I Savoia e il fascismo: la fuga a Pescara.
Fin dal colpo di Stato del 25 luglio la principale preoccupazione del gruppo dirigente che aveva governato i 45 giorni intercorsi fino all’8 settembre fu quella di assicurare la continuità istituzionale e il proprio controllo sullo Stato, ignorando ogni altro impegno e responsabilità. La firma dell’armistizio rappresentava il prezzo politico pagato per ottenere dagli anglo-americani il riconoscimento di rappresentare l’unico potere politico legale in Italia. Il problema era ora quello di mantenere il ruolo conquistato, ciò significava soprattutto evitare la cattura da parte dei tedeschi e quindi l’esautoramento. Le sorti dei reparti militari distribuiti tra la Francia e il mare greco e quello dei milioni di civili italiani non rientravano nel disegno strategico della monarchia sabauda e potevano quindi essere abbandonati al gioco degli eventi: la stessa ipotesi di una resistenza antitedesca sostenuta dalla partecipazione popolare era molto lontana dalle concezioni politiche e ideali di Vittorio Emanuele III e di Badoglio.
La sera dell’8 settembre, dopo il consiglio della corona e la diffusione del comunicato radio, la famiglia reale e il capo del governo si chiusero nel superprotetto ministero della Guerra, in attesa delle mosse tedesche.
Le incertezze dei tedeschi erano dovute al timore di un’azione congiunta tra italiani e anglo-americani o di uno sbarco alleato non lontano dalla capitale. I loro dubbi furono risolti dai comandanti delle forze armate italiane. Ai reparti non pervenivaalcun ordine e in molte caserme i soldati non erano neppure allertati: il re, Badoglio e i massimi responsabili militari erano infatti riuniti per discutere se confermare l’armistizio o ricusarlo.
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre il re decise per la fuga verso Pescara, dove la marina militare aveva provveduto nel frattempo a far giungere la corvetta Baionetta. Con il re, il capo del governo, il comandante supremo e il capo di stato maggiore dell’esercito con tutti i massimi responsabili delle forze armate, ognuno con un corteo di collaboratori, segretari, accompagnatori a vario titolo. Una fiumana di generali si rovesciò sulla strada per Pescara e la sera del 9 settembre affollò il piccolo porto adriatico in un clima frenetico e isterico, tanto che l’imbarco del re avvenne sotto la protezione di un cordone di carabinieri, che cercavano di mettere ordine nella ressa provocata da chi desiderava a tutti i costi scappare e imbarcarsi. Salpando finalmente dal porto di Ortona (CH) monarchia e Badoglio realizzavano così l’obiettivo di fondo della politica avviata il 25 luglio: salvare se stessi e la continuità dello Stato che incarnavano, abbandonando il paese reale, destinato a sostenere un costo umano e materiale altissimo.