Cattolici e politica.......fino a dove?

Un autevole amico mi ha suggerito di preparare una nota per chiarire il rapporto tra fede cattolica e politica. Anche a Gesù fu posta una domanda analoga, ma con spirito di malizia, quando gli chiesero se era lecito pagare il tributo a Cesare. Gesù smascherò la malizia, perché qualunque risposta avesse dato gli avrebbe suscitato contro l’ostilità degli ascoltatori. Scelse la via superiore e si fece mostrare una moneta con l’effigie di Cesare, affermando che occorreva dare a Cesare ciò che era di Cesare.



Esiste il dovere di occuparsi di Politica?

Ci sono alcuni che, in modo piuttosto ingenuo, affermano di non occuparsi di politica, lasciando capire che la ritengono qualcosa di sporco, di fazioso, un campo nel quale si scatenano odi e contrasti, generando divisioni e conflitti. A costoro si può obiettare che, per politica, occorre intendere l’ambito in cui si prendono le decisioni che in seguito dovranno valere per tutti e che saranno sostenute col vigore della legge. In altre parole, è l’ambito in cui si deve attuare il bene comune, ossia qualcosa che è bene per tutti, anche se molti possono non capirlo (per esempio l’aumento della tassazione o alcune limitazioni alla libertà individuale).

Appare evidente che il sottrarsi al dovere di partecipare all’elaborazione di ciò che forma il bene di tutti, non può essere approvato da una retta coscienza morale cristiana. Occorre dunque prendersi cura del bene comune partecipando, nella misura delle proprie forze, all’elaborazione della politica nella propria città e nel proprio Stato. Occorre aggiungere, tuttavia, che la soluzione dei problemi politici non è mai univoca, ossia non esiste la soluzione cattolica dei vari problemi sociali ed economici. Detto in altri termini, le soluzioni politiche dei problemi umani sono molteplici. Inoltre, la società moderna è divenuta tanto complessa da non permettere la relativa semplicità della società d’altri tempi, più somigliante a una famiglia, a un clan, a una tribù, piuttosto che alla società attuale, di estensione universale, sottoposta a relazioni internazionali che ci rendono estranei ai vicini di casa, mentre ci collegano a persone e istituzioni molto lontane geograficamente, a noi unite da identità di interessi.



Dalla comunità alla società

Il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies esaminò magistralmente la differenza tra “comunità”, l’organizzazione sociale dove tutti si conoscono e condividono un costume e un’etica sociale posti a fondamento di un gruppo umano inteso come espansione di una famiglia, e la “società” con cui designamo un complesso di relazioni che ci trascende. Con la rivoluzione industriale e le nuove tecniche di produzione si affermarono nuovi modelli sociali proposti dalla trionfante borghesia. Venne meno il concetto di solidarietà della comunità e si affermò il modello di una classe sociale egemone, perché essa sapeva che cosa e dove produrre, al riparo da ogni vincolo della tradizione, esigendo una prassi economica liberata da ogni obbligo di assistenza verso coloro che non sanno essere autosufficienti.

Peraltro, la cultura illuminista che sorreggeva l’ascesa della borghesia, era convinta che il mondo fosse pieno di ricchezze sconfinate in attesa d’esser sfruttate, e che l’arricchimento sarebbe divenuto generale in seguito ai progressi di una scienza in grandioso sviluppo che, a cascata, avrebbe distribuito i suoi doni anche ai ceti più umili della società. La caratteristica principale del ceto borghese è di essere aperto, ossia pronto a ricevere chiunque sia in grado di arricchirsi col suo lavoro, così come cessano di farne parte coloro che impoveriscono o perdono la stima degli altri borghesi. In altri termini, il ceto borghese era democratico nel senso che superava la chiusura aristocratica, legata a una concezione ereditaria in base al sangue o a una tradizione che faceva riferimento al passato. Il tempo della borghesia era il futuro da plasmare secondo la propria concezione dei valori.



