La Rivoluzione Neolitica fu interamente una buona cosa?

Circa 10.000 anni fa – abbastanza recentemente nei quattro milioni di anni dell’evoluzione umana – le comunità cominciarono a fare meno affidamento sulla caccia, sulla pesca, e sul foraggiamento per il cibo e si basarono sulle piantagioni e sull’allevamento di bestiame. Questo cambiamento, conosciuto come Rivoluzione Neolitica (Nuova Età della Pietra), aprì la strada alla proprietà terriera, alla vita di città, al patriarcato, alla schiavitù, alla conquista imperiale, e a tutte le altre delizie della “civilizzazione” – ossia, alla società di classe. In genere è stato visto come un gran passo in avanti per l’umanità. Questa fu la visione adottata da Marx, il quale credeva che lo sviluppo della società di classe avrebbe alla fine portato a un ritorno alla vita comunale a un più alto livello tecnologico.

E tuttora ereditiamo un mito che rimpiange la vita preneolitica come un paradiso perduto. La Bibbia ci dice che Dio cacciò Adamo dal Giardino dell’Eden, perché coltivasse il suolo maledetto (“spine e cardi produrrà per te”) e mangiasse il pane con il sudore del suo volto. Per quanto riguarda Eva, lei doveva partorire bambini con dolore ed essere dominata da suo marito (Genesi 3: 17--19, 23). Se solo avessero giocato bene le loro carte!

Ma com’era veramente la vita per i nostri antenati preistorici? Ci sono due tipi di testimonianza. Possiamo imparare veramente molto circa gli aspetti materiali della loro esistenza – che cosa mangiavano, che utensili usavano, quanto spesso si spostavano, quanto sani erano – dalla documentazione archeologica, sebbene la sua interpretazione sia qualche volta aperta a controversie. Possiamo anche usare le informazioni accumulate nei tempi moderni riguardo alle persone che stanno ancora vivendo di caccia e di raccolta, come per esempio gli aborigeni australiani e i boscimani sudafricani, tenendo in debita considerazione il cambiamento nelle condizioni ambientali. Quindi, molti gruppi contemporanei dell’Età della Pietra sono stati espulsi negli ambienti “marginali” semideserti. Nei tempi preistorici la gente viveva sotto una vasta scelta di condizioni naturali, spesso molto più favorevoli per la vita umana rispetto all’entroterra australiano o del Kalahari.

Perfino in questi ambienti marginali, tuttavia, i cacciatori/raccoglitori superstiti vivono una vita piuttosto semplice, lavorando in media appena due o quattro ore al giorno. Molte ore diurne sono spese socializzando, ballando o sonnecchiando. (Vedi Marshall Sahlins, Stone Age Economics, Tavistock Publications, 1974.) La loro dieta è adeguata nella quantità, variegata e nutriente. Per esempio, i boscimani del Kalahari mangiano più di un centinaio di varietà di piante, inclusi frutti, bacche, noci, giuggiole, radici e bulbi, verdure a foglie, fagioli, e meloni. La testimonianza archeologica suggerisce che i nostri antenati dell’Età della Pietra erano anche generalmente ben nutriti e in salute. Gli ultimi scheletri paleolitici provenienti dalla Grecia e dalla Turchia mostrano un’altezza media di 5’ 9” [1,753 m] per gli uomini e 5’ 5” [1,651 m] per le donne, in comparazione con 5’ 3” [1,6 m] e 5’ 0” [1,524 m] per gli scheletri di un più tardo periodo agricolo (3.000 AC).

Almeno fino a tempi recentissimi, l’agricoltura comportava considerevolmente più lavoro della caccia e della raccolta. Inoltre, come Dio avvertì Adamo, era un lavoro molto più estenuante delle attività che sostituì. Gli agricoltori tipicamente hanno fatto eccessivamente affidamento su uno o due tipi di cereali o di tuberi (grano, mais, riso, patate). Se il raccolto falliva, morivano di fame: fa tornare alla mente la malattia delle patate che causò la grande carestia irlandese. Oltre a essere meno sicura, la loro fornitura di cibo era più povera per quanto riguarda la qualità nutrizionale, con più carboidrati e meno proteine e vitamine.

