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    Predefinito La Menzogna Della “comunita’ Scientifica” Nel “razzismo Ideologico”

    Appunti di biologia sociale





    NEL “RAZZISMO IDEOLOGICO”

    di Carmelo R. Viola



    Carlo Marx venne osteggiato ferocemente dall’ufficialità “culturale” (insomma dall’”intellighenzia”) del mondo borghese del suo tempo, che vedeva nelle sue teorie un attentato alla propria “sacralità”. Solo dopo la morte, gli studiosi, specie di economia (tale si chiamava, come tuttora, la “predonomia”) se ne accorsero e accordarono al marxismo l’attenzione che meritava. Con la “caduta del Muro di Berlino” ne è stata decretata la morte, pur conservandolo nelle pagine della letteratura del passato da studiare negli atenei. La storia, come liberatasi da una specie di “influenza virale”, riprenderebbe il proprio cammino. La “comunità scientifica” si sarebbe ricreduta davanti all’evidenza dei fatti.

    Ho voluto citare un caso storico emblematico di resistenza al nuovo-diverso e di autodifesa del contenuto della propria identità in cui si vede che la “comunità scientifica” altro non è che l’identità stessa che un soggetto (od ente) si sente a rischio di delegittimazione. L’incidente del marxismo (per la mente borghese un’interferenza temporanea nel percorso della vita sociale) ci riporta alla triste vicenda di Galilei, costretto dall’Inquisizione cattolica ad abiurare alla propria condivisione della teoria copernicana perché la statura scientifica del personaggio, o soltanto il “seme” di una nuova concezione dell’universo, minacciava l’identità dei papi. Freud venne osteggiato dal mondo medico, beghino e timorato da santamadrechiesa per il suo richiamo della sessualità e la rivoluzione della psicologia cognitiva (e quindi anche per coprire la propria ignoranza). Anche qui il pretesto, la menzogna, il fantasma, più precisamente il paravento della “comunità scientifica”, dietro cui i “resistenti” si esimono dal dovere di dar conto di sé agli innovatori di una disciplina.

    Cotale “avversione” istintiva, viscerale, aprioristica la si potrebbe ben definire “razzismo ideologico”, chè, in fondo, sempre di idee si tratta, sia pure fondate su ipotesi, ragionamenti intuitivi o esperimenti in fieri. Tale razzismo è molto praticato tanto in campo sociologico che medico, non sempre appariscente ma spesso anche violento. Osteggiato fu Pasteur a proposito della teoria microbica della fermentazione e ancor più Jenner per la vaccinazione. Solo in casi clamorosi viene coinvolto il grande pubblico come in quello della cura anticancro Di Bella, in cui ancora non pochi credono a dispetto della “comunità scientifica” dove, come nel caso specifico, si nascondono anche una o più potenti lobbies di affari industriali (magari in lotta fra di loro ma solidali nella difesa comune) che niente hanno a che vedere con gli interessi della salute. Forse pochi sanno che l’omeopatia, usata in alta percentuale nella Germania, paese d’origine, in Italia non è nemmeno considerata una scienza medica tanto che una recente sentenza della Magistratura ha assolto un tale omeopata, accusato di esercizio abusivo della medicina, per la detta ragione.

    Quanto detto dimostra la persistente primitiva istintiva difesa dei valori in cui ci si identifica – si direbbe il contenuto della propria fede – che può acquistare il valore patologico di “razzismo mentale”. Il fedele religioso osteggia il diverso (l’infedele!) per questo fenomeno di “blocco psicologico” che, come abbiamo già visto, non è solo prerogativa delle masse incolte e acefale e che non dovrebbe allignare in una persona che ami dirsi adulta e libera, cioè “in libera evoluzione”.

    La biologia ci suggerisce che tutto è in quanto diviene. La stasi si trasforma in settarismo e in conflittualità. La storia, come successione di fatti ed eventi, diviene comunque ma questo divenire non è evolversi: può essere il contrario o come lo scorrere dell’acqua di un fiume che appare sempre lo stesso.

