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    a.k.a. tolomeo
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    Predefinito Uno dei più grandi artisti di tutti i tempi

    Il principe Carlo Gesualdo, nacque l'8 marzo 1566 da Fabrizio II e Geronima Borromeo sorella di San Carlo. Seguì a Napoli severi studi ai quali fu avviato dal padre, discreto letterato e noto mecenate, molto legato ai Gesuiti. Eccelse nella musica polifonica, fu compositore di madrigali e di musica sacra che costituiscono il suo merito principale con cui ha precorso i tempi. Ebbe come maestri di musica Pomponio Nenna, Giovanni Macque, Stefano Felis, Scipione Stella ed altri eccellenti musici del tempo. All'età di 19 anni pubblicò il primo mottetto "Ne reminiscaris, Dominle, delicta wstra" (Perdona, Signore, i nostri peccati) dimostrando fin da giovane una passione enorme per la musica tale da farlo divenire, uno dei più illustri madrigalisti di ogni tempo apprezzato in tutto il mondo. Fu musicista raffinatissimo innovatore ed eccezionale precursore della musica moderna "onorato e ossequiato dagli uomini di cultura di mezzo mondo".
    Egli era anche appassionato per la caccia.

    Nel 1586 sposò la cugina Maria d'Avalos, nata nel 1560 da Carlo, conte di Montesarchio, e da Sveva Gesualdo. Il matrimonio avvenne nel maggio del 1586 con dispensa del papa Sisto V, nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli che era situata vicino al palazzo dove abitava la famiglia Gesualdo. Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Dal matrimonio nacque Emanuele.
    La vita scorreva tranquilla, ma un dì, durante una festa da ballo, Maria conobbe il duca d'Andria e conte di Ruvo Fabrizio Carafa. Fu subito amore..., benché anche questi fosse sposato con Maria Carafa e padre di quattro figli.

    I due superavano ogni ostacolo pur di incontrarsi e non seppero uscire dal ruolo di amanti predestinati. Nello stesso tempo non si riconoscevano colpevoli, perché per loro era vero amore, un amore talmente grande da poter affrontare anche la morte, come poi fecero, … omissis…, dimostrando con tale gesto che da un lato si trattava di vero amore e dall'altro di scegliere la voglia di purificarsi immolandosi per amore: non suicidandosi, ma facendosi ammazzare per amore. In questo modo l'alto senso dell'onore col martirio ne esce invitto e incontaminato, compreso quello del Gesualdo. Quindi gli amanti continuano ad incontrarsi, perfino in casa Gesualdo, nell'attesa di una vendetta che ormai entrambi sanno covata e meditata dal principe.
    Infatti, il 16 ottobre 1590 il principe avverte Maria che, insieme ad alcuni suoi servi, andrà a caccia nel bosco degli Astroni e resterà lontano due giorni. Era solo l'ultima parte di un piano già preparato in ogni minimo dettaglio.

    Nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590 i due amanti vennero colti in flagrante nella camera da letto di Maria e barbaramente trucidati. Il principe fu aiutato da alcuni suoi sgherri e dalla luce della luna che era sorta alle 21,53 ed era all’ultimo quarto, nel segno del Leone, illuminata al 69%.
    Le salme vennero composte e così descritte dai cronisti dell’epoca (Corona):
    “… scopriva la donna esser circoscritta da cinque lustri ma in questi compendiava la bellezza di tutti i secoli. Avea una chioma, che conoscendola non meno di oro che di corona degna. Era tutta inanellata, onde rendeva scusabile l’ucciso se per lei era rimasta prigioniera la sua vita per sempre di morte. L’esser così pallide quelle labbra non toglieva loro che non fossero coralli, tanto più preziosi ch’erano bianchi.
    Il cavaliero … vedevi un Adone se si osservavano le sue fattezze; miravi un Marte se si vagheggiava la robustezza del corpo”.

