Siamo all’ultimo passaggio elettorale di questa primavera. La scelta è tra il programma esplicitamente non federalista del centro sinistra e quello parafederalista del centro destra. Il confronto sui media avviene sulle minori o maggiori possibilità di una positiva trasformazione della forma istituzionale e di governo a seconda che vincano i Sì oppure i No. Si discute, quindi, non tanto sui testi disponibili, quanto sul loro probabile destino a seconda dello schieramento vincitore. Come dire: il gioco vero si farà dopo. E in Sardegna possono le future nostre istituzioni essere un’altra cosa? Sfuggire alle logiche, più o meno decentratrici, dei due schieramenti italiani? Rendendo, finalmente
operativo un nostro federalismo solidale? Sarà che abbiamo impiegato più di cinque anni a privarci di un’assemblea costituente, mentre
in Italia forse ci si ritorna. Sarà che il referendum anti-devolution porterà a parlare di nuovi assetti costituzionali. Sarà che noi sardi continuiamo a subire dall’esterno gli ordini del giorno della nostra storia. Ma che, comunque, anche da noi la nuova Consulta dovrà iniziare a operare. Dopo tutto questo: su che cosa andrà a impegnarsi la nuova stagione della democrazia e della partecipazione che rinnovi un’altra promessa di prosperità per la Sardegna? Su un nuovo centralismo, che ci vede perdenti e ultimi nella lista delle regioni,
o su un coraggioso federalismo, con tutti i crismi della correttezza e della chiarezza istituzionale? Bisogna governare la Sardegna come uno stato, ripeteva un nostro noto giornalista. La Sardegna è un soggetto giuridico che, per la sua storia, le condizioni geografiche,
sociali, culturali ed economiche ha bisogno di un suo autogoverno, e quindi di una classe dirigente veramente autonoma, che riservi a se stessa quei diritti e quelle capacità di autonormazione che è possibile ottenere da strutture statali più vaste e più articolate rispetto a quanto l’Italia finora ha concesso. La sua classe dirigente dovrebbe sentirsi totalmente libera di agire, senza negarsi alcuna possibilità. Anche ai
sardi conviene in questo momento avere le mani libere in attesa che i propri organismi decidano linee, obiettivi e testi delle future loro istituzioni. E decidere di conseguenza. Astensione, Sì, No. L’importante è che la motivazione sia “nostra”. Di nostra convenienza. Dato
che le differenti specificità non ci consentono di trovare una reale sintonia in alcuna delle soluzioni che ci vengono proposte.
Salvatore Cubeddu