Risultati da 1 a 7 di 7
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    Predefinito comitato politico nazionale del 17 giugno

    CPN - Afghanistan: rifondazione deve votare contro la missione

    Ordine del giorno presentato al Cpn del 17 giugno da Salvatore Cannavò e Claudio Grassi
    respinto con 57 voti a favore e 100 contrari


    Il governo si appresta a varare il ritiro dei soldati italiani dall’Iraq. E’ una scelta importante in sintonia con le aspettative del popolo pacifista che ha contribuito alla vittoria dell’Unione. Tuttavia il rispetto di quelle aspettative esigerebbe una maggiore chiarezza e determinazione nelle operazioni di rientro che vanno al più presto calendarizzate in condizioni di sicurezza per il soldati italiani ma in tempi rapidi. Altrettanta sintonia non sembra essersi finora registrata per quanto riguarda l’Afghanistan.
    In Afghanistan le truppe italiani sono infatti collocate in un chiaro contesto di guerra che tenderà inesorabilmente ad aggravarsi per effetto della decisione Nato di aumentare le truppe e di estendere la propria azione al sud del paese con l’obiettivo di alleggerire la presenza dei soldati Usa inquadrati nella missione Enduring Freedom. L’Afghanistan rappresenta la prima scelta di guerra del governo Berlusconi nell’ambito della guerra globale preventiva inaugurata dall’amministrazione Bush. Una strategia che non ha diminuito i rischi di terrorismo ma semmai li ha aggravati contribuendo a destabilizzare ulteriormente il pianeta.


    Per queste ragioni l’Italia non può e non deve partecipare a quella missione. Il Prc non può che ribadire la propria coerente posizione, assunta negli ultimi cinque anni, e che chiede il ritiro dei soldati italiani dall’Afghanistan. Per questo Rifondazione comunista non può votare il rifinanziamento di quella missione. L’Unione e il governo Prodi dovrebbero prendere atto di questa posizione limpida e operare per un’inversione di rotta delle proprie priorità e linee strategiche in sintonia con quell’articolo 11 della Costituzione, inscritto nel programma di governo e che ribadisce con chiarezza che l’Italia ripudia la guerra.

    *****

    CPN: il documento presentato da Sinistra Critica

    a firma: Salvatore Cannavò, Franco Turigliatto, Flavia D’Angeli, Gigi Malabarba
    respinto con 13 voti favorevoli

    L’avvio del governo dell'Unione, la sua formazione, i suoi primi provvedimenti e annunci assumono un carattere particolarmente negativo tale da lasciare l'amaro in bocca in gran parte dell'elettorato di centrosinistra. Un inizio che si pone al di sotto delle nostre pur negative previsioni.

