguzzoni»). Prima di cominciare, si apparta per rispondere alle domande, interrotto di frequente dall’entusiasmo dei presenti.
Segretario, allora che fare in Iraq?
«Visto quello che succede, dico che sarebbe meglio tornare a casa. Naturalmente, se ci sono accordi internazionale da rispettare, è giusto rispettarli. Però non posso non vedere quanto sia pericoloso mandare i nostri ragazzi in una zona dove c’è la guerra».
Anche se non sono lì per fare la guerra?
«Purtroppo questo non è chiaro a tutti. Bisognerebbe fare una campagna informativa in Iraq per spiegare cosa ci fanno i nostri soldati. Che sono lì per dare una mano, per aiutare».
E invece muoiono.
«C’è poca chiarezza. Ci scambiano per truppe occupanti. E dato che ci vedono così, si sentono legittimati ad ammazzarci».
Le sue ultime esternazioni hanno creato qualche sorpresa nella Lega. Sulla devolution si è parlato di una apertura alla sinistra. Maroni invece spiega che prima si vota sì e poi si discute.
«Ma certo, ha perfettamente ragione Maroni. Io non ho aperto alla sinistra, ho solo spiegato che la sinistra rischia di perdere tutti i voti del Nord».
Però ha promesso un tavolo per migliorare la devolution.
«Su quello ho dato la mia parola. Stiamo scrivendo una bozza del cambiamento e l’ideale sarebbe che anche alcuni della sinistra partecipassero al tavolo. Ma questo può avvenire soltanto dopo il sì al referendum».
E se la devolution non passasse?
«Ne prenderei atto: vorrebbe dire che l’Italia non è matura per avere democraticamente il federalismo».
L’Italia?
«Certo, perché il Nord farà comunque vincere il sì. E in quel caso saremo legittimati ad andare ovunque, dall’Onu all’Europa, per farci valere».
Se vincesse il no, qualche effetto potrebbe esserci anche nel Carroccio?
«La base si incazzerebbe, è ovvio».
E allora si potrebbe tornare a ipotesi secessioniste.
«Penso di sì. A Pontida, il 18, lanceremo la nostra sfida referendaria. Ci saranno anche ospiti federalisti europei, come la presidente del Parlamento basco».
In caso di fallimento, lei si dimetterebbe? Nella Lega c’è scontento, l’ha ammesso anche lei. «Nella base forse, ma la dirigenza è compatta. Lo decideranno i militanti se devo restare. Io credo che lo vogliano».
Oneto e altri «dissidenti», però, chiedono un congresso straordinario.
«Quelli non sono leghisti».
Tra le firme c’è anche quella di Pagliarini.
«Ma a me non mi interessa niente del congresso. Sa cosa mi interessa veramente?».
Cosa?
«Guarire. Completamente. Tornare in forze per restare alla guida della Lega».
Come va ora?
«Sono abbastanza migliorato. Con tutta questa fisioterapia».
Ci sono stati momenti difficili. Stanchezza, depressione.
«Certo, anche dopo le elezioni io e Berlusconi eravamo un po’ depressi. Se lavori e non ottieni niente, un po’ di sconforto è logico. Ma se dirigi un partito come la Lega non puoi permetterti di deprimerti».
L’affetto della gente aiuta.
«Certo, non mi mollano mai. L’altro giorno a Cassano Magnago mi hanno regalato una cassetta di ciliegie: "Segretario, mangi queste che guarisce».
E la famiglia?
«Ho una famiglia meravigliosa. Mia moglie ha preso tutto da suo padre, un siciliano, uno forte, che aveva capito tutto. Vedesse com’è brava alla scuola bosina. E con i bambini disabili. Sa cosa mi ha chiesto l’altro giorno la Manuela?».
Cosa?
«Se volevo scrivere un libro con lei».
Un’autobiografia?
«No, una cosa di politica. Ma le ho detto di no. Se lo scrivo, è solo per controllarla» ( ride ).
E i figli?
«Roberto gioca benissimo a basket. E Renzo suona il pianoforte. Quando sono stanco, si mette lì e mi suona delle canzoni vecchie, di Battisti».
Che farà da grande?
«Non lo sa ancora. Per ora è molto bravo con l’informatica, con i computer».
Bossi fa una pausa, si fa chiamare la moglie. «È restata a casa, tiene troppo ai figli». Qualcuno lo chiama presidente, lui rettifica orgoglioso: «Segretario». Sorride, stringe mani. Ogni tanto alza il braccio, a pugno chiuso e urla, con la voce arrochita e un guizzo negli occhi: «Sì!». «Giornalista, mando un messaggio ai lettori del Corriere : sì!». Rimane a lungo a girare il caffè nella tazzina, mentre ascolta Cota parlare dei comitati referendari. Poi un ultimo accenno alla politica, ancora una volta in controtendenza, a spiazzare amici e nemici.
Sull’amnistia qualcuno si è sorpreso per la sua apertura.
«Non ne voglio molto parlare, chieda a Castelli. Sono sempre stato più morbido di lui, anche sulla grazia a Sofri. Sono sicuro che la galera a oltranza non fa bene a nessuno».
E su D’Elia? Si nega che un ex terrorista possa diventare parlamentare.
«Io non faccio queste polemiche. Chi ha i voti fa quello che vuole. Decide la gente. Come sempre».
Alessandro Trocino