    "Alla violenza omicida Carlo fu indotto probabilmente suo malgrado, e più che dal risentimento personale da interessate delazioni che gli imposero l'obbligo di vendicare", col sangue, l'offesa fatta al gran cognome. "Le circostanze lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo; tanto che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò immediatamente a dare notizia personalmente dell'accaduto, lo esortò ad allontanarsi da Napoli non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi". Carlo fuggì da Napoli e si rifugiò nell'inaccessibile ed inespugnabile castello-fortezza di Gesualdo.
    Il 27 ottobre 1590, il giorno dopo la sua apertura, il processo venne archiviato “per ordine del Viceré stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo Principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca d’Andria”.

    Carlo rimase a Gesualdo finché non si fu accertato che il risentimento delle famiglie dei d'Avalos e dei Carafa si fosse sedato.
    In questo periodo, per sentirsi sicuro da eventuali attacchi di forze nemiche, per avere un orizzonte più libero e vasto, si ritiene che abbia ordinato il taglio di un intero bosco di querce e di abeti che ammantavano di verde la collina prospiciente il castello.
    Tutto ciò non gli restituì la serenità che oramai avrà perso per sempre, perché non c'è nessun testimone così terribile, nessun accusatore così implacabile come la coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.
    Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio si reca, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio con Eleonora d'Este.

    L’interesse al matrimonio era soprattutto di casa d’Este; infatti Alfonso II mirava ad ottenere l’appoggio dello zio di Carlo, il potente cardinale decano Alfonso Gesualdo, probabilmente futuro papa, nella speranza, risultata poi vana, che il suddetto cardinale intervenisse a favore della Casa d’Este qualora il ducato di Ferrara, per mancanza di eredi, fosse dovuto essere riannesso al dominio della Chiesa.
    Al principe e al suo seguito andò incontro il conte Alfonso Fontanelli inviato dal duca di Ferrara Alfonso Il d'Este. All'occhio acuto ed ironico del diplomatico di casa d'Este e dilettante di musica il principe Gesualdo apparve "di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, e pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco. Si anima per discorrere con irrefrenabile loquacità di musica e di caccia; si sforza dovunque vada di far eseguire ed eseguire egli stesso musica, pronto se manchi un cantore a partecipare all'esecuzione dei propri madrigali, dei quali discorre diffusamente, additando all'interlocutore i passi più notevoli per invenzione o artifizio; ama suonare il liuto e la chitarra spagnola e lo fa con gran maestria e con intensità espressiva sottolineata dal continuo atteggiare e muoversi".

    Il rapporto del diplomatico-musicista traccia di Gesualdo un ritratto più vivo rispetto alla sbiadita immagine di donatore assistito dalla figura dello zio Carlo Borromeo che appare nella pala d’altare della chiesa S. Maria delle Grazie di Gesualdo.
    Il 21 febbraio 1594 sposò Eleonora d'Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II. Eleonora donò allo sposo un'opera d'arte: un'armatura cavalleresca mirabilmente cesellata dal più grande maestro armaiolo dell'epoca Pompeo della Casa, che oggi è esposta al museo di Konopiste, a Praga. Da Ferrara gli sposi passarono a Venezia. Di qui per mare raggiunsero a metà agosto Barletta, per condursi a Gesualdo. Durante la sua dimora a Gesualdo il principe si occupava molto di caccia e di musica. Poiché Eleonora era incinta, nel dicembre dello stesso anno 1594 ritornarono a Ferrara dove rimasero per circa due anni. A Ferrara Carlo non riuscì a legare con l'Accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del tempo che non gli permise di recitare il ruolo di "primo attore". Pertanto decise di ritornare a Napoli lasciando a Ferrara la moglie e il piccolo Alfonsino che da lei aveva avuto. Ma temendo ancora la vendetta delle potenti famiglie d'Avalos e Carafa, si ritirò definitivamente, nel mese di giugno del 1596, nel castello di Gesualdo, fatto ristrutturare tempo addietro. Il castello aveva perso il rude aspetto di fortezza e divenne una bellissima dimora capace di accogliere una fastosa corte canora nel vago e vano tentativo di emulare quella di Ferrara.