    Dall’allarme sui conti pubblici al ritiro al rallentatore dall’Iraq, dalla riconferma della missione militare in Afghanistan alla composizione pletorica dell’esecutivo, dal giudizio sul “folklore” comunista alla vicenda della Commissione Difesa scippata alla nostra Lidia Menapace, gli atti iniziali del governo non si pongono certo in linea con le aspettative di cambiamento, di riforma e di rottura con il berlusconismo che animano l’elettorato dell’Unione e che avevano motivato la scelta del Prc di sostegno al governo Prodi. Certo, i fatti elencati non costituiscono ancora materia di una verifica e di un bilancio ma segnalano una preoccupazione che dovrebbe interrogare il partito sulle scelte, i comportamenti e l’approccio fin qui seguito.
    1. Aspettando l’Iraq. Se è vero che il programma dell’Unione garantisce il ritiro dei soldati italiani dall’Iraq e se è vero che questo impegno è stato fin qui ribadito, è altrettanto vero che il ritiro è ancora solo annunciato e non calendarizzato e che i tempi di rientro assomigliano troppo a quelli stabiliti dal governo Berlusconi. Dietro questo atteggiamento c’è una palese volontà di non dispiacere troppo l’amministrazione Usa come dimostra l’immediato viaggio del ministro degli Esteri a Washington. Il rispetto della propensione pacifista dell’elettorato dell’Unione esigerebbe ben altra determinazione, ben altri gesti simbolici per segnare davvero una rottura con le politiche di guerra del governo precedente e della stessa amministrazione Bush. Per questo il ritiro immediato dall’Iraq resta ancora una priorità che il Prc persegue con nettezza.
    2. Via dall’Afghanistan. Ma è sull’Afghanistan che la posizione dell’Unione è contraddittoria con lo spirito pacifista dell’alleanza di centrosinistra. La scelta di non rimettere in discussione quella missione, ribadita dal presidente del Consiglio, dal ministro della Difesa e da quello degli Esteri, che parla addirittura di aumento delle truppe, costituisce ancora una volta, come al tempo del Kosovo, l’omaggio a una visione geopolitica multilaterale che condanna le guerre quando sono condotte unilateralmente dagli Usa ma le appoggia quando godono del sostegno europeo. Quella in Afghanistan, con buona pace dello stato maggiore e delle accuse della destra, è una missione di guerra che nasce sulle ceneri della prima guerra globale preventiva finalizzata ad estendere il dominio Usa su un territorio ad alta concentrazione di risorse strategiche. Il fatto che si tratti di missione Nato, sottoposta de facto al comando Usa, non fa che peggiorare questa condizione. Il ritiro dei soldati italiani è dunque un fatto necessario e urgente. Il governo deve procedere allo spacchettamento delle missioni e il Prc non può votare il rifinanziamento di quella missione pena la cancellazione di un principio fondante la sua stessa identità.
    3. No alla manovra-bis. La scelta di ricorrere a una manovra-bis ci appare sbagliata e pericolosa. Contraddicendo i risultati della commissione Faini – che parla di un deficit italiano al 4,1% contro il 3,8 denunciato dal centrodestra – il governo ha scelto la strada della drammatizzazione per dare un segnale di affidabilità all’Unione europea. Così facendo, invece di segnare una discontinuità nella fissazione dei parametri del Patto di stabilità – parametri che stanno alla base del rallentamento economico italiano ed europeo rispetto agli Usa i quali, è bene ricordarlo, mantengono un rapporto deficit/Pil al 6% - si sceglie la strada dell’europeismo liberista foriero della politica dei sacrifici di tutti gli ultimi quindici anni. Una scelta sbagliata e antipopolare che si ritorcerà sull’andamento dei salari e delle pensioni. Non a caso il ministro dell’Economia è arrivato a ventilare una manovra finanziaria di 40 miliardi di euro a base di “moderazione salariale”, tagli a sanità e pubblico impiego mentre ancora non è definita la quota di riduzione del cuneo fiscale che dovrà essere erogata a salari e stipendi. Non era questo il profilo descritto dal programma di governo senza contare che in Italia manovra-bis è sinonimo di stangata e senza contare che in sei regioni si rischia di arrivare alla manovra-tris. Non a caso i sindacati, a partire dalla moderata Uil, si sono detti contrari.
    Il Prc si batte per l’allentamento dei vincoli economici imposti dai trattati europei, rifiutando così la logica dell’emergenzialità e costruendo le basi per una Legge Finanziaria improntata a una reale redistribuzione del reddito, alla lotta all’evasione fiscale, alla tassazione delle rendite finanziarie e alla rimodulazione delle aliquote fiscali in grado di colpire i redditi più alti e l’incremento vertiginoso dei profitti.
    4. Un governo “sciancato”. Ma è l’impianto complessivo dell’azione di governo a destare sconcerto. Dal numero esorbitante di ministri e sottosegretari (102, il record repubblicano!), al ruolo risicato delle donne, dalle dichiarazioni di Prodi sul “folklore” comunista alle battaglie interne su deleghe e competenze, fino alla clamorosa bocciatura di Lidia Menapace alla Commissione Difesa del Senato, tutto fa pensare a un inizio che rimane al di sotto dello stesso riformismo liberale. Non a caso le critiche più pesanti sono arrivate da un luminare di quel pensiero come Eugenio Scalfari che ha parlato di governo “sciancato”. Non abbiamo mai creduto alle virtù riformistiche della coalizione e del governo Prodi e anzi, osteggiando l’ingresso del Prc al governo, abbiamo avvertito dei rischi cui il nostro partito sarebbe incorso. Al di là delle rispettive posizioni, che per parte nostra confermiamo, è però indubbio che un cambio di passo si rende oggi necessario.
