Appello di POL:Cambiamo la costituzione

[delgado]

« Sei motivi per turarsi il naso e dire sì a questo pastrocchio » - di Gilberto Oneto Nella valanga di critiche forsennate e capziose che la sinistra rovescia addosso alla legge sulla devolution ci sono finite anche alcune osservazioni fondate: il testo è l'evidente compromesso fra le richieste della Destra più " patriottica" e quelle della Lega, e sono proprio le istanze federaliste a essere state più sacrificate sull'altare dei difficili equilibri dell'alleanza partitica. Ce ne sarebbe abbastanza per indurre a votare no gli autonomisti più decisi e in effetti ci sono molti gruppi radicali che lo faranno e che argomentano la loro posizione puntando il dito in particolare su alcuni punti incriminati del testo della riforma: la reintroduzione dell'interesse nazionale ( che era stato cassato dall'Ulivo), la contrazione delle attribuzioni regionali, l'eliminazione del concetto di flessibilità " alla spagnola", e la dolorosa cancellazione del principio di sovranità e di auto- legittimazione che era presente nel testo originario di Bossi e che è rimasto in un cassetto della baita di Lorenzago. Così lo Stato non riconosce alcun reale diritto naturale alle comunità locali e le briciole di autonomia sono graziosamente concesse, proprio come lo Statuto albertino, in base a un octroi, cioè una concessione al popolo dall'alto da parte del sovrano ( lo Stato). Bontà sua. Ce ne sarebbe di che incavolarsi, non solo per gli autonomisti più incalliti, ma anche per i federalisti più posati che non possono rinunciare all'inalienabile principio del potere che promana dal basso, fondamento di ogni democrazia liberale. Eppure - calma e gesso! - è nonostante tutto molto più responsabile votare sì a questo pastrocchio, pur senza alcun entusiasmo. Per una serie di ragioni che vale la pena di ricordare. Uno. Per la prima volta nella storia unitaria un ente locale " normale" ( che non sia cioè a statuto speciale) si vede riconosciuta in esclusiva una serie di competenze, sia pur striminzite, secondarie e sempre sotto la spada di Damocle dell'interesse nazionale. Ma è passato il principio. Due. Viene inserito l'obbligo di affrontare la basilare questione del federalismo fiscale. Non c'è da essere troppo ottimisti sugli esiti ( Roma non mollerà tanto facilmente i cordoni del borsellino contenente i soldi dei sudditi) ma almeno se ne dovrà finalmente parlare. Tre. Compaiono i termini Vallée d'Aoste e Südtirol: è poca cosa ma ci sono voluti 75 anni per iniziare a liberarsi dal fantasma di Tolomei. Q uattro. Se vince il no è la fine di ogni processo riformatore, alla faccia di chi ha cominciato a dire che dopo si tratterà. Balle: non si parlerà più di riforme per almeno una generazione. E non c'è neppure da sperare che entri finalmente in vigore la riforma del 2001: con la scusa della conflittualità fra Stato e Regioni, e facendosi scudo della volontà conservatrice della vittoria del no, ne elimineranno tutte le parti migliori. Se invece vince il sì, ci potrà essere lo slancio per fare un altro passo in avanti, si spera meno tremolante di questo. Cinque. Se vince il no qualcuno avrà la scusa per saltare fossi, inventarsi nuove alleanze e soccorrere il vincitore. Se vince il sì Prodi sarà in difficoltà e questo non può che portare vantaggi a tutti. Se vince il sì si fa un dispetto alla gerontocrazia degli Scalfàro e anche questo non guasta. Sei. Serve che il sì vinca in Padania per riaffermare con forza la necessità di affrontare la questione settentrionale e affidarla a sponsor più credibili di quelli che ha fino a oggi avuto. Autonomia politica e libertà economica camminano affiancate e si rafforzano a vicenda, ed entrambe fanno del bene ai diritti individuali e collettivi. Alla base del più antico e duraturo patto federale del mondo c'è il giuramento del Grütli, del 1291, con il quale i Cantoni svizzeri si univano per « difendere sè, i propri beni e i propri diritti » . In poche altre parti questo è oggi necessario come in Padania, oppressa contemporaneamente da centralismo e statalismo. Sarebbe interessante sapere cosa avrebbe detto il professor Miglio del prossimo referendum. Avrebbe scosso la testa col suo sorriso ironico e avrebbe forse detto: « Approviamo questa scempiaggine ma poi mettiamoci a fare sul serio! » . È quello che dobbiamo fare, votare sì e riprendere con vigore il cammino delle riforme federaliste, quelle vere. Qualsiasi sarà l'esito, una cosa però dovrà per certo essere fatta: mandare in pensione i " saggi" di Lorenzago. Come dicono gli alpini: che tornino a baita!

Libero 17/06/06

[M.Machiorletti]

Se un secessionista mi consiglia di votare sì io qualche dubbio sulla bontà e sulla sincercità di chi sostiene le ragioni di questa posizione me lo pongo