    Al presente assistiamo a fenomeni di “stasi aggressiva” che promettono il peggio per il prossimo futuro. Abbiamo fedeli della Santa Inquisizione a riposo che rivendicano tradizioni del nostro paese (di cui dovrebbero vergognarsi) e marxisti che pensano di restaurare situazioni ormai improponibili. Questi ultimi non avendo appreso granché dalla catastrofe del sovietismo e dal connubio capitalismo-potere papale, che l’ha colpito alle spalle “in nome di Dio”, restano fedeli al “verbo del maestro” e semplicemente si rifiutano di leggere pagine di “scienza nuova” come quel tale che si sarebbe rifiutato di guardare dentro il cannocchiale di Galilei! Il fenomeno della repulsione da stagnazione psicoideologica è molto più grave quando viene manifestata da quei sostenitori del materialismo dialettico che, proprio per questo, dovrebbero essere aperti ad ogni tentativo d’innovazione del pensiero e proprio oggi che viene rimessa in discussione ogni certezza del passato. Che ne è dunque della dialettica?

    Ebbene, un certo istituto di studi comunisti di Napoli, ricevendo, come tanti altri destinatari (spesso lontani dalla mia, come si suol dire, “Weltanschauung”), miei scritti, destinati alla carta stampata o a siti internet, mi ha pregato di essere cancellato dalla mia lista perché la biologia sociale non è riconosciuta dalla “comunità scientifica” (sic!). Se pensano alla propria “identità”, fanno riferimento ad un sistema chiuso e alla propria incapacità di accorgersi che la biologia, prima della storia, ha decretato la non esistenza del classismo. Al livello proletario ogni “povero diavolo” si arrangia come può e non si perita di prestare servizio, anche elettivo, presso le forze “pretoriane” (alias “dell’ordine”) del sistema borghese e di votare allegramente l’ultimo dei Berlusconi. Altro che classe! Se pensano ad altro, non può trattarsi che dell’intellighenzia della scienza gestita dal potere borghese che oggi pone in auge il neoliberismo come “economia naturale” della civiltà industriale-tecnologica succube della superpotenza predonomica-antropozoica e quindi imperialista degli Usa!

    Ho chiesto ai compagni “dialettici” di Napoli – che si rifiutano perfino di leggere elaborati in chiave di biologia sociale – una spiegazione anche in ordine alla “comunità scientifica”: attendo ancora una risposta. Di fronte alla chiusura fideistica da “identità retrògrada” di un marxismo, morto suicida o sopravvissuto settario, la mia collaborazione a non importa quale testata, purché rispettosa delle mie convinzioni, è un vero atto di coerenza etica con me stesso e con i miei simili.

    Carmelo R. Viola

    Centro Studi Biologia Sociale – crviola@mail.gte.it

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    QUALE STATO DI DIRITTO



    “Il paradigma del neonato”



    Carmelo R. Viola



    Dal politicchio da quattro soldi alle somme cariche del pubblico potere ci sentiamo ripetere 24 ore su 24 che viviamo n uno Stato di diritto solo perché ci sono i tre poteri classici ed altri complementari e soprattutto perché la gente va a votare. Quanti fanno tale affermazione per le ragioni dette semplicemente non sanno che cosa sia il vero diritto! Che lo Stato di diritto sia la risultante del gioco elettorale che elegge dei legislatori di norme da fare rispettare è soltanto un non senso perché ci configura una democrazia senza Stato di diritto! Più che di una barzelletta, che di solito fa ridere, ci troviamo davanti alla più grande mistificazione di cui siano capaci i politicanti dei nostri tempi. Che il diritto sia solo la possibilità di eleggere un parlamento è un’affermazione destituita di fondamento logico e scientifico. Eppure è per esportare (!) tale diritto che gli Usa hanno massacrato tutto un Iraq producendo solo distruzione e caos. E non solo questo.