    5. L’autonomia del Prc. Ma un cambio di passo è necessario anche nell’azione del Prc. Al di là di comportamenti e dichiarazioni politiche corrette e generose di molti esponenti del partito, a partire da coloro impegnati direttamente nel governo, è il profilo complessivo del partito a non convincere. Oltre alla scelta di una delegazione governativa ridottissima, fuori dai gangli essenziali dell’esecutivo, al limite dell’appoggio esterno, è l’approccio alla vita dell’Unione che va cambiato. Rifondazione deve rimarcare la propria autonomia di iniziativa e di posizione rispetto alla componente moderata e che tuttavia rappresenta la guida del governo. Operare solo da una rigida mediazione politica centrale trasmessa poi agli organi del partito rischia di tradursi in una mediazione al ribasso. Occorre invece avanzare con nettezza le proprie posizioni, coinvolgendo il partito (direzione nazionale, dipartimenti, gruppi di lavoro) e i gruppi parlamentari in una discussione reale per poi misurare le mediazioni possibili e quelle non possibili. E cominciare a verificare l’azione di governo sulla base dei risultati ottenuti e delle priorità selezionate: abrogazione della legge 30, chiusura dei Cpt, cancellazione della riforma Moratti, ritiro delle truppe rimangono delle priorità sancite dalla nostra storia recente e dalle aspettative che su di noi si sono depositate. Senza questa autonomia di iniziativa, il Prc corre il rischio, dimostrato alle recenti elezioni amministrative, di un drastico ridimensionamento elettorale per effetto di una “diluizione” dentro le posizioni dell’Unione, ma anche di non rendersi utile nemmeno in una pratica di movimento.
    6. I movimenti e la delega. I movimenti sociali infatti vivono una fase di aspettativa e di delega. E’ un fatto naturale ma anche pericoloso che scarica sulla mediazione parlamentare qualsiasi elemento di conflitto. Ovviamente non sta a noi indicare ai movimenti l’agenda – comunque segnali interessanti ci sono come la mobilitazione dell’Atesia, l’iniziativa contro la precarietà annunciata per l’8 luglio, la formazione della Rete 28 aprile, l’unificazione di Sult, Cnl e SinCobas, le mobilitazioni ambientaliste – ma semplicemente di non dismettere una internità che la presenza al governo rischia di incrinare e danneggiare. Nell’immediato, comunque, ribadiamo il pieno sostegno e la costruzione di appuntamenti importanti come l’assemblea contro la precarietà dell’8 luglio per arrivare a una grande manifestazione di piazza in ottobre per l’abrogazione della legge 30; la vertenza dei lavoratori Atesia; il rinnovo contrattuale della Fiat; la vertenza del settore trasporti; le vertenze in difesa dei beni comuni, come l’acqua e per la difesa ambientale dai progetti di alta velocità e di ristrutturazione energetica; la vertenza degli studenti; quella dei migranti e per la chiusura dei Cpt; quella delle donne per i diritti civili a partire dalla modifica della legge 40 e quelle del movimento Glbtq come il Gay Pride di oggi; la più ampia mobilitazione e presenza del movimento pacifista.
    7. Il referendum costituzionale. Da subito occorre però impegnarsi con grande forza per la vittoria del No al referendum del 25 e 26 giugno per dire No alla controriforma delle destre ma anche per ostacolare l'avvio bipartisan di una nuova bicamerale, per esprimere la nostra contrarietà alle riforme costituzionali del centrosinistra del ' 99 (elezione diretta presidenti delle regioni) e 2001 (cosidetto federalismo), per dire no alla devolution della destra e alla sussidiarietà del centro sinistra che nei fatti aprono la strada alla privatizzazione dei servizi. Non abbiamo una concezione imbalsamata della costituzione: pensiamo infatti che ci siano modifiche importanti come la cittadinanza per i migranti, la difesa costituzionale dei beni comuni, il riconoscimento delle nuove forme di convivenza. Anche per queste ragioni occorre battere il tentativo di scardinamento operato dal centrodestra.
    8. Il partito che non c’è. Per quanto riguarda il partito, dopo l’ingresso al governo e la crescita dei gruppi parlamentari si tratta di contrastare le tendenze all’istituzionalismo e allo svuotamento delle sedi di partito, così come occorre sconfiggere la tendenza agli interessi personalistici che hanno caratterizzato alcune recenti elezioni amministrative. C’è bisogno di più partito, di più organizzazione, di maggiore presenza nel movimento, di maggiore dibattito interno e di maggiore coinvolgimento attorno a un’agenda sociale netta e tempestiva. Per questo giudichiamo molto negativa la scelta di comporre ancora una volta una segreteria della sola maggioranza – che si traduce in una costante emarginazione delle minoranze dalla vita del partito - così come va ormai constatato il fallimento della formula organizzativa varata al congresso con la formazione di un esecutivo che non ha mai funzionato e che ha moltiplicato, depotenziandole, le strutture di direzione. Un ripensamento complessivo e l’avvio di una nuova fase si rende ormai necessaria.
    9. La sinistra europea. E’ in questa ottica che va affrontato il progetto della sinistra europea. Questa infatti si presenta al momento come un’idea astratta priva di agganci concreti. Quello che va ribadito con chiarezza è che: non esistono le condizioni programmatiche e organizzative per superare il Prc e fondare un nuovo partito; esiste, certamente, lo spazio per dar vita a un “fronte unitario” tra differenti soggettività, politiche, sociali, sindacali, culturali, in grado di dare vita a un luogo e a uno spazio, soprattutto di lotta e di movimento, per una più forte e ampia sinistra anticapitalista, femminista, ecologista, internazionalista; in questo quadro resta però una necessità irrinunciabile il rafforzamento dell’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione comunista e dei Giovani comunisti.