    Durante questo lungo periodo (17 anni), più di un terzo della vita di Carlo, Gesualdo godette della magnificenza del principe che, per cercare la pace dell'anima e il perdono di Dio, fra tante altre opere, fece edificare una fontana, tre chiese e due conventi: uno per i Domenicani e uno per i Cappuccini.
    Il convento dei Domenicani comprende la chiesa del SS. Rosario, attualmente in ristrutturazione a causa del sisma del 23 novembre 1980,e le case che sono alle sue spalle passate da tempo nelle mani di privati.

    Il convento dei Cappuccini, comprende invece un edificio, gravemente danneggiato dal sisma suddetto e anch’esso in ristrutturazione, un grande giardino e la chiesa di S. Maria delle Grazie nella quale si trova l'imponente tela(481cm x 310 cm) intitolata "11 perdono di Carlo Gesualdo", di Giovanni Balducci e aiuti, 1609.
    La tela è stata finalmente restaurata ed è stata riportata a Gesualdo nella suddetta chiesa al suo originario posto.
    Nella tela si osserva ad un lato l'immagine del principe che, in ginocchio, con le mani congiunte in atto di preghiera e accompagnato dallo zio Carlo Borromeo (poi santo), chiede perdono per il duplice assassinio a Cristo giudicante con l'intercessione della Vergine, di S. Michele, S. Francesco, S. Domenico, S. Caterina e della Maddalena. Di fronte al principe vi è la moglie Eleonora d'Este, anch’ella in ginocchio, in atto di preghiera. A centro è raffigurato con le ali di un angioletto, il piccolo Alfonsino, morto nel 1600 in tenera età. Allargando l'orizzonte si può ritenere che la tela votiva raffiguri la richiesta di perdono per tutta l'umanità peccatrice, così come il principe musicista nel 1585 scriveva nel suo primo mottetto Ne reminiscaris, Domine, delicta nostra (Perdona, Signore, i nostri peccati).

    Alcuni particolari interessanti sono venuti alla luce dopo il restauro. Il quadro finalmente ha il vero autore: Giovanni Balducci da Firenze. Eleonora d'Este era stata coperta con abito da monaca e la Maddalena era vestita con abito accollato. Ora Eleonora è vestita "alla spagnola" e la Maddalena ha un vestito scollato. Tutto ciò era dovuto alle conseguenze del Concilio di Trento e della Controriforma che non consentiva di tenere nelle chiese figure poco riverenti al luogo sacro. Non sappiamo chi è stato il braghettone de Il perdono di Carlo Gesualdo, a differenza di quello del Giudizio Universale di Michelangelo, ma non possiamo giustificare che nel suo operare abbia coperto la firma del vero autore della tela votiva.
    Nell'ambiente gesualdino fatto di pace, serenità, di aria pulita e profumata, di panorami vastissimi e di boschi per la caccia, il principe potette dedicarsi completamente alla musica, per cui oltre ai 4 libri di Madrigali già pubblicati, compose altri 2 libri che fece stampare nel 1611 a Gesualdo nella tipografia che il tipografo Gian Giacomo Carlino installò nel castello. Compose inoltre altri Mottetti, un libro di Responsori, un Benedictus, un Miserere, un libro di Sacrae Cantiones a cinque voci e uno a sei voci composte "con artifizio singolare e per sommo diletto degli animi induriti".

    Sulla musica di questo grande musicista, si è commesso, e molti continuano a commettere, l'errore di interpretare la musica di Gesualdo in termini autobiografici, limitati ad alcuni episodi, ed in particolare al tradimento ed all'assassinio della prima moglie. Egli fu certamente uno spirito introverso, tormentato e nevropatico; la vita non gli diede molte gioie e lo colpì con sofferenze fisiche e psichiche, con delusioni, con perdite dolorose. Ma non bisogna lasciarsi ingannare..., non bisogna dimenticare che Carlo era secondogenito (v. albero genealogico) e che aveva avuto una rigida educazione religiosa e musicale. Inoltre era nipote di due cardinali, di cui uno poi santo, e il padre, discreto letterato e amante della musica, era molto legato ai Gesuiti ed era mecenate dei musici napoletani più famosi di quel tempo.