    Il diritto non è un’invenzione dell’uomo ma una scoperta perché esso si trova in natura. Il gioco elettorale può servire solo ad eleggere coloro che regolamenteranno la fruizione del diritto stesso attraverso le cosiddette leggi (diritto positivo). Naturalmente, parliamo oggi, nel 2005 e non più ai tempi dei romani il cui diritto positivo, basato sul binomio proprietà-autorità, ha formulato secoli di falsa civiltà. Per intenderci bastano due esempi paradigmatici: il nostro cane abbaia quando ha fame, insomma perché ha diritto di mangiare per non morire. Se il suo diritto di mangiare per vivere dipendesse da noi, dipenderebbe da noi anche la nostra eventuale decisione di farlo morire di fame. Ma l’esempio più calzante è quello di ogni neonato umano, il quale reclama il cibo – cioè il diritto di nutrirsi - piangendo, diritto che gli viene dal solo fatto di essere nato, e che è il diritto di vivere!

    Ebbene, che fa il nostro sedicente “Stato di diritto” nei riguardi di ogni neonato del suo territorio? Semplicemente lo affida alla famiglia dello stesso, che può non avere mezzi per soddisfare la fame del neonato almeno in misura e modalità ottimali con ciò sol dimostrando che non esiste alcuno “Stato di diritto”. Dal riconoscere il diritto del neonato ad avere quanto la comunità dispone per nutrirlo nel migliore dei modi, derivano tutta l’essenza e tutta la (in) civiltà di quello Stato di diritto che ancora non esiste. Non è questa un’affermazione arbitraria ma soltanto la constatazione di una realtà che oggi – oggi ripetiamo – grida spesso vergogna. Parimenti, dal riconoscimento del diritto del neonato deriva tutto il resto come insegna la biologia applicata al sociale. Volere nutrirsi vuol dire volere esistere e volere esistere significa volere essere anche curato, rassicurato, istruito, ricevere quanto gli è necessario per diventare-essere sé stesso, quindi non essere catechizzato ovvero non subire il sequestro preventivo della ragione, essere libero di crearsi affetti, valori e ideali e identificarsi via via con il proprio corpo, con gli affetti rassicuranti e infine con i valori.

    Riconoscere il dritto alla nutrizione globale del neonato è il solo punto di partenza per riconoscere al nuovo soggetto il diritto di diventare-essere sé stesso. Perciò, quando ci parlano di “Stato di diritto” in un contesto in cui il neonato è di fatto abbandonato alla capacità e povertà di chi si occupa di lui, possiamo e dobbiamo rispondere solo con una risata sarcastica e tagliente come inerente a colui che parla di un diritto di cui non conosce il significato.

    E’ di questi giorni la (finta) scoperta del maggiore prezzo del latte in polvere in Italia rispetto al resto dell’Europa a confermare il carattere ladronesco del neoliberismo italiano. Si finge, appunto, di scoprirlo solo ora! E si minacciano pene pecuniarie ai responsabili come se il problema consistesse nel fare mercato onesto con i neonati! Ma chi può credere che le autorità preposte al controllo dell’onesto ladrocinio per alimenti di prima necessità di neonati abbiano scoperto solo ora il suddetto “surplus” furtivo su ciò che semplicemente dovrebbe essere distribuito gratis ai bambini?! Se l’industria e il commercio di tale alimento potessero davvero agire nell’ignoranza delle “autorità”, il fatto, che sarebbe dovuto essere abolito al suo sorgere, sarebbe davvero molto più grave. Non solo, i responsabili (cioè i ladri) sarebbero dovuti essere privati della licenza industriale-commerciale per indegnità e, ove opportuno, chiusi a tempo indeterminato in un istituto di rieducazione sociale. Ma si è trattato solo di un incidente solvibile (ma non mi pare che sia stato risolto) con la restituzione parziale della refurtiva. Ma i ladri legali continuano a rubare legalmente e bambini ad attendere che qualcuno trovi i soldi per comprare loro l’alimenti vitale. Tanto che nessuno degli aventi in carico i bambini può sempre comprare la “merce” sia pure a un prezzo “onesto”, di cui spesso le piccole creature restano prive. Del resto, la stessa cosa avviene, e senza ombra di scandalo, con i testi di scuola (alimento mentale), ove la speculazione ladrocinica ha carattere parossistico senza che nessuno Stato se ne accorga.