    *****

    PRC: OK A NUOVA SEGRETERIA, MA C'E' DISSENSO

    Il comitato politico nazionale di Rifondazione comunista ha dato il suo ok alla nuova segreteria, che completa il ricambio del gruppo dirigente dopo l'avvicendamento alla guida del partito tra Fausto Bertinotti e Franco Giordano. Il via libera e' giunto con una votazione contrastata (98 voti a favore, 73 contrari e 7 astenuti) che ha visto una parte della maggioranza uscita dall'ultimo congresso di Venezia unirsi al voto negativo delle minoranze dell'Ernesto, 'Sinistra critica' e 'Falce e martello'. Il disagio di una parte della maggioranza per le nuove nomine e' stato espresso dall'ex segretario di Democrazia proletaria ed ex capogruppo Prc al Parlamento europeo, Luigi Vinci, che aveva chiesto di soprassedere alla votazione sulla segreteria. Dell'organismo dirigente del Prc entrano a far parte Walter De Cesaris, che sara' il coordinatore della segreteria, il responsabile dei giovani comunisti Michele De Palma, la responsabile immigrazione Roberta Fantozzi e il sindacalista Fiom e neo deputato Maurizio Zipponi, che assumera' il ruolo di responsabile lavoro ed economia. Nuovo tesoriere del partito e' Sergio Boccadutri, che ha ottenuto un consenso maggiore rispetto ai nuovi componenti della segreteria in una diversa votazione.


  2. #2
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    chi sono i dissidenti della maggioranza, oltre vinci??

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    Citazione Originariamente Scritto da matteomatteo
    chi sono i dissidenti della maggioranza, oltre vinci??
    il voto sulla segreteria era a scrutinio segreto

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    Citazione Originariamente Scritto da assata
    Ordine del giorno presentato al Cpn del 17 giugno da Salvatore Cannavò e Claudio Grassi

    respinto con 57 voti a favore e 100 contrari

    Il governo si appresta a varare il ritiro dei soldati italiani dall’Iraq. E’ una scelta importante in sintonia con le aspettative del popolo pacifista che ha contribuito alla vittoria dell’Unione. Tuttavia il rispetto di quelle aspettative esigerebbe una maggiore chiarezza e determinazione nelle operazioni di rientro che vanno al più presto calendarizzate in condizioni di sicurezza per il soldati italiani ma in tempi rapidi. Altrettanta sintonia non sembra essersi finora registrata per quanto riguarda l’Afghanistan.
    In Afghanistan le truppe italiani sono infatti collocate in un chiaro contesto di guerra che tenderà inesorabilmente ad aggravarsi per effetto della decisione Nato di aumentare le truppe e di estendere la propria azione al sud del paese con l’obiettivo di alleggerire la presenza dei soldati Usa inquadrati nella missione Enduring Freedom. L’Afghanistan rappresenta la prima scelta di guerra del governo Berlusconi nell’ambito della guerra globale preventiva inaugurata dall’amministrazione Bush. Una strategia che non ha diminuito i rischi di terrorismo ma semmai li ha aggravati contribuendo a destabilizzare ulteriormente il pianeta.

