All'albergo Palace di Gedda, dove nel 1964 alloggiò per qualche giorno
prima di compiere il Pellegrinaggio alla Mecca, Malcolm X fu testimone degli
affettuosi omaggi di cui era destinatario un altro pellegrino, suo vicino di
stanza. "Una folla gli si raccolse intorno per baciargli la mano -scrive
il capo dei Black Muslims nella sua Autobiografia- (...) Più tardi, nell'albergo, avrei avuto occasione di parlare con lui per una mezz'ora. Era
un uomo di grande dignità, dai modi molto cordiali, al corrente su tutte le
questioni internazionali, compresi gli ultimi sviluppi della situazione
americana" 1. Quell'uomo era al-Hâj Muhammad Amîn al-Husaynî, Gran Muftì di Gerusalemme. Ventitré anni prima di Malcolm X, era stato Adolf Hitler a
parlarne in maniera ammirata, sottolineando la nobiltà della sua figura e la
"superiorità della sua intelligenza" e concedendogli un privilegio mai
concesso a nessuno: lo ospitò nel Palazzo Imperiale di Berlino e diede
disposizioni affinché sull'edificio la bandiera della Palestina sventolasse
più in alto di quella del Reich.
Muhammad Amîn al-Husaynî era nato nel 1897 a Gerusalemme. La famiglia di discendenti del Profeta di cui era originario annoverava tra i propri membri
tutti quegli esperti di diritto sacro che negli ultimi due secoli avevano ricoperto la carica di muftì nella città santa. Compiuti i primi studi in
Palestina, all'età di sedici anni Muhammad Amîn frequentò l'università
islamica dell'Azhar, al Cairo, dove fu tra gli animatori e gli organizzatori
del movimento antibritannico. Dopo la prima guerra mondiale, nel corso
della quale fu ufficiale nella 46a divisione dell'esercito ottomano, diventò
l'ispiratore della lotta dei Palestinesi contro l'occupazione inglese e
l'immigrazione sionista. Sfuggito alla polizia militare britannica che era
andata ad arrestarlo, riparò in Transgiordania, dove proseguì nella sua
attività rifornendo i Palestinesi di armi e munizioni e guadagnandosi una
condanna in contumacia a dieci anni di carcere. Diventato Gran Muftì di
Gerusalemme e presidente del Supremo Consiglio Islamico, al-Husaynî
intensificò la lotta organizzando le sollevazioni del 1929 e del 1936, che
videro i Palestinesi insorgere contro la presenza anglo-sionista.
Successivamente continuò l'azione nella Siria sottoposta al controllo
francese; poi, nel 1939, passò in Iraq. In Iraq i sentimenti anticolonialisti erano largamente diffusi tra la popolazione e un gruppo come al-Futuwwah aveva inviato al Congresso di Norimberga una propria delegazione, mentre il suo capo era stato ricevuto da Hitler. La presenza del Gran Muftì rinvigorì ulteriormente le tendenze indipendentistiche: il 21 marzo 1940 si installò a Bagdad un nuovo governo, presieduto da Rashîd cAlî al-Kilânî, che proclamò di voler mantenere la neutralità del paese riguardo al conflitto scoppiato in Europa. Londra rispose intimando al governo iracheno di rompere le relazioni diplomatiche con la Germania e l'Italia, ma l'autorevole appoggio del Gran Muftì consentì ad al-Kilânî di respingere l'ingiunzione. L'Inghilterra reagì aggredendo l'Iraq, tra l'aprile e il maggio 1941; il governo di Bagdad decretò la mobilitazione totale e il Gran Muftì lanciò un appello alla solidarietà araba, che fu accolto da migliaia di volontari siriani, transgiordani e palestinesi. Tuttavia, data la preponderanza materiale delle forze britanniche e il ritardo dell'intervento italo-tedesco, nel giro di un mese lo status quo coloniale venne ristabilito.
Il Gran Muftì, insieme con al-Kilânî e i ministri del governo iracheno, dovette riparare in Iran; ma alla fine di agosto ebbe luogo in questo paese l'intervento militare anglo-sovietico che collocò sul Trono del Pavone Muhammad Reza Shâh. Fu così che al-Husaynî e al-Kilânî vennero in Europa.