La democrazia come passaggio dal qualitativo al quantitativo

Col trionfo della borghesia è innegabile il trionfo della quantità sulla qualità. Poiché la felicità non è misurabile, viene scelta come unità di misura la quantità, ossia il patrimonio accumulato che può supplice il deficit di tradizione, ma che risulta un’ottima premessa per il futuro. Nella nuova società, tolto il valore della tradizione, della concezione sapienziale della vita, della religione ormai assegnata al passato, occorreva trovare un criterio valido per tutti e idoneo a misurare il gradimento dell’opinione pubblica. Nell’Inghilterra, il primo paese che aveva sperimentato quanto fosse costosa una guerra civile, verso la fine del XVII secolo, si sviluppò l’idea di pubbliche elezioni, nel corso delle quali i partiti competevano per garantirsi il voto degli elettori. Il partito vincitore riceveva il compito di guidare la politica di sua maestà fino alla scadenza del mandato elettorale, fino alle successive elezioni. Il premier dettava la politica di sua maestà come se rappresentasse tutta la nazione. Nessuno sosteneva che questi principi fossero necessariamente razionali. Essi apparivano ragionevoli e rappresentavano l’alternativa alla guerra civile.



La Massoneria

La Massoneria inglese, organizzata a Londra a partire dal 1717 dal pastore presbiteriano Andersen e dall’ugonotto francese Dasaguliers, ritenne opportuno fare i conti con la nobiltà e con la religione. Per quanto riguarda la nobiltà essa fu equiparata alla nuova nobiltà del denaro accolta con pari dignità. Fu superata anche la discriminazione di razza quando gli ebrei ricchi di Amsterdam furono accettati nella Massoneria. Per quanto riguarda la religione fu effettuato un completo passaggio al deismo, proclamando una religione nei limiti della ragione, che bandiva i dogmi dichiarandoli residui irrazionali, invenzione di preti litigiosi. Per far posto agli ebrei, non si parlò più di cristianesimo e si inventarono alcuni miti collegati a Hiram, il mitico costruttore del tempio di Salomone.

La Massoneria adottò in pieno il metodo democratico, ossia far propria la decisione emersa da una discussione che metteva ai voti le varie proposte. Una volta approvata, la risoluzione diveniva obbligante per tutti i fratelli massonici. Nel metodo massonico, è implicito che non esiste alcuna verità assoluta, che tutto può essere discusso e manipolato, avendo come unico limite la necessità di trovare la maggioranza di voti per ogni tendenza. Tutto ciò ha significato un lancio meraviglioso del nascente giornalismo, il cui compito è di rendere irrilevante il peso della tradizione, a favore di una visione moderna del reale, accusando di dogmatismo ottuso la Chiesa cattolica, colpevole di non accogliere questa visione “moderna” della società, ma soprattutto di rimanere attaccata alla visione monarchica della propria struttura, con un Papa avente un potere superiore ai vescovi.

A queste considerazioni possiamo aggiungere il fatto che le Comunità religiose uscite dalla Riforma protestante, non fecero mai serie obiezioni alla Massoneria e ai rapporti sociali da essa sostenuti. Per questi motivi, il nemico da battere fu identificato nella Chiesa cattolica che sembrava ancora coincidere con gli Stati retti dalla dinastia dei Borbone in Francia, Spagna, Regno di Napoli ecc.



La formazione dei partiti politici

Le elezioni comportano la nascita dei partiti, ossia di fazioni che mirano alla conquista del consenso dei cittadini per esercitare il potere a favore di determinati gruppi di interesse. Le prime attribuzioni dei parlamenti medievali non erano di natura politica o militare, bensì unicamente finanziaria, ossia suddividere il carico fiscale tra le varie classi di cittadini, secondo il noto principio “nessuna tassa senza il controllo della spesa”. Tuttavia, attraverso le manovre finanziarie, era facile compiere il passo in direzione di chiare attribuzioni politiche, nel senso di arrivare a dirigere la politica del sovrano.