    X X X



    Il socialismo altro non è che la risposta fisiologica ai dritti naturali a partire dal bisogno del neonato, e lo Stato di diritto è soltanto uno Stato socialista. La caratteristica del socialismo vero è quello di avere al centro uno Stato, che altrove ho definito economico come il buon padre di famiglia che gestisce razionalmente l’economia del proprio gruppo affettivo senza discriminazioni. Perciò, fa ridere l’accostamento del socialismo con i vari Pannella, nemici di ogni Stato sociale come amici viscerali della più grande criminocrazia del mondo detta Usa. Criminocrazia sta per “associazione per delinquere”. Ridicolo è sentire parlare di ricostruire il socialismo sulla scia di un Bettino Craxi, distruttore della scala mobile e firmatario della nuova sudditanza clericale, specie quando certi promotori parlano di un Berlusconi - complice diretto di Bush - come di un non impossibile alleato quando questo signore è solo amico di sé stesso e del potere con cui s’identifica, salvo a scodinzolare fra le gambe del padrone yankee.. E ridicolo sentire un sindaco bolognese, già sindacalista “rosso”, difendere la legalità, dacché la legalità corrente, cioè borghese è, come abbiamo già visto, molto simile alla criminalità. Quanto sta avvenendo nella “liberalissima Francia” - patria della signora ghigliottina del 1789 - può essere un’anticipazione di quanto potrà avvenire altrove e soprattutto in Italia, dove i precari sono solo degli strumenti del capitale e i disoccupati solo un ingombro quando non anche la condizione per abbassare i costi del lavoro”.

    Quanto il diritto borghese non abbia niente a che vedere con il vero diritto ci basta a dircelo il cosiddetto diritto ereditario e quello della famiglia. Il primo ci dà neonati ricchi e neonati indigenti provandoci come il semplice non nascere uguali è la fonte di ogni male sociale anzi una causa primaria della criminalità capitalista, che si può chiamare “mafia” (senza esserlo). Quello di famiglia ci dà, fra l’altro, degli uomini separati dannati a ridurre se non a dimezzare propri proventi da lavoro per sostenere l’altro coniuge, e donne separate invitate a “cercarsi lavoro”, come se per averlo bastasse cercarlo, sempreché non si tratti di fare le sguattere o le puttane. Quale Stato di diritto?

    X X X



    Signori mestieranti della politica del potere, smettiamola di parlare di diritto, la cui ignoranza vi rende indegni del posto che occupate come dilettanti di una materia che è molto più grande del vostro cervello. Il “paradigma del neonato” v’inchioda alle vostre irresponsabilità perché il neonato, che è espressione del bisogno-diritto di vivere, nasce in un certo modo e cresce esprimendo in maniera diversa lo stesso bisogno-diritto articolato secondo i più vari aspetti dell’esistenza. Per esempio, come abbiamo già detto, può nascere privo di tutto, perfino di un tetto, o sommerso da ogni ben di dio. Queste differenze abissali, mostrano, senza tèma di smentita, che non esiste lo Stato di diritto. Forse la vostra dotta ignoranza vi fa credere che ove un bambino vive di elemosina e un altro di abbondanza di beni, esista lo Stato di diritto solo perché il parlamento è il prodotto del gioco elettorale, proprio perché non conoscete il vero diritto.

    Il neonato cresce. Entra nell’età scolare. La frequenza scolastica richiede uno sforzo progressivo di spese che per il povero è un dramma anche quando lo Stato elargisce elemosine a titolo di carità tanto grottesca quanto più avviene nella cosiddetta “patria del diritto”.

    Un disoccupato involontario è un neonato invecchiato abbandonato agli eventi. Il lavoratore precario è un neonato cresciuto nell’atto in cui viene “usato” dal capitale nella maniera più indegna de solito.

    Con il neoliberismo si appiattisce lo Stato senza diritto dove la concorrenza predatoria (predonomica) si fa agonistica e senza quartiere.

