Maurizio Blondet
26/06/2006

«Se necessario, noi [israeliani] faremo tutto il necessario per assicurare la nostra sopravvivenza, compreso un attacco nucleare preventivo» contro l’Iran.
Così un tizio chiamato Jonathan Ariel, un operativo del Mossad, in un’analisi piena di minacce non solo per Teheran, ma anche per la Russia e l’Europa (1).
Vale la pena di citarne i passi salienti, per coglierne il tono follemente isterico.
«Nel 1936, quando Hitler marciò nel Rhineldand, gli alleati non reagirono, benchè allora avrebbero potuto entrare a Berlino in due settimane. Nel 1938, di nuovo lo lasciarono fare, benchè gli alleati avrebbero potuto entrare a Berlino in due mesi. Poco dopo l’‘appeasement’ di Monaco, la Russia firmò un patto di non-aggressione con Hitler, ponendo le basi di quella che sperava sarebbe stata la disfatta dell’Occidente, e di aprire la via al dominio della Russia in Eurasia, da Lisbona a Vladivostok».
Dopo questa cosiddetta «analisi storica», Ariel continua:
«Ora c’è l’Iran, guidato da Ahmadinejad, un pazzo e malvagio maniaco uguale [ad Hitler]. La sua ideologia è un miscuglio di nazismo e di mahadismo, con in più uno schizzo di maoismo: il cocktail letale composto delle più malefiche ideologie della storia umana. Secondo le stime più accettate, entro il 2008, esattamente 70 anni dopo che Chamberlain tornò da Monaco annunciando di aver ottenuto ‘la pece per il nostro tempo’, il regime islamo-nazista iraniano avrà la bomba atomica. Sembra che la comunità internazionale abbia cominciato a prendere coscienza del pericolo, non è certo, anzi al contrario, che ciò porterà a passi concreti e concertati perché ciò non appaia. Inoltre, anche se l’Occidente riesce ad agire unito, non c’è garanzia che la Russia non esca con una riedizione del patto Ribbentrop-Molotov. Putin sta seriamente meditando di ingannare l’Occidente. Questa settimana sono emerse prove allarmanti che la Russia sta facendo proprio questo».



E a questo punto, Jonathan Ariel cita notizie d’intelligence e immagini satellitari che può avere avuto solo dal Mossad.
Leggiamo infatti il seguito, tenendo presente che dati di intelligence sono mescolati (com’è tipico del Mossad) con vere e proprie menzogne, intese alla pure disinformazione.
«… Immagini satellitari hanno mostrato che grandi volumi di armamento russo vengono inoltrati verso l’Iran. Le armi sono quelle in dotazione alle unità russe che stanno evacuando la Georgia, in base all’accordo russo-georgiano firmato in marzo.
I russi stanno sgomberando le loro due grosse basi del tempo sovietico sulle coste del mar Nero, la 12ma di Batuni e la 62ma di Akhalkalaki, a 19 miglia dal confine turco. Le immagini mostrano che i russi si spostano non per una sola via, ma per due. Nella prima, si vedono solo piccoli gruppi di ufficiali e soldati che portano solo i loro effetti personali. La seconda è ingombra di convogli di automezzi carichi di armi pesanti e sistemi logistici, radar e munizioni. Anche treni-merci vengono usati. Questa rotta esce dalla Georgia e va verso l’Armenia, dove i veicoli si fermano alla base russa di Gyumri. […]
Ma l’Armenia non è il capolinea dell’armamento. Avendo continuato ad osservare attentamente i convogli russi, è emersa una terza rotta: che va dalla base 102 armena all’Iran.



Da Gyumri, gli automezzi pesanti e i treni proseguono per la capitale armena di Erevan.
Lì, vengono scaricati, e il materiale è ricaricato su camion e treni armeni ed iraniani, i quali vengono diretti verso Sud, al confine dell’Iran. I convogli passano il confine e si fermano nella città iraniana di Sadarak. La seconda fermata è la città di Naxcivan, iraniana nell’area etnica azera e da qui a Tabriz. Altre spedizioni continuano a seguire la stessa rotta: veicoli corazzati portatruppe (APC), artiglieria pesante, razzi Grad, missili BM-21 millimetri e sistemi anti-aerei».
Fin qui non è una novità - nonostante l’interessante precisione delle informazioni - perché è noto, come riconosce Ariel, che l’Iran (minacciato dagli USA e da Israele) ha acquistato materiale bellico russo «per oltre 7 miliardi di dollari».
Ma ciò che preoccupa l’agente del Mossad è che fra questo materiale c’è il Tor-M1, «missile da crociera anti-aereo, con capacità nucleare [sic], considerato il più avanzato al mondo nel suo genere. L’Iran ha acquistato questi missili per proteggere il reattore atomico di Bushehr ed altri siti nucleari».
Non basta.
«Le nostre fonti dicono che Teheran usa le armi provenienti dalla Georgia come esca, per indurre Mosca a fornire armi e tecnologie che finora si è astenuta dal passare agli ayatollah. Specificamente, le tecnologie che consentano all’Iran di iniziare la produzione nazionale dei sofisticati missili da crociera nucleari X-5518, noti anche come Kh-55 o AS-15».