Questo passo fu compiuto all’inizio del XVIII secolo in Inghilterra, e suscitò il desiderio di emularlo anche in altri paesi, specialmente in Francia e in America dove, nel 1776, avvenne la proclamazione dell’indipendenza delle Tredici colonie atlantiche dalla madrepatria, seguita dalla Costituzione federale che favorì la formazione dei due fondamentali partiti politici della tradizione americana. A partire dal 1789, iniziò in Francia la notissima rivoluzione, rimasta esemplare per tutte le rivoluzioni politiche successive. Anche in Francia si formarono alcuni partiti poliitici, ma seguendo alcune peculiari modalità che è opportuno rilevare. Infatti, mentre negli Stati Uniti era già in atto il principio della libertà personale comprendente la libertà di professare la propria religione, in Francia, dove in teoria non esisteva pluralismo religioso, finì per affermarsi non la libertà di professare qualunque religione, bensì la libertà da ogni religione. Esisteva un precedente del secolo XVI, quando la Francia fu divisa dalla guerra civile e le due parti contendenti si rivolgevano al cattolicesimo e al calvinismo per reclutare partigiani. In quei frangenti, si formò il partito dei politiques che prescindeva dalla religione, pur di mantenere l’unità della Francia. In quel paese perciò si ebbe la formazione di partiti politici che avevano di mira la libertà da ogni religione, trovando nella Massoneria e nelle modalità dei suoi lavori il modello da imitare.



La democrazia è un valore assoluto?

Nel XX secolo, l’Europa ha sperimentato la sua crisi più acuta assistendo alla formazione di tre dittature di massa. Nell’Unione Sovietica fu sperimentato il partito unico con elezioni farsa e con la lotta politica che aveva luogo all’interno dell’unico partito ammesso alle competizioni elettorali. Qualcosa del genere avvenne anche in Italia. In Germania, l’infelice esperimento di democrazia durante l’epoca della Repubblica di Weimar suggerì a Hitler di arrivare al potere mediante libere competizioni elettorali, ma col proposito di abolirle nel futuro Terzo Reich, che sarebbe dovuto durare per mille anni. Tra il 1945 e il 1991, l’Europa ha conosciuto il crollo di quei totalitarismi di massa a beneficio dei sistemi democratici che in qualche modo hanno assunto un valore assoluto, contestato solamente da gruppi rivoluzionari come le Brigate Rosse o la RAF tedesca, emarginate dalla matura sensibilità democratica che le ha accomunate col gangsterismo.

Questo fatto ha avuto conseguenze anche all’interno della Chiesa cattolica, specialmente nell’area di lingua tedesca, dove appare insostenibile la concezione monarchica della Chiesa di Roma fin dal tempo del Concilio Vaticano II. Se questo è vero, occorre chiedersi se è necessario introdurre la democrazia nella Chiesa e perciò sottoporre a referendum la natura e il valore dei sacramenti, la rilevanza o meno di certe concezioni morali, le decisioni di vescovi e parroci. Ancora più concretamente, è lecito che papi e vescovi intervengano nel corso delle competizioni elettorali per orientare il voto dei fedeli cattolici in una direzione o nell’altra del corpo elettorale?



Un equilibrio difficile

In un certo senso, dopo le esperienze delle dittature di massa del secolo XX, non si può fare a meno della democrazia. Essa ci appare come il male minore, dopo aver costatato che qualunque altro regime è molto più pericoloso. Ma per altri versi, davvero tutto deve essere subordinato alla rozzezza di un sistema di misurazione quantitativo?. C’è stato un tempo in cui i cattolici hanno cercato di formare un partito unico in politica quando, al termine della Seconda guerra mondiale, in Francia, in Germania e in Italia si formarono alcuni partiti politici in qualche modo simili alla Democrazia Cristiana italiana. Un merito indiscusso di quei partiti fu l’avvio di una politica volta alla riunificazione europea. In seguito quei partiti si sono dissolti e non sembra imminente la loro rinascita.