Dopo un viaggio rocambolesco attraverso il Vicino Oriente e i Balcani, il 24 ottobre il Gran Muftì è in Italia. A Roma viene ricevuto da Mussolini3 e da Ciano e si incontra coi dirigenti musulmani residenti in Italia; parla dai microfoni di Radio Roma ed esorta tutti i Musulmani del mondo a sostenere la battaglia dell'Asse. Poi, invitato a Berlino, parte per la Germania, dove
il 20 novembre è ricevuto da Ribbentrop e il 28 è a colloquio con Hitler.
Giornali e cinegiornali tedeschi lo mostrano all'uscita della Moschea di
Berlino, a colloquio con Hitler e con i dirigenti del Reich, a contatto con
la popolazione tedesca. Si registrano numerosi casi di Tedeschi che
abbracciano l'Islam pronunciando la formula di rito davanti al Gran Muftì4.
Dai microfoni della Deutscher Rundfunk, che trasmette in lingua araba e
diffonde attraverso l'etere le parole del Corano, il Muftì dichiara che la
vittoria della Germania significherebbe non solo la liberazione della
Palestina, ma l'indipendenza di tutto il mondo arabo, dal Marocco alla
Mesopotamia. Riportiamo un brano significativo del discorso che
al-Husaynî pronuncia alla radio tedesca in occasione della Festa dei
Sacrifici.
"Oggi il mondo islamico si trova davanti al problema della lotta per
l'indipendenza. Solo uno sforzo incondizionato e un sacrificio generoso
giustificano la libertà dell'esistenza. Ai nemici che han fatto di tutto
per umiliare gli Arabi e assoggettare l'Islam bisogna opporre la massima
resistenza. Tra i nemici di sempre dell'Islam e degli Arabi si trovano, in
primo luogo, i giudei; essi hanno avversato l'Islam fin dai suoi esordi e,
allo scopo di realizzare il loro disegno di egemonia mondiale, hanno
scatenato contro i popoli una guerra che deciderà della loro stessa
esistenza. I giudei costringono il popolo arabo ad affrontare questa
lotta per la vita o per la morte tentando, con tutti i mezzi suggeriti loro
dall'odio per la nostra gente, di espellere e sterminare la popolazione
araba della Palestina, che è Terrasanta anche per l'Islam. Già da tempo il
capo sionista dr. Chaim Weizmann ha dichiarato che un giorno il Nordafrica
sarà un ponte tra i due massimi centri giudaici: New York e Gerusalemme.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna appoggiano in ogni maniera i piani
giudaici, soffocando col terrore, col sangue e col fuoco tutte le proteste
degli Arabi e dei Musulmani. Da un estremo all'altro del mondo islamico
quattrocento milioni di Musulmani subiscono il dominio delle potenze
alleate, alle quali si è unito il bolscevismo ateo e distruttore, che
opprime crudelmente quaranta milioni di Musulmani. Luoghi d'orazione e
moschee sono stati distrutti, dignitari islamici bestialmente assassinati.
Anche la politica anglosassone ha mietuto numerose vittime tra i Musulmani:
uomini, donne, bambini. Tutti questi fratelli, eliminati nell'interesse
della plutocrazia giudaica in Palestina, nel Hadramaut, in Iraq, in Egitto e
nell'Unione Sovietica, non saranno mai dimenticati, né dagli Arabi né dai
Musulmani. La guerra attuale, scatenata dai giudei, è l'occasione che si
presenta ai Musulmani per liberarsi dalla persecuzione e dal terrore che
incombono continuamente sulla terra dei loro antenati. Che la Festa dei
Sacrifici ricordi a ciascuno di voi che è necessario combattere questa lotta
per la libertà con spirito di sacrificio sempre più grande".
Nell'aprile del 1943 il Gran Muftì si reca personalmente in Croazia per
invitare i Musulmani della regione a combattere il gihàd nei ranghi della
Kroatische SS-Freiwilligen-Division, istituita nel febbraio di quello stesso
anno. La divisione, forte di 20.000 Bosniaci e di alcune centinaia di
Albanesi, viene trasferita nella Francia centro-meridionale, a Le Puy, 60
chilometri a sud-ovest di St. Étienne, dove si addestra agli ordini dell'SS
Obersturmbannführer bosniaco Husein-Beg Biscevic. Nel febbraio dell'anno
successivo, quando la divisione musulmana sarà di nuovo in Bosnia, i
volontari che accoglieranno l'appello del Muftì e correranno ad arruolarsi
saranno tanto numerosi, che si renderà necessario costituire una seconda
divisione. E così, accanto alla divisione addestrata a Le Puy, che il 15
maggio 1944 riceverà la denominazione definitiva di 13.