    E’ di questi giorni l’incontro di alcuni ex socialisti e democristiani che lamentano la scomparsa dei partiti tradizionali. Al cui posto sono sorte sigle senza contenuto storico e si chiedono perché… incapaci di pensare che la causa di questa degenerazione è, in primis, la scomparsa dell’Unione Sovietica, non perché questa fosse il paradiso ma senz’altro un polo antagonista e, in secondo luogo, la bipolarità del parlamento su una base comune, che costituisce l’aspetto politico del neoliberismo. Sono incapaci di pensare che il problema di sempre uno solo: l’esistenza di uno Stato capace di organizzare il lavoro e di distribuirne prodotti alla collettività del paese a partire appunto dai neonati, con l’uso razionale di una moneta strumentale, cioè passiva. Tutto il resto sono chiacchiere, di cui industriali e parlamentari – ovvero padroni predonomici e servi politici – fanno del tutto per ubriacarcene.

    La grande sfida della civiltà dell’uomo è lo Stato di diritto al di là del quale sta, anche per effetto del cosiddetto progresso tecnologico, l’estinzione della specie, di cui i vari Bush e complici sono i becchini!



    Carmelo R. Viola

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    DISSOLUZIONE DEL “NUCLEO AFFETTIVO”:

    DISSOCIALITÀ E CRIMINE



    di Carmelo R. Viola



    “Il potere è l’altra faccia della vita”. Questa massima della biologia sociale ha un duplice valore: attivo e passivo. Attivo è il potere di cui disponiamo (per rispondere alle nostre esigenze naturali), passivo è il potere cui sottostiamo, da cui dipendiamo e da cui, possibilmente, ci sentiamo rassicurati. Il che significa che anche il potere passivo ci serve per rispondere alle dette esigenze. Il neonato cresce acquistando potere (di comprendere, di muoversi, di comunicare, di distinguere, valutare e scegliere e, alfine, di farsi delle idee” e di autoidentificarsi , intanto, attraverso parti del proprio corpo). Egli dipende, nello stesso tempo, dalla nutrice e da quanti si occupano di lui, quindi anche da chi rappresenta la figura maschile-paterna, a cui via via si aggiungerà il potere degli insegnanti, malauguratamente talvolta anche dei catechisti, infine dei rappresentanti dell’ordine sociale.

    In qualsiasi organismo – biologico o tecnologico – ogni parte ha ed “è” un potere che agisce e interagisce in quanto parte di quell’organismo. C’è stretta analogia fra società ed organismo biologico. Altra massima biosociale è che “la società è un organismo vivente sui generis”.

    La libertà è il potere e “il potere è un rapporto organico fra due o più forze o soggetti, sia pure inerti”.

    Il primo contesto bio-organico dell’infante è il “nucleo affettivo” che, nella nostra civiltà da secoli si chiama “famiglia”. L’etimo di questa parola ci suggerisce piuttosto un “nucleo servile” – da famulus: servo – ma, come sempre vale il valore acquisito. Noi vogliamo riferirci solo al rapporto primordiale (sodalizio) che il neonato ha con la madre o nutrice e con il contesto immediato che tale rapporto comprende, possibilmente anche la figura maschile rappresentata non sempre dal padre naturale. Il neonato chiede alla nutrice latte e affetto, cioè cibo e rassicuranza affettiva. Quest’ultima la chiede anche all’intero contesto vitale che lo contiene come una specie di nido. Il latte (o cibo) risponde al bisogno di nutrizione indispensabile all’esistenza del soggetto come organismo vivente. L’affetto risponde al bisogno di sicurezza – del sentirsi protetti contro l’ambiente, i cui confini sono sempre più lontani, e contro l’ignoto.

    L’affetto rassicurante è la percezione del potere passivo nel rapporto minori-adulti nutori e tutori, che non sono sempre e necessariamente i genitori e i parenti. L’affettività non fa questione di sangue. Essi, in ogni caso, esercitano un potere rassicurante. Nel apporto minori-adulti si configura il modulo biologico del dominio-soggezione, ovvero di chi domina – senza necessariamente essere dispotico – e di chi soggiace, senza necessariamente soffrirne. Chi ricorda i primi anni della propria vita, sa quanto fosse “dolce e quindi rassicurante” il sottostare al volere della madre, di una figura maschile, che chiamava papà, e di figure complementari che gli volevano bene – se ha avuto la fortuna di non nascere in un contesto violento.