Ariel ci assicura che «Teheran già possiede una decina di questi missili comprati sul mercato nero ucraino nel 2005».
Essi hanno un raggio (altamente presuntivo) «di 3 mila chilometri e capace di portare una testata nucleare da 200 kilotoni» (che l’Iran, sia detto chiaro, non ha).
Ma Teheran ne vorrebbe fabbricare di più in proprio, vuole convincere Mosca a cederle la tecnologia, in cambio di buoni affari nelle armi convenzionali.
Dunque, Ariel si scaglia contro «il luogo comune» secondo cui «l’Iran è un problema che deve affrontare la comunità internazionale mentre Israele sta a guardare in secondo piano. Niente è più lontano dal vero: il mondo deve capire - intima la spia del Mossad - che Israele non permetterà un nuovo olocausto [sic] e impedirà a un regime che invoca apertamente la distruzione di Israele di possedere una bomba atomica.
Israele dice chiaramente che la conseguenza… sarà un attacco nucleare preventivo contro l’Iran».
E ancora: «la comprovata perfidia russa rende anche più importante che non ci sia alcun malinteso al riguardo… se Israele si trova nell’alternativa fra una bomba nucleare iraniana e la necessità di lanciare un attacco preventivo che scongiuri questa possibilità, sceglierà il secondo. Il mondo deve ascoltare molto chiaramente: il solo modo di evitare il primo bombardamento atomico dopo Nagasaki è prendere ogni misura sia richiesta per impedire che l’Iran si faccia la bomba».



Chiarissimo messaggio, e chiara radiografia della patologia strategica israeliana.
Basata sul falso presupposto - ad uso della propaganda - che l’Iran sia il nuovo Reich (trascurando il piccolo dettaglio: la Germania del 1939 era la seconda potenza militare industriale del pianeta, l’Iran è una piccola potenza del tutto trascurabile; la Germania aveva una dichiarata politica di espansione, l’Iran non ha mai attaccato nessun Paese vicino, se mai è stato attaccato da Saddam istigato dagli americani).
Con l’aggiunta del secondo falso, che l’Iran avrà la «bomba» entro il 2008, mentre la CIA non ritiene che l’avrà prima di 10 anni.
Si aggiunga la menzogna secondo cui Ahmadinejad, «il nuovo Hitler», avrebbe incitato a cancellare Israele (come sappiamo, la frase esatta faceva riferimento ad una profezia dell'ayatollah Khomeini sulla scomparsa di Israele, un giorno, dalla carta geografica: era un invito alla fede, non all’azione diretta).
Si trascuri il vero motivo per cui Teheran vorrebbe - se mai l’avrà - la sua bomba: non per aggredire, ma perché ha bisogno di un deterrente di fronte alla ripetuta ed esplicita minaccia di incenerimento atomico che riceve da Israele ed USA, due potenze nucleari effettive.
Per dar ragione all’isteria di Ariel, si deve dimenticare anche che Israele ha la capacità di secondo colpo atomico: se colpito da un ordigno nucleare, i suoi sommergibili sono pronti a ritorcere, incenerendo l’avversario.
Nessuno, in queste condizioni, sarebbe così folle da provocare una risposta atomica certa contro il proprio Paese.