    Nell'ultimo periodo Gesualdo abbandonò la musica profana del madrigale per dedicarsi completamente alla musica sacra. "A parte ogni movente di pia edificazione (e forse... di personale espiazione), c'è nel rivolgersi alla composizione religiosa un preciso intento estetico, ... più spesso giustificato dai concetti sempre ricorrenti di perdono, di speranza, di ardore, di trionfo.... Nel suo operare è chiaro un atteggiamento espressionistico che chiarisce un'altra ragione delle sue scelte antiletterarie : non serva, ma compagna dell'orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell'anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature il fervore disperato della speranza..." e del perdono.

    "Le estremistiche combinazioni armoniche di Carlo Gesualdo, ha affermato uno dei massimi studiosi di musica barocca, M. Bukofzer, La musica barocca, pag. 48, trovano un riscontro solo nella moderna musica dei nostri giorni.
    Scavalcando i secoli, il pensiero musicale del principe dei musici ha così conquistato una sua specie di eternità".
    Pentito per il duplice assassinio, attanagliato dal rimorso, afflitto da emicranie e da atonia intestinale, il principe visse momenti di ansia tremenda. Il 20 agosto 1613 gli giunse da Venosa (PZ) la notizia della morte accidentale dell'unico erede Emanuele. Carlo fu sopraffatto. Si ritirò in un camerino del castello di Gesualdo, "contiguo alla sua camera del zembalo" e dopo pochi giorni, l'8 settembre, rese, anch'egli, l'anima a Dio, trovando questa volta la pace per sempre e ... il perdono tanto sospirati.
    Le spoglie del principe mecenate e musicista riposano a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo ai piedi della sontuosa cappella di S. Ignazio, dalla sua famiglia eretta e ove tuttora si legge l'iscrizione che ne ricorda il suo nome.


    Note tratte dal libro di Michele Zarrella :" Il principe madrigalista CARLO GESUALDO l’albero genealogico e la sua città" edito dalla Pro loco Civitatis Iesualdinæ.
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

  2. #2
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    Carlo Gesualdo, Pari di Spagna, grandissimo musicista.
    Vicino per legami familiari o per sventura alle più grandi famiglie del suo tempo: i D'Avalos, i Carafa, i Borromeo, i D'Este, oltre ad artisti del suo tempo come Torquato Tasso.
    Il Principe dei Musici.

    Carlo Gesualdo nacque a Venosa (PZ) (lo testimoniano due lettere custodite presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano). Era il primo nato dopo che il Casato era stato insignito del titolo di "Principe di Venosa", la città dei propri avi. Infatti i Gesualdo, di origine normanna, vantavano una discendenza da Roberto il Guiscardo e a Venosa c'è il famedio dei primi conti normanni di Puglia. All'età di 19 anni Gesualdo pubblicò il primo mottetto "Ne reminiscaris, Dominle, delicta nostra" (Perdona, Signore, i nostri peccati) dimostrando fin da giovane una passione enorme per la musica tale da farlo divenire, uno dei più illustri madrigalisti di ogni tempo apprezzato in tutto il mondo. Grande appassionato di caccia, fu musicista raffinatissimo innovatore ed eccezionale precursore della musica moderna "onorato e ossequiato dagli uomini di cultura di mezzo mondo".

    Nel 1586 sposò la cugina Maria d'Avalos, nata nel 1560 da Carlo, conte di Montesarchio, e da Sveva Gesualdo. Il matrimonio avvenne nel maggio del 1586 con dispensa del Papa Sisto V, nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli che era situata vicino al palazzo dove abitava la famiglia Gesualdo. Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Dal matrimonio nacque Emanuele.