    Tra società ed organismo biologico c’è stretta analogia (e quindi tra medicina e biologia sociale): la funzionalità è fisiologica quando nel rapporto attivo-passivo del potere non c’è prevaricazione; è patologica nel caso contrario. E’ la malattia interiore: la depressione, la disintegrazione dell’io, la perdita dell’identità, talvolta perfino la pazzia. Ovviamente altre cause, come le malattie organiche, possono portare alle stesse conseguenze catastrofiche. Nell’evoluzione sociale (gestazione storica) della specie i soggetti umani non ancora geneticamente adulti (gli antropozoi, insomma), per effetto del loro stesso bisogno di rassicuranza affettiva, hanno prevaricato i limiti del loro potere attivo (voglio dire che ne hanno abusato): in altre parole, i genitori o nutori-tutori, hanno abusato dei figli, l’operatore economico dei suoi “dipendenti”; il potere politico dei sudditi; i ricchi-potenti dei loro mezzi di pressione e di ricatto, realizzando una predonomia violenta, insomma, comportandosi da padroni-despoti, che dànno ai lavoratori quel tanto per non morire, predandoli il più possibile; da padroni del potere pubblico (politico) che impongono ai “sudditi” delle condizioni schiavistiche e che ingabbiano la collettività per meglio potersene servire. Donde, appunto la predo-nomia: artescienza della predazione di diretta origine animale.

    Lo stesso bisogno di rassicuranza diventa causa di male sociale dato che i soggetti più forti cercano di rassicurarsi anche attraverso il possesso di beni senza limite e un potere autocratico sui sottomessi, subalterni e sui deboli in genere. E’ così nato il potere organizzato, inizialmente assoluto ed arbitrario. Donde le guerre e tutte quelle violenze di cui ci parla la storia. Il sadismo (della tortura, per esempio) viene percepito come “voluttà del potere” quasi “divino” perché esercitato “dentro” lo stesso organismo della vita altrui. Il vandalismo è l’odio distruttivo di ciò che non ci rassicura (ovvero che non ci ama) e che non si può amare.



    Tutto questo spiega perché da sempre il potere è causa di scontento e oggetto di contestazione fino al pensiero degli anarchici “storici”, che in tutta sincerità hanno finito per credere di avere individuato, nel potere stesso, la causa massima dei mali sociali, eliminando la quale a tutti i livelli, si lascerebbe spazio ad una libertà piena ovvero ad una società armonica e fraterna. Ho sotto gli occhi l’articolo attuale di un giornalista-scrittore anarchico di grande cultura, intitolato “Il potere fa schifo” con riferimento ad un vero e proprio dogma dell’ideologia anarchica tradizionale e alla penosa ignoranza che il potere è soltanto uno strumento vitale indispensabile e che lo schifo va riferito solo agli uomini che di quello strumento si servono in maniera criminosa in un contesto para-animale che è il capitalismo. Per contro, la storia dell’anarchismo e la vita dei singoli anarchici sono ricche di esercizio di potere naturale (“negato” e per questo talora più insidioso), che nega categoricamente quel dogma. Senza potere, autorità, gerarchia militare e disciplina gli anarchici non avrebbero potuto fare la Rivoluzione spagnola del 1936.

    Dal concetto di potere a quello di autorità il passo è brevissimo: l’autorità è l’abito del potere e deriva dalla parola “autore”. L’autorità è la prerogativa naturale di ogni “autore” in quanto tale. L’autore è colui che può e autorità è il potere del soggetto. Ognuno di noi ha la propria autorità: naturale se si riferisce ai valori intrinseci del soggetto; burocratica o giuridica se si riferisce al posto che occupa nell’organizzazione del potere pubblico.

    La condanna del potere e dell’autorità trova il suo complemento nella condanna dello Stato. Perciò, gli anarchici politicamente-propriamente detti, si battono per una “società senza Stato”. Se questa locuzione significa – come certamente significa, - lo scrivente conta una militanza anarchica giovanile di oltre venti anni – un’organizzazione sociale senza potere e senza autorità, ci troviamo di fronte ad un’affermazione biologicamente assurda e quindi priva di senso realistico. Non vorrei che queste considerazioni venissero interpretate dagli anarchici come una condanna globale della loro contestazione; al contrario, quasi tutte le critiche anarchiche sono verità sacrosante che fanno parte del bagaglio della mia formazione mentale. E’ la pretesa soluzione paradossalmente sbagliata che si nega da sé come incompatibile con la logica della vita, se così si può dire, che è organicità, complementarità e interattività organica, rapporti di potere attivo-passivo, rapporti di dominio-soggezione, rassicuranza reciproca e così via. Ho ripreso questo tema perché proprio oggi si ha bisogno di credere in un possibile potere costruttivo, mentre il predicare contro il potere come male per sé stesso dà man forte a coloro che stanno portando la specie umana al marasma della pre-estinzione.