Solo a patto di dimenticare tutto questo, la minaccia di Ariel può apparire in qualche modo razionale.
Anzi, anche tralasciando tutto, si possono ancora immaginare metodi più razionali per dissuadere gli ayatollah dall’armarsi.
Per esempio, Israele potrebbe offrire, in cambio della rinuncia di Teheran, il proprio disarmo atomico, con lo smantellamento delle almeno 200 testate e dei vettori che possiede: se Teheran non accetta, almeno ne avrà smascherato i veri scopi.
Ma ovviamente Israele non prova neppure una via del genere: la sua sola e prima opzione, se la comunità internazionale «esita e vacilla» a fare la guerra all’Iran, è un bombardamento atomico e preventivo contro un Paese che non le ha dichiarato guerra.
Tutto ciò non è razionale, ma pura e semplice isteria: una delirante percezione di un pericolo inesistente e niente affatto imminente.
Va detto che anche questa isteria è in qualche modo una sceneggiata tipicamente ebraica, uno sfrontato esercizio di «chutzpah»: Israele strilla di essere aggredita - mentre aggredisce e minaccia - perché non vuole in realtà mai essere indotta a trattare con i suoi potenziali avversari.
Vuole solo stravincere, usando tutti i suoi mezzi militari ed occulti (leggi: la nota lobby), per non dover mai cedere qualcosa in cambio della pace e della sicurezza.
Ciò che è più allarmante è che queste idee non sono le follie personali di Jonathan Ariel: riflettono la dottrina covata dal sistema di potere ebraico in Israele e fuori.
E possono tradursi in ogni momento in una politica bellica: il vero Stato-canaglia irto di testate nucleari che minaccia Russia ed Europa è sul piede di guerra.



Se occorre una conferma, essa viene da una vecchia conoscenza, Richard Perle.
L’uomo che è stato presidente del Defense Policy Board al Pentagono di Rumsfeld e Wolfowitz, carica in cui spinse e preparò l’invasione americana in Iraq, l’uomo dell’America Enterprise (che siede in questo think tank ebraico accanto a Michael Leeden, Wolfowitz, Douglas Feith ed altri fanatici neoconservatori) ha riecheggiato le lagnanze di Jonathan Ariel in un commento - ugualmente isterico - sul Washington Post (2).
Già il titolo è demenziale: «Perché Bush chiude un occhio sull’Iraq? Chiedetelo a Condy».
A Perle non passa nemmeno in mente di opinare che, forse, se Bush esita sull’attacco all’Iran è perché la guerra in Iraq - a cui è stato indotto da Perle e dai suoi compari - sta andando così male da esaurire le voglie aggressive americane.
No, la colpa - udite udite - è tutta della Rice.
Ecco alcuni brani scelti del delirio di Perle: «Il presidente Bush sa quel che vuole: la fine irreversibile del programma nucleare iraniano, l’espansione della libertà nel mondo intero e la vittoria nella guerra al terrorismo. Il dipartimento di Stato e gli europeo sanno cosa vogliono: negoziare. Da più di cinque anni l’amministrazione esita. Bush ha pronunciato incitanti discorsi, gli iraniani hanno proclamato minacce enormi e, nel 2003, il dipartimento di Stato ha dato le chiavi ai britannici, francesi e tedeschi (gli ‘Eu-3’) che offrivano il servizio di parcheggio diplomatico ad una amministrazione piena di indecisioni e contraddizioni. Ed ora, dal 31 maggio, l’amministrazione si è offerta di partecipare ai colloqui sul programma nucleare con l’Iran. Come mai Bush, che proclamava di impedire lui vivo che ‘la peggiore delle armi non cada nella peggiore delle mani’, ha compiuto questa vergognosa ritirata?».



Decisamente la gratitudine non è la qualità migliore dei figli di Giuda: l’America si sta svenando per loro, ed essi l’aizzano a fare di più.
Come accade quando gli eletti dominano i servi noachici, animali parlanti da soma: «Non li lascerai riposare né notte né giorno, né estate né inverno».
No, per Perle la colpa è tutta di Condoleeza Rice.
Da quando è passata dalla Casa Bianca a Foggy Bottom (sede del ministero degli Esteri) «essa rappresenta sempre più un blocco di potere diplomatico che ha per dottrina di compiacere gli alleati anche quando (o specialmente quando) questi alleati consigliano l’appeasement con i nostri nemici». Sic.
Eppure, «Il presidente sa che i mullah stanno lavorando per affondare ogni prospettiva di pace tra i palestinesi e Israele» (dunque Israele vuole la pace, è l’Iran a impedirlo).
«Sa che l’Iran guida il mondo a sostegno del terrorismo» (sic).
Ma niente: spinto dagli alleati europei, notoriamente infidi, e da Condy Rice, Bush «dopo aver dichiarato che un Iran nucleare è ‘inaccettabile’, vacilla ed autorizza gli EU-3 a rivolgersi a Teheran con proposte di compenso se smette i propri programmi di armamento nucleare».
Ecco la colpa orrenda degli europei vili e della Rice accomodante: provare a negoziare, anziché bombardare immediatamente e preventivamente l’Iran.
Può sembrare un atteggiamento civile?
Ma no: Israele, il modello di Perle, non fa così: prima bombarda e uccide, poi (non) tratta.