    La vita scorreva tranquilla, ma un dì, durante una festa da ballo, Maria conobbe il duca d'Andria e conte di Ruvo Fabrizio Carafa. Fu subito amore..., benché anche questi fosse sposato con Maria Carafa e padre di quattro figli.

    I due superavano ogni ostacolo pur di incontrarsi e non seppero uscire dal ruolo di amanti predestinati. Nello stesso tempo non si riconoscevano colpevoli, perché per loro era vero amore, un amore talmente grande da poter affrontare anche la morte, come poi fecero, …omissis…, dimostrando con tale gesto che da un lato si trattava di vero amore e dall'altro di scegliere la voglia di purificarsi immolandosi per amore: non suicidandosi, ma facendosi ammazzare per amore. In questo modo l'alto senso dell'onore col martirio ne esce invitto e incontaminato, compreso quello del Gesualdo. Quindi gli amanti continuano ad incontrarsi, perfino in casa Gesualdo, nell'attesa di una vendetta che ormai entrambi sanno covata e meditata dal principe.

    Infatti, il 16 ottobre 1590 il principe avverte Maria che, insieme ad alcuni suoi servi, andrà a caccia nel bosco degli Astroni e resterà lontano due giorni. Era solo l'ultima parte di un piano già preparato in ogni minimo dettaglio.

    Nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590 i due amanti vennero colti in flagrante nella camera da letto di Maria e barbaramente trucidati. Il principe fu aiutato da alcuni suoi sgherri e dalla luce della luna che era sorta alle 21,53 ed era all'ultimo quarto, nel segno del Leone, illuminata al 69%.

    Le salme vennero composte e così descritte dai cronisti dell'epoca (Corona):

    "... scopriva la donna esser circoscritta da cinque lustri ma in questi compendiava la bellezza di tutti i secoli. Avea una chioma, che conoscendola non meno di oro che di corona degna. Era tutta inanellata, onde rendeva scusabile l'ucciso se per lei era rimasta prigioniera la sua vita per sempre di morte. L'esser così pallide quelle labbra non toglieva loro che non fossero coralli, tanto più preziosi ch'erano bianchi. Il cavaliero … vedevi un Adone se si osservavano le sue fattezze; miravi un Marte se si vagheggiava la robustezza del corpo".
    Alla violenza omicida Carlo fu, probabilmente suo malgrado, indotto; e, più che dal risentimento personale, da interessate delazioni che gli imposero l'obbligo di vendicare, col sangue, l'offesa fatta al suo nome. Le circostanze lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo; tanto che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò immediatamente a dare notizia personalmente dell'accaduto, lo esortò ad allontanarsi da Napoli non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi. Carlo fuggì da Napoli e si rifugiò nell'inaccessibile ed inespugnabile castello-fortezza di Gesualdo.

    Il 27 ottobre 1590, il giorno dopo la sua apertura, il processo venne archiviato "per ordine del Viceré stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo Principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca d'Andria".

    Carlo rimase a Gesualdo finché non si fu accertato che il risentimento delle famiglie dei d'Avalos e dei Carafa si fosse sedato. In questo periodo, per sentirsi sicuro da eventuali attacchi di forze nemiche, per avere un orizzonte più libero e vasto, si ritiene che abbia ordinato il taglio di un intero bosco di querce e di abeti che ammantavano di verde la collina prospiciente il castello.

    Tutto ciò non gli restituì la serenità che oramai avrà perso per sempre, perché non c'è nessun testimone così terribile, nessun accusatore così implacabile come la coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.

    Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio si reca, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio con Eleonora d'Este.


    Il rapporto con Casa d'Este
    L'interesse al matrimonio era soprattutto di casa d'Este; infatti Alfonso II mirava ad ottenere l'appoggio dello zio di Carlo, il potente cardinale decano Alfonso Gesualdo, probabilmente futuro Papa, nella speranza, risultata poi vana, che il suddetto cardinale intervenisse a favore della Casa d'Este qualora il ducato di Ferrara, per mancanza di eredi, fosse dovuto essere riannesso al dominio della Chiesa.