    E’ vero che pochi sono coloro che si professano anarchici ma è altrettanto vero – e qui denuncio una verità, che sfugge ai più – che la logica corrente dei politici e ancor più degli industriali (ed è ben comprensibile) è imbevuta del pregiudizio “meno Stato uguale a più libertà”. La maggior parte della gente, oggi, imbevuta di odio pregiudiziale e viscerale contro tutte le dittature e i governi forti senza distinzione di contenuti, ragiona in termini di riduzione del potere e quindi dello stesso Stato come condizione di maggiore giustizia

    Il neoliberismo altro non è che la suddetta predonomia (il capitalismo nella sua metamorfosi storica) sempre più sottratta alla disciplina del potere pubblico, ridotto ad una specie di “agenzia di arbitrato” dell’universale agonismo per il pane quotidiano e per la ricchezza senza limite, detto – molto ridicolmente – “società liberale” (sic). Infatti, il risultato è un crescendo di ladrocinio, coperto dalla legalità, una crescente illegalità-paralegalità (detta, talvolta, impropriamente “mafia” e che sono modi diversi di fare capitalismo), una crescente divaricazione fra ricchi e poveri, una crescente precarietà, una crescente insicurezza del domani, un crescente disagio sociale, una pensione sempre più ridotta in una vecchiaia sempre più angusta, una crescente criminalità di autodifesa, di odio e di emulazione nei riguardi di chi sta bene – dell’altro in genere - , un crescendo di “ottuntori sociali” per oppiare la gente, confonderne le idee e distoglierla dai veri problemi per lasciare libero campo ai veri padroni del mondo. Sono questi che, sul piano internazionale, conducono una lotta senza quartiere per la conquista dei mercati e dove, “il più forte dei più forti” (la superpotenza Usa) si appropria direttamente delle risorse senza fare complimenti con le armi ed ogni sorta di menzogna e di violenza. L’Iraq resta l’esempio più emblematico di un imperialismo autocratico sostenuto da un potere che fa capo a sé stesso, avulso dal contesto organico del consorzio mondiale e che alcuni, offendo gli anarchici, definiscono appunto “anarchico” nel senso spregiativo del termine. Io amo parlare di “fuori legge”.

    La domanda che ci insegue è sempre la stessa: perché l’uomo delinque?. Si può rispondere solo se si sa che cos’è il crimine. La biologia sociale risponde che crimine è qualunque atto di violenza, diretta o indiretta, a danno dei diritti naturali (o esigenze biologiche) di chicchessia”. La prima esigenza è certamente quella di “esistere”, di essere al mondo, ovvero di soddisfare la fame. La seconda è quella di “sentirsi sicuri”. Se il concetto di “mangiare come prima condizione per esserci” è di facile comprensione, il concetto del sentirsi sicuri è meno intuitivo: se l’uomo che ha fame, è tentato di togliere il pane di bocca al suo vicino, l’uomo insicuro lo può seviziare e uccidere senza una ragione oggettiva. Il soggetto insicuro (timoroso) è quello che manca della “rassicuranza affettiva”. E’ pericoloso. L’uomo ha sempre commesso violenza per fame ma quanto può fare per trovare una “compensazione affettiva” è inimmaginabile. Infatti, se la fame la si può soddisfare ingerendo del cibo, la carenza di rassicuranza affettiva è il sentirsi estraneo nel contesto organico, che va dal “nucleo nativo” alla società. Si è sempre inseriti in contesto ma occorre sentirsene protetti e rassicurarti: solo allora si ha la sensazione di essere la parte di un tutto e di essere sé stesso. Quando le esigenze naturali sono represse l‘inserimento sa di prigione e al sentimento di appartenenza succede quello di ostilità. Vedi il “sentirsi straniero in patria”! Quando ciò avviene il bruto ovvero l’animale, che c’è in noi, si ammala d’infelicità: può insorgere o identificarsi in uno che lo domina e che delinque “anche per lui”. L’uomo – dice ancora la biologia sociale – è quello che diventa (buono o cattivo, mansueto o ribelle e così via) ma nel senso che cambia le modalità di risposta alle sue pulsioni naturali a seconda delle circostanze e del proprio potere”. Le pulsioni naturali (abbiamo accennato, per comodità, solo alle prime due) sono categoriche, costanti e universali. Un esempio per tutti: non avremmo mai certamente un soggetto “che non ha fame” ma possiamo avere innumeri tipologie antropologiche di soggetti che rispondono a quel sintomo secondo modalità le più diverse.