Né la trattativa è del tipo «prendere o lasciare» che preferisce il Perle: «né il bastone né la carota sono chiaramente definiti coi nostri alleati, e non parliamo con Russia e Cina».
Torna qui la minaccia implicita alla Russia di fare il doppio gioco.
Ma la colpa è di Condy, soprattutto, che ha ceduto agli europei (anch’essi minacciati implicitamente dal sionista del Likud) per ottenere il loro appoggio in caso di sanzioni a Teheran.
«Nessun governo americano, dal 1979 ad oggi, ha mai avuto una seria strategia sull’Iran», farnetica Perle.
Per esempio?
«Il senatore Rick Santorum ha cercato di far approvare l’Iran freedom support Act (Legge di sostegno alla libertà in Iran) che avrebbe reso più dura la politica dell’amministrazione, scarsa e tardiva, di sostegno e finanziamento della democrazia e dei diritti umani in Iran. Ma il dipartimento di Stato ha posto il veto sulla legge, sostenendo che essa ‘limiterebbe la nostra flessibilità diplomatica’».
Va detto che se fosse passato questo «act», effettivamente gli USA non avrebbero avuto altra alternativa - per legge - che fare subito la guerra.



Rick Santorum è noto per il suo attivismo pro-israeliano; giorni fa, con il senatore Lieberman (il ben noto democratico likudnik) ha presentato al Senato le «prove» che Saddam aveva armi di distruzione di massa: alcune tanichette che pare avessero contenuto aggressivi chimici, «trovate a Baghdad».
Ovviamente si è scoperto che il materiale chimico - era la vecchia iprite della prima guerra mondiale - era degradato perché risaliva ad un decennio prima, a prima della guerra del Golfo.
La smentita della «scoperta» è venuta dall’insospettabile Pentagono: il materiale esibito da Santorum e Lieberman era stato tra l’altro trovato nel 2004.
Pura disinformazione con firma Mossad (3).
Isteria e sfrontatezza, come al solito.

Maurizio Blondet




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Note
1) Jonathan Ariel, «Israel needs a preemptive nuclear strike against Iran», Israel News Agency, 24 giugno 2006. L’appartenenza al Mossad di Jonathan Ariel, che si dichiara giornalista (è stato direttore di Maariv e collaboratore di decine di media, dal Jerusalem Post alla BBC, dalla radio israeliana all’Herald Tribune) è data dal fatto di essere stato «consigliere» per il governo sudafricano negli anni dell’apartheid. Allora essendo il Sudafrica sotto embargo, Israele fu invitata discretamente da Kissinger a collaborare col governo bianco scavalcando le sanzioni internazionali. Ne nacque una strettissima cooperazione non solo commerciale, ma politico-militare, che portò alla fabbricazione congiunta israelo-sudafricana di sistemi d’arma innovativi. Fu il Mossad a guidare l’intera operazione, spedendo a Pretoria centinaia di «consiglieri» e «assistenti» come Jonathan Ariel; Ariel ha ancora accesso a informazioni riservate d’intelligence.
2) Richard Perle, «Why did Bush blink on Iran? Ask Condi», Washington Post, 25 giugno 2006. Richard Perle era il capo del gruppo di «consulenti privati» che, riuniti in un ufficio informale all’interno del Pentagono, il Defense Policy Board, sotto la protezione di Wolfowitz, organizzò tutte le fasi dell’invasione all’Iraq: con gli effetti disastrosi che constatiamo. Perle fu allontanato dal Defense Policy Board perché approfittava della sua posizione di consulente del Pentagono per curare certi suoi affarucci: riceveva soldi da ditte interessate a lavorare col ministero della Difesa. Nonostante ciò, continua a pontificare e a tramare, intoccabile come tutti gli eletti.
3) Warren Strobel, «Toxic weapon too old to use», Chron.com, 23 giugno 2006. Rick Santorum ha fatto approvare nel 2005 una mozione che invita l’ONU ad agire contro l’antisemitismo. Per questo è stato premiato dalla Republican Jewish Coalition, una branca della nota lobby.




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