    Per queste ragioni l’Italia non può e non deve partecipare a quella missione. Il Prc non può che ribadire la propria coerente posizione, assunta negli ultimi cinque anni, e che chiede il ritiro dei soldati italiani dall’Afghanistan. Per questo Rifondazione comunista non può votare il rifinanziamento di quella missione. L’Unione e il governo Prodi dovrebbero prendere atto di questa posizione limpida e operare per un’inversione di rotta delle proprie priorità e linee strategiche in sintonia con quell’articolo 11 della Costituzione, inscritto nel programma di governo e che ribadisce con chiarezza che l’Italia ripudia la guerra.

    Comunque il fatto che questo documento sia stato respinto mi pare gravissimo, voglio sperare sia dovuto solo ad una questione di antipatia tra diverse aree programmatiche. Se la maggioranza sull'Afghanistan adottasse sul serio una svolta a 180 dando un'espilicita approvazione alle politiche imperialiste degli USA e dei suoi alleati, si porrebbe automaticamente fuori dalla linea del partito.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da matteomatteo
    Comunque il fatto che questo documento sia stato respinto mi pare gravissimo, voglio sperare sia dovuto solo ad una questione di antipatia tra diverse aree programmatiche. Se la maggioranza sull'Afghanistan adottasse sul serio una svolta a 180 dando un'espilicita approvazione alle politiche imperialiste degli USA e dei suoi alleati, si porrebbe automaticamente fuori dalla linea del partito.
    credo che l'intervista di bertinotti sulla repubblica di ieri e gli articoli pubblicati su liberazione (tra cui la risposta di sansonetti all'articolo di cremaschi, che definisce le conclusioni di cremaschi stesso "burocratiche"... e questo è tutto dire ) spieghino abbastanza bene la situazione. in questo passaggio la subalternità all'unione rischia di essere non solo inossidabile, ma anche suicida.

  6. #6
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    Il governo di lotta dentro Rifondazione
    Ai «tradizionali» dissidi con le minoranze si aggiungono anche i conflitti interni alla maggioranza «dopo Bertinotti». La segreteria però accelera sulla Sinistra europea e invita tutto il partito a respingere le manovre neocentriste contro il governo