I cattolici non sono cittadini di seconda categoria, incapaci di piena autonomia di valutazione, eterodiretti da una forza che li opprime. Essi sono portatori di alcuni convincimenti di natura così elevata che, se fossero adottati dalla società civile, sarebbero in grado di condurla a grandi altezze. Il rispetto per la vita, dal concepimento alla fine naturale, è un valore per tutti, non solamente per i cattolici. La difesa dell’integrità della famiglia naturale è importante per tutti, non solamente per i cattolici. Una scuola libera da ipoteche laiciste o marxiste è una garanzia per tutti, avendo costatato i guasti prodotti da quelle ideologie. I cattolici, in quanto cittadini attenti alle sorti del bene comune, come tutti gli altri cittadini, sono liberi di aderire a quei partiti che favoriscono la difesa dei propri interessi così come sono intravisti dalle varie classi sociali, ma in più devono avere profonda sensibilità per alcuni valori che sono tali in forza di una scienza superiore infusa dalla fede. Solamente essi possono affermare che la vita ha un valore che la rende intangibile in ogni momento, anche nel malato terminale, di cui non bisogna affrettare la morte col pretesto che non ha probabilità di salvezza o che le cure costano troppo in termini umani e valutari. I motivi banali per cui si fa ricorso all’aborto, evitando con cura che la madre veda il figlio attraverso la risonanza magnetica, perché in quel caso essa rifiuta l’aborto, è indice quanto mai eloquente dell’emotivismo che circonda questo argomento, con una presa di posizione da parte laicista che rivela l’estrema fragilità delle sue argomentazioni.

I cittadini cattolici, quando enunciano questi principi, non sono dei sopraffattori. Non si tratta di qualcosa che vada bene per loro per motivi opinabili. Forse senza merito, essi si trovano in possesso di verità che valgono per tutti gli uomini, alcuni dei quali sono oppressi da cecità settaria. L’aborto è un male per tutti, l’omosessualità è una malattia da cui occorre cercare di guarire. È noto che il fatto di proclamare il male un diritto per tutti, induce nella società una grave forma di scandalo che travolge i più deboli.

Perciò, a qualunque formazione politica i cattolici vogliano aderire, devono operare attivamente per riaffermare la verità, riconoscendo un superiore valore, a vantaggio di tutti gli uomini, nei principi che essi hanno abbracciato. E ciò accade in forza di una scienza di valore superiore a quello posseduto da una pseudoscienza che dichiara di voler eseguire tutto ciò che è tecnicamente possibile, agitando la minaccia che, ogni ostacolo frapposto alla tecnica, sia un’aggressione alla scienza. Occorre ribadire che la scienza è al servizio dell’uomo e non viceversa, secondo una prassi del tutto simile a quella seguita dai medici del terzo Reich che ritenevano lecite le più ripugnanti sperimentazioni sui prigionieri dei Lager, col pretesto che comunque si trattava di condannati a morte. Ognuno comprende che la posizione dei cattolici nei confronti della politica esige un equilibrio estremamente delicato, tutt’altro che semplice da mantenere, ma da trattare con profondo rispetto, perché possiede un grande valore ideale.



Suddito fedele del re, ma prima ancora di Dio

Thomas More, sul patibolo, affermò di morire da suddito fedele del re, ma prima ancora di Dio. Occorre che i cattolici sappiano di dover adottare lo stesso criterio e di non poter scambiare per un piatto di lenticchie questa superiore posizione culturale, donata loro dalla fede, non raggiunta mediante una presunta superiorità culturale rispetto agli altri uomini. In ogni caso, non devono cadere nella trappola di tenersi per sé, per il proprio criterio soggettivo, ciò che sanno essere vero per tutti gli uomini. Per ottenere questo risultato, ossia la diffusione della verità di cui sono portatori, devono prodigarsi in un’azione sociale in grado di annegare il male con la sovrabbondanza del bene, come fecero i primi cristiani che trasformarono la società antica, per molti aspetti simile alla società occidentale del nostro tempo, opulenta e disperata, ben descritta dal sonetto di Paul Verlaine nel suo famoso incipit “Je suis l’empire à la fin de la décadence”.


http://www.confrancesco.it/it/defaul...ent=309&mnu=23

********** ************