Per di più, l’agricoltura era anche dannosa per la salute della gente. I densi insediamenti facilitavano la trasmissione di malattie e rendevano più difficile l’eliminazione dei rifiuti umani dalle zone abitate. Il disboscamento dei terreni per l’agricoltura creò gli habitat per le zanzare.

Perché quindi i nostri antenati all’improvviso abbandonarono il loro consueto modo di vivere e optarono per l’agricoltura? Mark Nathan Cohen (The Food Crisis in Prehistory, Yale University Press, 1977) sostiene che da molto tempo sapevano come piantare, diserbare, e perfino irrigare le piantagioni, e, come molti gruppi amazzonici oggi, lo facevano selettivamente su scala ridotta. Non solo cacciavano, pescavano e cercavano foraggi; facevano anche del giardinaggio. Ma scelsero di non coltivare fino a quando furono forzati a farlo dal graduale aumento della pressione della popolazione sulle risorse. Nonostante i suoi svantaggi, l’agricoltura può fornire più cibo per area unitaria e quindi può sopportare una popolazione più densa.

Effettivamente, chi scambierebbe volontariamente l’eccitazione della caccia, l’accomodante compagnia delle spedizioni per la ricerca di foraggio, o la sperimentazione creativa del giardinaggio nelle foreste pluviali per il monotono e faticosissimo lavoro della coltivazione del suolo?

Lo sviluppo preistorico delle capacità di giardinaggio dimostra che nelle comunità “primitive” ci furono dei progressi tecnologici e, inoltre, che essi tendevano ad assumere forme più ecologicamente sostenibili di quelle adottate nella società di classe. Quindi la transizione verso l’agricoltura non marcò l’inizio del progresso tecnologico.

Alcuni hanno suggerito che la Rivoluzione Neolitica probabilmente è stata socialmente regressiva anche in un altro senso. I gruppi contemporanei dell’Età della Pietra sono culturalmente aperti. Il matrimonio misto è comune attraverso i confini non solo di gruppi locali ma anche di comunità più vaste i cui individui parlano la stessa lingua. Fra i boscimani, “gli individui sono liberi di spostarsi da gruppo a gruppo, di beneficiare delle risorse locali, e di partecipare a qualunque sforzo sociale cooperativo che gli si presenti dovunque essi siano” (Cohen, p. 62), Lo stesso sarà applicato, noi speriamo, in una futura società socialista. Secondo molti studiosi della preistoria, l’estesa distribuzione geografica di identiche serie di arnesi (per esempio, il complesso degli utensili acheuleani) indica una simile apertura culturale nell’Età della Pietra. Solo nel periodo che immediatamente precedette la svolta verso l’agricoltura la società dell’Età della Pietra si fratturò in gruppi “tribali” chiusi.

L’argomento, tuttavia, secondo cui la Rivoluzione Neolitica e le società di classe che emersero da essa sono state socialmente regressive in ogni aspetto non può essere sostenuta. Le loro conquiste culturali, scientifiche e tecnologiche non possono essere negate. Ma nello stesso modo in cui contempliamo gli ultimi pochi millenni, pieni di sofferenza, di futilità, e di degradazione morale ed ecologica, potremmo anche chiederci se i danni sono stati di più dei guadagni.

La realizzazione del socialismo, guardando indietro, giustificherà il doloroso sentiero che ci ha condotti ad esso? Il socialismo, sfortunatamente, è una prospettiva molto più incerta di quanto Marx pensasse. Se non ci svegliamo in tempo dall’incubo della società di classe, la Rivoluzione Neolitica dovrà essere considerata come un evento cruciale che diede l’avvio alla fatale degenerazione della nostra specie e alla finale devastazione del nostro pianeta. In fin dei conti, nell’Età della Pietra avevamo già il socialismo, anche se a un livello tecnologico significativamente più basso.

Per salvare la specie e il pianeta è necessario un ritorno alla vita comunale di quei giorni ma a un livello tecnologico più alto.

(Traduzione da Socialist Standard, dicembre 2006)