    Matteo Bartocci
    Roma

    Era soltanto l'8 maggio scorso ma per Rifondazione sembrano passati secoli. Intervenendo per l'ultima volta al comitato politico del partito Fausto Bertinotti, tra lacrime e abbracci, aveva provato a convincere i suoi nel giorno dell'addio. «Vedrete - disse allora - tutti si accorgeranno che il Prc non è stato il partito di Bertinotti, si vedrà quante risorse vi sono all'interno». Quaranta giorni dopo, invece, il gruppo dirigente «bertinottiano» di fatto non esiste più. Resta una maggioranza «liquida», frantumata in rancori personali e perfino disorientata, tra correnti balcanizzate e slanci di generosità. Non sono solo le corpose minoranze interne a dare battaglia su tutto, i dubbi albergano ovunque in modo trasversale.
    «Abbiamo sbagliato a sacrificare il nostro peso al governo puntando tutto sulla presidenza della camera», dice senza peli sulla lingua Luigi Vinci. Milanese, ex Dp, ex parlamentare europeo. Vinci oggi siede solo in direzione nazionale ma l'«area» da cui proviene, la Democrazia proletaria che fu, annoverava tra le sue fila il capo delegazione del Prc a palazzo Chigi Paolo Ferrero e il capogruppo al senato Giovanni Russo Spena. «Vinci parla solo a titolo personale» prendono le distanze molti che con lui sostennero al congresso il documento di Bertinotti. «E' tutto nella norma, sono le solite beghe di partito», minimizza anche uno solitamente poco reticente come Ramon Mantovani. Vinci però va giù duro e anche se elogia la relazione «attenta, concreta e finalmente realista» svolta da Franco Giordano racconta che «ormai il partito è alla balcanizzazione degli organismi dirigenti e, soprattutto in periferia, è animato da una miriade quasi ingovernabile di conflitti striscianti».
    Da più parti, al centro come dal territorio, arrivano voci di disagio e di malessere. E chi ha più dimestichezza con gli affari di partito nota come gli organismi centrali sono davvero quasi monopolizzati geograficamente: napoletani i due capigruppo e tutta del centro-sud la segreteria tranne la «new entry » Maurizio Zipponi, che viene dalla Fiom lombarda. Prova indiretta del malessere, forse, è il fatto che al comitato politico di sabato (che tra le altre cose ha approvato la nuova segreteria con il 55% dei consensi), non c'era certo la platea delle grandi occasioni. Tornano alla ribalta perfino le voci su uno scontro invernale tutto interno alla maggioranza e tenuto rigorosamente dietro le quinte sulla successione a Bertinotti: dove tra i «papabili» Migliore e Ferrero si sarebbe registrata un vera impasse risolta poi convergendo su Franco Giordano.
    Anche allora però i malumori vennero almeno parzialmente alla luce con il voto contro Giordano di Ramon Mantovani e di un fedelissimo di Bertinotti come Alfonso Gianni. Il congresso di Venezia a molti pare ormai di un'altra era geologica. «Per motivi nobili e meno nobili siamo al tutti contro tutti», incalzano a microfoni spenti le minoranze.
    La segreteria però smentisce contrasti e tiene la barra, sottolineando la decisione di accelerare sulla costruzione della Sinistra europea, un contenitore plurale che superi definitivamente la Rifondazione nata sul no allo scioglimento del Pci. L'interesse di associazioni, sindacati e della sinistra Ds è alto ma, notano con preoccupazione dalla maggioranza invitando alla responsabilità, «se non funzioniamo noi come partito come possiamo pensare che altri possano essere coinvolti?». Il calcolo politico, soprattutto sul coinvolgimento immediato dell'ex correntone Ds, è senza dubbio azzardato. La sinistra della Quercia è alle prese con un serrato braccio di ferro contro la nascita del partito democratico, e che possa passare in tempi brevi armi e bagagli nel partito europeo tuttora presieduto da Fausto Bertinotti è tutto da vedere. Zipponi, quasi sbalordito dal clima interno, nondimeno è fiducioso: «Il partito deve fare uno sforzo collettivo, è obbligato a farcela, siamo in condizioni irripetibili»: il governo, «il rapporto consolidato con i soggetti della trasformazione e con i movimenti» e l'ampio rinnovamento di classe dirigente rappresentano «per tutti noi un'occasione da non perdere», avvisa. Il Prc però si sente (ed è) dal giorno dopo il voto nel mirino dei cosiddetti «poteri forti». Un assedio asfissiante espresso quotidianamente sulle pagine del Corsera e del Sole-24 Ore. «I neoliberisti ci vogliono emarginare», certifica con un'intervista davvero irrituale su Repubblica lo stesso presidente della camera, scacciando l'illusione di chi vede le sinistre come un'intendenza utile a cacciare il mostro Berlusconi ma da mettere nell'angolo appena il gioco si fa duro.
    La leadership del partito, ovvio, non ci sta. Anzi, da via del Policlinico si lanciano chiari segnali interni: «Non si capisce perché delle critiche che tutti abbiamo fatto per esempio sull'Afghanistan si debba fare carico solo la maggioranza, sia rispetto al resto del governo sia rispetto ai pericoli di operazioni neocentriste ai quali assistiamo ormai da giorni». Il nemico, stavolta, pare al centro e non a sinistra.

    .........................................

    al di là di cosa sostengano Giordano, Gagliardi e bertinottiume vario, quest'analisi sullo stato del partito mi pare più che condivisibile.

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da assata
    credo che l'intervista di bertinotti sulla repubblica di ieri e gli articoli pubblicati su liberazione (tra cui la risposta di sansonetti all'articolo di cremaschi, che definisce le conclusioni di cremaschi stesso "burocratiche"... e questo è tutto dire ) spieghino abbastanza bene la situazione. in questo passaggio la subalternità all'unione rischia di essere non solo inossidabile, ma anche suicida.
    cosa ha detto Cremaschi?
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