Waffen-Gebirgs-Division der SS "Handschar" (kroatische Nr. 1), nascerà la
23. Waffen-Gebirgs-Division der SS (kroatische Nr. 2), che sarà poi chiamata
"Kama". Nel settembre 1944 le due divisioni bosniache saranno riunite nel
IX. Waffen-Gebirgs-Korps der SS, mentre gli elementi albanesi verranno
inquadrati in una divisione di nuova formazione: la 21.
Waffen-Gebirgs-Division der SS. Nell'ottobre del 1944, infine, si
costituirà un altro reggimento musulmano. I residui di queste formazioni
musulmane continueranno a combattere in Austria fino al 7 maggio 1945,
quando gli Inglesi li cattureranno e li faranno massacrare tutti dai
titoisti, a Maribor.
*
* *
Dopo la sconfitta dell'Asse, il Gran Muftì fu arrestato alla frontiera
francese e poi assegnato al domicilio coatto. Poiché i Francesi rifiutarono
di consegnarlo ai Britannici, i quali lo avrebbero voluto processare come
"criminale di guerra", i terroristi sionisti dell'Irgun architettarono un
sequestro di persona. Avuto sentore di questo progetto, il Muftì fuggì
dalla Francia e riuscì, il 29 maggio 1946, a raggiungere il Cairo. Anche il
governo egiziano rispose con un diniego alla richiesta di consegna del Muftì
avanzata dal console britannico in Egitto, ma si impegnò a tenerlo sotto
stretto controllo e gli impedì di andare in Palestina.
L'11 giugno, però, la Lega Araba nominò il Muftì alla presidenza del
Supremo Comitato Arabo per la Palestina. Ottenuta così una pressoché totale
libertà d'azione in Egitto e stabilito al Cairo il proprio quartier
generale, al-Hâj Amîn al-Husaynî riorganizzò l'esercito di liberazione
palestinese (al-Jihâd al-Muqaddas) sotto il comando di cAbd al-Qâdir
al-Husaynî, unificò in un solo organismo politico organizzazioni e gruppi
diversi e istituì un "Tesoro Arabo" incaricato di procurare i fondi per
finanziare la lotta.
Il 29 novembre 1947, allorché l'ONU adottò la risoluzione 181 che prevedeva
lo smembramento della Palestina in uno Stato ebraico e uno palestinese, il
Gran Muftì e i comitati religiosi della Palestina riaffermarono
l'indivisibilità della Palestina. Anzi, il Muftì rispose alla risoluzione
dell'ONU inviando i suoi mugiâhidîn a eseguire una serie di operazioni
militari in territorio palestinese.
Il 15 maggio 1948, quando gl'Inglesi lasciarono la Palestina e i sionisti
proclamarono la nascita di una loro entità politica, gli eserciti arabi
entrarono nel territorio palestinese. Il Muftì mantenne il comando della
sua formazione militare e si diresse verso Safad, per fondare uno Stato
arabo nel nord della Palestina; ma il re giordano cAbdallâh, che agiva nel
quadro di un piano inglese ed era controllato dal gen. John Bagot Glubb,
sabotò le mosse del Muftì e favorì i sionisti, sicché il 19 luglio il
conflitto terminava con la sconfitta araba. Il 22 settembre si formò un
governo palestinese a Gaza e il Muftì fu eletto presidente del nuovo Stato,
che venne riconosciuto da tutti i governi arabi, eccetto quello di
cAbdallâh, finché il Muftì fu costretto dagli Egiziani a tornare al Cairo e
il re giordano poté procedere all'annessione della Striscia di Gaza.
Se da una parte tutto ciò causò il declino delle fortune politiche del
Muftì, d'altra parte quest'ultimo non cessò di impegnare ogni sua energia
per la causa palestinese, conseguendo una serie di risultati sul piano
internazionale. Nel febbraio 1951, presiedendo la Conferenza Mondiale
Islamica a Karachi, egli dichiarò davanti alle delegazioni di quarantacinque
paesi che la liberazione della Palestina era un dovere della comunità
islamica, sicché la conferenza adottò una risoluzione che impegnava tutti i
Musulmani del mondo ad appoggiare la lotta contro il sionismo. Il Muftì
guidò una delegazione palestinese alla Conferenza Islamica dell'anno
successivo, che approvò una risoluzione analoga. Il ruolo di al-Hâj Amîn
al-Husaynî fu riconosciuto anche dall'URSS: alla fine del febbraio 1953, nel
pieno della campagna stalinista contro i medici ebrei del Cremlino e due
settimane dopo che Mosca ebbe rotto i rapporti diplomatici con Israele, il
ministro degli esteri sovietico Andrej Visinskij invitò a Mosca il Gran
Muftì5. Nel 1955 la delegazione guidata dal Muftì partecipò alla Conferenza
di Bandung, dove i paesi afroasiatici dichiararono il loro appoggio alla
causa palestinese.
