Mosca e Pechino: due colpi magistrali.
Maurizio Blondet
27/06/2006
Il presidente cinese Hu Jintao e Vladimir Putin ad un summit della SCO tenutosi in Cina.

«Gazprom è pronta a sostenere tecnicamente e finanziariamente la costruzione del gasdotto Iran-Pakistan-India»: così parlò Vladimir Putin (1).
«Pechino addestrerà 30 mila soldati del nuovo esercito afghano in Cina»: così il ministro della difesa afghano Zahir Azimi in una conferenza-stampa a Kabul (2).
I due annunci hanno parecchio in comune: entrambi si riferiscono ad accordi presi al vertice dello SCO (Shanghai Cooperation Organization) l’associazione centro-asiatica che sotto l’egida di Mosca e di Pechino si sta velocemente trasformando in una solida alleanza politico-militare, oltre che in uno spazio di cooperazione economica, ed entrambi sono un duro colpo alle trame strategiche della Casa Bianca eterodiretta dal Likud in Asia.
Il primo annuncio è addirittura clamoroso.
Mosca e Teheran sono i due più grandi produttori di gas del mondo: uniti, possono fare i prezzi come vogliono.
E la loro unione è consacrata dall’assistenza russa al gasdotto (che l’Iran chiedeva dal ‘96) che sarà in sé un’opera colossale: lungo 2775 chilometri e con un costo di 7 miliardi di dollari, comincerà nel 2010 a inoltrare ad India e Pakistan 35 miliardi di metri cubi l’anno, che saliranno a 70 miliardi nel 2015.
I vantaggi maggiori sono per l’India, che con la fornitura di gas iraniano a buon mercato potrà risparmiare 300 milioni di dollari l’anno in spese di trasporto energetico.

Ma è ragguardevole anche il vantaggio del Pakistan, che solo per i diritti di transito guadagnerà 500-600 milioni di dollari annui, e godrà di una fornitura stabile e sicura.
Il colpo magistrale di Gazprom (ossia di Putin) è nei numerosi benefici effetti politici del gasdotto per tutta l’area.
Anzitutto, esso stabilizza e pacifica, attorno al comune interesse per un manufatto strategico, le relazioni storicamente cattive fra India e Pakistan: di fronte agli scetticismi indiani, il pakistano Musharraf ha assicurato che garantirà la sicurezza della tubatura e ha detto che la vuole cominciare già l’anno prossimo.
Inoltre l’Iran, che USA e Israele vorrebbero ridurre alla condizione di Stato-paria, isolato e sotto embargo, viene ora legato ai grandi vicini interessati alla sua sopravvivenza.
Questo interesse non può che crescere col tempo.
Le riserve di gas naturale dell’Iran sono valutate a 28 mila miliardi di metri cubi, e la produzione cresce del 10% annuo.
Oggi la quasi totalità della produzione (100 miliardi di metri cubi) viene destinata al consumo interno, oppure iniettata nei pozzi petroliferi per mantenerne la pressione di sfruttamento.
Dal 2010, il gas iraniano avrà vasti sbocchi esterni, tanto più che il progettato gasdotto verrà probabilmente esteso fino alla Yunnan, per rifornire anche la Cina.

In questa veste, l’Iran diventa sulla carta il maggior concorrente della Russia, la prima produttrice mondiale di gas naturale.
Ma la generosità di Putin è in realtà ben calcolata.
Anzitutto, Mosca sta diventando in cambio un’affidabile sponda alternativa per molti Paesi (come il Pakistan e l’India) che stanno con gli americani solo per forza maggiore.
E da un lato, Ahmadinejad ha proposto a Gazprom di decidere insieme i prezzi e i flussi.
Dall’altro, con questo accordo Gazprom di fatto unifica i gasdotti russi con quelli iraniani, e parteciperà alla gestione di quasi tutta la rete di pipelines asiatiche.
Il gasdotto turkmeno-iraniano, già esistente, verrà collegato al grande condotto in progetto, formando di fatto un immenso mercato unico del gas che unirà Turkmenia e Iran, Cina e India e Pakistan.
In questo modo l’alleanza del gas fra Mosca e Teheran controlla il 43% delle riserve mondiali. Come ha detto Putin a Shanghai, non sarà un cartello: «l’OPEC è un cartello, questa è una impresa comune».
Ma basta pensare che Putin ha da poco stretto patti bilaterali con grandi produttori di gas (Algeria e Libia) ed è facile intuire che s’è formato un blocco di produttori di tutto rispetto.

Infine, la «generosità» di Putin ha aperto uno sbocco all’Iran decisamente verso Oriente; il che diminuisce un poco i progetti europeidi di «alleggerire» la propria dipendenza energetica di Mosca.
E’ la chiara, concreta risposta di Putin alle rudi sgarberie della Casa Bianca e alle lezioncine altezzose dei maggiordomi europei degli USA (Barroso, Solana).
Cattivi rapporti con Mosca diventano sempre meno nell’interesse dell’UE, e sarebbe ora che l’Europa prendesse le distanze dall’aggressivo unilateralismo americano.
E tutto ciò alla vigilia del G8, che Vladimir ospiterà a San Pietroburgo.
Non stupisce che il cosiddetto «Occidente» sbavi di rabbia e mediti un qualche altro sgarbo o contrattacco clamoroso verso il nuovo zar.
«La Russia non ha le carte in regola democratiche per diventare membro del gruppo degli otto, e la sua guida del club delle nazioni ricche distrugge la credibilità del G8», ha sancito il Foreign Policy Center di Londra: che è una fondazione britannica autodefinita «indipendente»: tanto indipendente che il suo patrono è Tony Blair e il suo direttore si chiama Hugh Barnes, ebreo (3).
Ma c’è un rischio: che questo «Occidente» dei Rotschild non si contenti di parole, e passi ai fatti. Non a caso «Al-Qaeda in Iraq» ha deciso di sgozzare i quattro dipendenti dell’ambasciata russa a Baghdad che aveva sequestrato pochi giorni prima.
Il che pare dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che il vero nome della formazione terrorista deve suonare come «Al-Mossad in Iraq»
(4).

Maurizio Blondet