Né «SALARISTI» Né «REDDITISTI»
È ora di mettere fine alle guerre di religione. La lotta all'ultima goccia di
inchiostro tra «salaristi» e «redditisti», oltre ad essere noiosa, è
incomprensibile. Come si fa a sostenere che la rivendicazione di un reddito
sganciato dal lavoro produce divisione di classe e indebolisce le lotte per
l'occupazione? È come dire che la rivendicazione della libertà per i detenuti
impedisce il miglioramento delle condizioni in carcere. Pura follia. Dall'altra
parte, se qualcuno pensa che chiunque rivendichi la stabilizzazione della
propria posizione occupazionale è un vandeano, forse avrebbe bisogno di
qualche corso di sano materialismo. Insomma, parlando di precariato, il primo
obiettivo è evitare nefaste riproposizioni di teorie delle due società.
Piaccia o no, le «garanzie del fordismo» sono definitivamente tramontate.
Non perché le persone non vogliano un contratto a tempo indeterminato, ma
perché non sono disposte a scambiare la loro vita con l'ergastolo del lavoro.
Consigliamo di leggere «Le nouvel esprit du capitalisme» di Boltanski e
Chiappello. Analizzando la letteratura padronale negli anni settanta e novanta,
i due autori scoprono che il termine «flessibilità» ricorre con un
rovesciamento di senso: se negli anni settanta, nel periodo
dell'insubordinazione operaia, dell'assenteismo di massa e della fuga dal
lavoro salariato esso assume i colori del terrore e della disperazione, vent'anni
dopo torna come salvifica ricetta di qualsiasi politica del lavoro. Talvolta si ha
l'impressione che chi chiede di tornare alle «garanzie fordiste» abbia letto solo
la seconda parte del libro. Quando il lavoro vivo porta alle estreme
conseguenze le retoriche del «capitalismo postfordista», quando flessibilità,
mobilità, imprevedibilità e infedeltà contrattuale cessano di essere minacciose
parole d'ordine delle imprese per diventare armi nelle mani dei lavoratori,
equilibri e compatibilità del mercato saltano. Il problema è la rivendicazione
di parzialità, non per ritornare a garanzie [di sfruttamento] sfondate dai
conflitti prima ancora che dalla controrivoluzione capitalistica, bensì per
affermare nuovi diritti. In questo senso, lotte per il contratto a tempo
indeterminato e conflitti per il reddito e la mobilità non solo non sono al
ternativi, ma possono produrre un circolo virtuoso. Il dibattito non può
riprodursi nella separazione: deve alimentarsi all'interno del corpo vivo della
composizione di classe e delle sue forme di resistenza. Dopo averla spesso
evocata, dobbiamo cominciare davvero a fare inchiesta militante. Abbiamo
visto organizzazioni politiche qualificarsi come partiti dell'inchiesta, intesa
esclusivamente come pregiato orpello. Ma non stiamo parlando di una
semplice attività scientifica, che nella classica suddivisione dei compiti
consegna al sindacato o al partito l'utilizzo della conoscenza prodotta. La
ricerca militante è attività politica, collocata dentro e tendenzialmente oltre la
crisi della rappresentanza. O così, oppure torniamo agli intellettuali organici...
Da mesi all'interno dell'EuroMayDay process si sta costruendo una rete di
esperienze di conricerca, il Precarity Web Ring [www.precarity-map.net]:
assumendo lo spazio europeo come terreno di azione, l'obiettivo è cartografare
le soggettività, connettere i conflitti, produrre lessici comuni e sperimentare
nuove forme di organizzazione. Servono intelligenze, impegno militante e
risorse, anche economiche. Il terreno dell'inchiesta può essere un banco di
prova per un nuovo rapporto tra movimenti e sistema politico e sindacale, che
dopo Genova ha progressivamente segnato un punto di crisi. Il tempo delle
parole e dei buoni propositi è finito, ci vogliono fatti e risposte concrete.
Stanchi delle guerre di religione, chissà che questa non possa essere
l'occasione per una piccola pace di Westfalia...

Anna Curcio - Gigi Roggero, Sociologi