Guantanamo: Si sono uccisi per fare pubbliche relazioni
Fonte: La Stampa
Il giudizio del dipartimento di Stato sul suicidio dei detenuti
Un gesto di disperazione, come sostengono gli attivisti per la difesa
dei diritti umani? Un «atto di pubbliche relazioni per attirare
l'attenzione», come suggerisce un alto funzionario del Dipartimento di
Stato, Coleen Graffy? O un omicidio mascherato, come accusano parenti
e avvocati difensori dei tre «sospetti terroristi» trovati morti
sabato nel campo di Guantanamo? Mentre si moltiplicano gli appelli
internazionali per la chiusura di un carcere che Amnesty definisce «un
gulag moderno», crescono i dubbi sulla versione fornita dalle autorità
americane sulla morte dei tre arabi, due sauditi e uno yemenita. I
militari responsabili del campo sull'isola di Cuba - dove dal gennaio
2002 sono rinchiusi senza mai essere stati processati uomini
sospettati di legami con Al Qaeda o i talebani afghani - sostengono
che si sono impiccati nelle loro celle con cappi improvvisati messi
insieme con lenzuola e abiti. Ma, si chiedono i loro avvocati, come
sono riusciti ad aggirare una sorveglianza capillare e continua come
quella praticata a Guantanamo?
Tutti i dubbi saranno chiariti dall'autopsia, garantiscono i
reponsabili del campo repingendo le accuse. Qualunque ne sia l'esito,
la morte dei tre prigionieri costituisce un duro colpo per il
presidente Bush e l'immagine degli Stati Uniti nel mondo. Il timore,
fra quanti credono al suicidio, è di trovarsi all'inizio di una vera e
propria «epidemia» di morti volontarie. «Le condizioni nel carcere
provocano forme di despressione dalle quali cercano di uscire col
suicidio», denuncia Mark Denbeaux, insegnante di diritto
all'Università del New Jersey e difensore di due tunisini. Uno di
loro, sostiene Denbeaux, «sta tentando di uccidersi con lo sciopero
della fame». Ma il suo caso non è il solo: «Sull'intero campo grava un
fetore di disperazione».
Le autorità militari ribattono c he le condizioni dei detenuti sono
«normali»: «Questi uomini! sono de terminati, intelligenti e
continuano a fare quello che possono per diventare martiri», sostiene
il contrammiraglio John Craoddock. Nel frattempo le proteste
aumentano, nel mondo: in un'intervista alla Cnn il premier danese
Rasmussen ha lamentato che le procedure di detenzione a Guantanamo
«violano il principio stesso della legalità». Secondo il ministro
degli Esteri svedese Eliasson i suicidi sono «una tragica conseguenza»
delle condizioni di detenzione: «Il campo va chiuso». La presidenza di
turno europea dovrebbe rivolgere un appello a Bush - si augura il
coautore del rapporto Onu su Guantanamo, Nowak - in occasione del
vertice Ue-Usa in programma il 23 giugno. Perfino fra i repubblicani
si registrano perplessità: il senatore Arlen Specter ha dichiarato
ieri che la mancanza di accuse precise contro i detenuti costituisce
«un grave problema», e che molte persone sono state portate a
Guantanamo «sulla base di prove poco convincenti». La chiusura del
campo, obietta tuttavia Co leen Graffy, sarebbe «un processo
complicato» e porrebbe problemi molto seri: «Cosa accadrebbe ai
detenuti» una volta liberati? Soltanto una decina dei 460 prigionieri
sono stati incriminati e sono in attesa di comparire davanti al
tribunale militare. Tutte le udienze sono però state sospese in attesa
della decisione della Corte Suprema, attesa entro la fine del mese e
sollecitata da un detenuto yemenita che contesta la legalità dei
tribunali militari: se la Corte respingerà il suo ricorso, i processi
dovrebbero svolgersi rapidamente.
In caso contrario non è chiaro che cosa accadrà. Prima di pronunciarsi
in merito, comunque, la Corte dovrà rispondere a un quesito sulla
propria competenza posto dall'Amministrazione Bush, che ha chiesto ai
giudici supremi di ricusarsi sulla base di una recente legge sul
trattamento dei detenuti: se la Corte si dichiarerà incompetente, i
tribunali militari saranno di fatto validi e tutte le procedure
avviate dai prigionieri davanti a corti civili saranno annullate.