Deterioratosi il rapporto con cAbd al-Nâsir a causa del dissidio tra il
Ra'îs egiziano e i Fratelli Musulmani, il 15 agosto 1959 Amîn al-Husaynî
trasferì a Beirut il quartier generale del Supremo Comitato Arabo per la
Palestina. Nel 1961 fu in India, in Pakistan e alla Mecca, dove organizzò
la Conferenza Mondiale Islamica di sostegno alla causa palestinese che ebbe
luogo a Bagdad nel maggio 1962.
Due anni dopo, nel marzo 1964, il primo Consiglio Nazionale Palestinese
sancì la formazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e
ne elesse presidente Ahmad al-Shuqayrî. Per quanto convinto che l'unico
rappresentante del popolo palestinese fosse il Supremo Comitato Arabo e
quindi non approvasse la nascita dell'OLP, Amîn al-Husaynî diede tutto il
suo appoggio al nuovo organismo quando vide che questo godeva della fiducia
dei Palestinesi. Il 27 dicembre fu lui ad assumere, in Somalia, la
presidenza della sesta Conferenza Islamica, che riconfermò l'appoggio alla
causa palestinese.
Dopo essere rimasto trent'anni lontano da Gerusalemme, il Gran Muftì vi fece
ritorno nel marzo 1967, alla vigilia dell'aggressione sionista contro i
paesi arabi. Fu un'accoglienza trionfale, superata soltanto
dall'impressionante corteo di Beirut che sette anni più tardi accompagnò le
spoglie mortali dell'instancabile mugiàhid: al-Hâj Amîn al-Husaynî accedette
alla Terrasanta celeste il 4 luglio 1974.
Claudio Mutti
1. Autobiografia di Malcolm X, Torino 1967, p. 389.
2. "Il Gran Muftì è un uomo che in politica non fa del sentimento. Capelli
biondi e occhi azzurri, sembra, nonostante il viso sparuto, che abbia più di
un antenato ariano. Non è impossibile che il miglior sangue romano sia
all'origine della sua stirpe". A. Hitler, Idee sul destino del mondo (trad.
it. dei Bormann-Vermerke), Padova 1980, vol.III, p. 478.
3. Sui rapporti del Gran Muftì con Mussolini, cfr. Renzo De Felice, Il
Fascismo e l'Oriente, Bologna 1988, passim e Luigi Goglia, Il Mufti e
Mussolini: alcuni documenti italiani sui rapporti tra nazionalismo
palestinese e fascismo negli anni trenta, "Storia Contemporanea", a. XVII,
n.6, dicembre 1986, pp. 1201-1253.
4. Già prima dell'arrivo del Gran Muftì a Berlino, comunque, si erano
verificate parecchie conversioni all'Islam. Nel novembre 1938 il periodico
francese "L'Univers" aveva pubblicato un articolo (Les adorateurs de
l'Islam) che, riprendendo notizie e affermazioni apparse su giornali
tedeschi ("Der Arbeitsmann", "Fridericus" ecc.), lanciava questo grido
d'allarme: "Gli Austriaci 'restituiti' al Reich devono sapere che, nella
loro nuova capitale, le sfere dirigenti preferiscono la religione di
Maometto al cristianesimo e che questa religione vede accrescersi il numero
dei propri aderenti anche nei registri ufficiali".
5. "L'invito, annunciato proprio il primo giorno della festa ebraica dei
Purim, venne fatto mentre in tutto il Gulag collaborazionisti nazisti,
ex-guardie fasciste e altri criminali di guerra aggredivano i prigionieri
ebrei, che si sentivano dire: 'La vostra fine è vicina' ". Louis Rapoport,
La guerra di Stalin contro gli ebrei, Milano 1991, p.212. Cfr. Yehoshua
Gilboa, The Black Years of Soviet Jewry 1939-1953, Boston, Little-Brown
1971, p.318. Così non sarebbe stato, poiché Stalin morì proprio per la
festa dei Purim, che nel 1953 cadde tra domenica 1 marzo e lunedì 2 marzo.