    La storia della specie umana è un ininterrotto scorrere di violenza e insieme di ricerca di pace. La violenza di oggi va ricercata anche nel tramonto della figura paterna, dominane e rassicurante insieme, ovvero nella dissoluzione del nucleo affettivo, detto impropriamente famiglia. Da sempre dietro ogni atto di violenza c’è una dissoluzione organica e psicodinamica. Lo stesso animale (superiore), sazio e sicuro, non è aggressivo: lo diventa al momento della fame, della difesa del suo habitat, del suo nucleo (partner e figli non ancora autonomi) e del… potere all’interno del gruppo, e della paura.

    Più sopra mi sono soffermato sul pregiudizio dell’anarchismo ideologico: potere uguale a violenza, proprio perché la gioventù di oggi, (spesso “orfana” - nel senso di priva di padre - e padre di sé stessa) fa dell’anarchismo nel senso detto, senza saperlo. Ascoltiamoli questi nostri figli e nipoti quando dicono che fanno ciò che vogliono, quando disdegnano la compagnia dei genitori e dei nonni perché “vecchi anche di mentalità”, quando si prendono gioco degli insegnanti e di qualunque “autorità”; quando sfidano il codice della strada, quando, nel corso di una manifestazione di piazza, s abbandonano ad un vandalismo gratuito; quando non vogliono sentire di regole e di limiti.

    La dissoluzione della famiglia (specie di quella patriarcale in cui i nonni svolgevano un ruolo complementare e di sostegno) è solo la causa oggettiva più evidente di una generazione affetta da “solitudine affettiva” (e quindi esistenziale) – che talora viene risolta con il suicidio! – ma la causa generale è lo stesso Stato non in quanto potere ma in quanto sempre meno-potere (sic!), che si desocializza a favore del privato quando, per l’effetto combinato di una maggiore coscienza del mondo e di una tecnologia galoppante, si ha maggiore bisogno di un potere pubblico sociale capace di controllare la tecnologia stessa (strumento dalla pericolosità crescente) e di insegnare la socialità organica sin dall’asilo-nido: la socialità del lavoro come creatività e servizio di una collettività di uomini-fratelli, uguali (economicamente) e quindi liberi secondo lo spirito del 1789. Lo Stato attuale è impegnato a far quadrare i parametri dell’impianto capitalista-predonomico (PIL – prodotto interno lordo – bilancio dei pagamenti con l’estero, legittimazone del parlamento e dei potenti) non quelli del benessere della collettività come comunità di individui aventi pari diritti. I milioni di disoccupati, maloccupati, poveri e diseredati (barboni compresi) sono dettagli ininfluenti.

    Assieme al nucleo affettivo si sta dissolvendo lo Stato: non credo che gli anarchici intelligenti possano esserne contenti come se potessero affermare di essere vicini alla mèta del grande Ideale della “società senza Stato”. Io penso che siamo sempre più vicini al marasma sociale, dove l’arbitrio e la violenza, giovanile e non, sono sentiti come l’unica via per riappropriarsi dei propri diritti naturali e quindi della propria identità. Con quel che segue…





    Carmelo R. Viola

    Centro Studi Biologia Sociale

    crviola@mail.gte.it

 

 

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