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bluedanube
UNGHERIA: Le ultime elezioni parlamentari furono tenute nel 2002 e attualmente in Ungheria c'e un governo di centro sinistra.
Il presidente americano giunge nella capitale ungherese per commemorare la rivolta del 1956, repressa dall'Armata Rossa. Ma Bush tace sulle responsabilità dell'America, che in quell'occasione si mostrò molto ambigua
È stato un discorso decisamente mutilato, che non ha reso giustizia e che ha cercato di coprire, attraverso l’abbondante ricorso alla retorica, le manchevolezze americane del 1956, quando il popolo ungherese invocò l’aiuto di Washington invano e subì l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia. Si sta parlando dell’insurrezione ungherese del 1956 e della recente visita del presidente americano George W. Bush a Budapest. Avendo un’agenda carica di impegni, l’inquilino della Casa Bianca ha anticipato di quattro mesi la commemorazione dei fatti luttuosi del 1956, di cui quest’anno cade, il 23 ottobre, il cinquantesimo anniversario. La visita di Bush in Ungheria è stata spavalda e decisamente infruttuosa. Il presidente americano si attendeva il classico bagno di folla che contraddistingue ogni suo viaggio nell’Europa orientale. Così era stato, per rimanere alle visite più recenti, a Riga e Tblisi, nel maggio del 2005. In occasioni come quelle, Bush ha sempre giocato di retorica, dando risalto alle sofferenze dei popoli dell’Europa orientale e presentando gli Stati Uniti come baluardo delle libertà. Una maniera per cementare l’alleanza tra Washington e quella che nella terminologia del segretario statunitense alla Difesa, Donald Rumsfeld, si configura come la “nuova Europa”, vale a dire quel blocco di Stati dell’Europa centro-orientale che dalla caduta del Muro di Berlino in avanti ha sempre anteposto l’atlantismo all’europeismo. L’esempio più recente è quello di Romania e Bulgaria, Stati prossimi a celebrare l’ingresso in Europa ma che a pochi mesi dal primo gennaio del 2007, giorno in cui l’Ue si allargherà a Sofia e Bucarest, firmano senza pensarci più di tanto accordi militari con la superpotenza, garantendo all’America la possibilità di sfruttare alcune basi poste sul territorio nazionale.
Tornando a Budapest, c’è da registrare che stavolta Bush ha toppato. Il teorema – già di per sé sforzatissimo – in base al quale la liberazione dei Paesi dell’ex cortina è un esempio da emulare e da applicare per garantire all’Iraq una transizione democratica è stato quanto mai inappropriato. In primo luogo perché il ’56 ungherese fu un evento straordinario, dal punto di vista storico e democratico. E soprattutto perché piegare alle esigenze di politica estera americane avvenimenti come quello, segnati da spargimento di sangue e da un’eroica lotta contro una potenza arrogante e imperialista quale quella sovietica, è ingeneroso. Ma ci sono altre forzature. L’Urss, per esempio non è certamente paragonabile Al Qaeda. E poi – e questo è il tasto dolente – c’è da tenere conto del comportamento americano in quel lontano 1956. Erano gli anni del roll back professato dal segretario di Stato Foster Dulles e l’America manifestava nei confronti dell’Urss un atteggiamento più aggressivo rispetto all’epoca di Truman. Il roll back era una dottrina ben più dura del containment forgiato da Truman e sviluppato teoricamente dal diplomatico George Kennan. Ma nel momento in cui si apriva uno scenario come quello ungherese, ideale per l’applicazione del roll back, Washington batteva in ritirata e anteponeva una prassi di realpolitik all’idealismo e ai proclami in favore della liberazione dei popoli dell’Europa dell’est, rinunciando a rimodellare l’Europa e a mostrandosi interessata allo status quo sul Vecchio continente. Status quo che sarebbe stato poi sancito dalla firma del Patto di Varsavia sul fronte orientale.
Ha scritto sul Washington Post lo storico Charles Gati: «Alle presidenziali del 1952 e del 1956 Eisenhower fece delle promesse vuote sulla liberazione dell’Ungheria e degli altri popoli dell’est, solamente perché voleva comprare i voti della importante comunità ungherese dell’Ohio». Ovvio che Bush non potrebbe mai ammettere una cosa del genere. Ma potrebbe, invece, porgere agli ungheresi le proprie scuse per la maniera incoerente e poco trasparente con cui l’America si comportò in merito alle vicende del 1956.