    Al principe e al suo seguito andò incontro il conte Alfonso Fontanelli inviato dal duca di Ferrara Alfonso Il d'Este. All'occhio acuto ed ironico del diplomatico di casa d'Este e dilettante di musica il principe Gesualdo apparve "di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, e pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco. Si anima per discorrere con irrefrenabile loquacità di musica e di caccia; si sforza dovunque vada di far eseguire ed eseguire egli stesso musica, pronto se manchi un cantore a partecipare all'esecuzione dei propri madrigali, dei quali discorre diffusamente, additando all'interlocutore i passi più notevoli per invenzione o artifizio; ama suonare il liuto e la chitarra spagnola e lo fa con gran maestria e con intensità espressiva sottolineata dal continuo atteggiare e muoversi".

    Il rapporto del diplomatico-musicista traccia di Gesualdo un ritratto più vivo rispetto alla sbiadita immagine di donatore assistito dalla figura dello zio Carlo Borromeo che appare nella pala d'altare della chiesa di S. Maria delle Grazie di Gesualdo.

    Il 21 febbraio 1594 sposò Eleonora d'Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II. Eleonora donò allo sposo un'opera d'arte: un'armatura cavalleresca mirabilmente cesellata dal più grande maestro armaiolo dell'epoca Pompeo della Casa, che oggi è esposta al museo di Konopiste, a Praga. Da Ferrara gli sposi passarono a Venezia. Di qui per mare raggiunsero a metà agosto Barletta, per condursi a Gesualdo. Durante la sua dimora a Gesualdo il principe si occupava molto di caccia e di musica. Poiché Eleonora era incinta, nel dicembre dello stesso anno 1594 ritornarono a Ferrara dove rimasero per circa due anni. A Ferrara Carlo non riuscì a legare con l'Accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del tempo che non gli permise di recitare il ruolo di "primo attore". Pertanto decise di ritornare a Napoli lasciando a Ferrara la moglie e il piccolo Alfonsino che da lei aveva avuto. Ma temendo ancora la vendetta delle potenti famiglie d'Avalos e Carafa, si ritirò definitivamente, nel mese di giugno del 1596, nel castello di Gesualdo, fatto ristrutturare tempo addietro. Il castello aveva perso il rude aspetto di fortezza e divenne una bellissima dimora capace di accogliere una fastosa corte canora nel vago e vano tentativo di emulare quella di Ferrara.

    Durante questo lungo periodo (17 anni), più di un terzo della vita di Carlo, Gesualdo godette della magnificenza del principe che, per cercare la pace dell'anima e il perdono di Dio, fra tante altre opere, fece edificare tre chiese e due conventi: uno per i Domenicani e uno per i Cappuccini.

    Il convento dei Domenicani comprende la chiesa del SS. Rosario, ristrutturata per i danni subiti dal sisma del 23 novembre 1980, e le case che sono alle sue spalle passate da tempo nelle mani di privati.


    Storia di una tela
    Il convento dei Cappuccini, comprende invece un edificio (gravemente danneggiato dal sisma del 23 novembre 1980, ristrutturato ed inaugurato il 6 giugno 2004), un grande giardino e la chiesa di S. Maria delle Grazie nella quale si trova l'imponente tela (481cm x 310 cm) intitolata "Il perdono di Carlo Gesualdo", di Giovanni Balducci e aiuti, 1609.

    La tela è stata restaurata ed è stata riportata a Gesualdo nella suddetta chiesa al suo originario posto. Nella tela si osserva ad un lato l'immagine del principe che, in ginocchio, con le mani congiunte in atto di preghiera e accompagnato dallo zio Carlo Borromeo (poi santo), chiede perdono per il duplice assassinio a Cristo giudicante con l'intercessione della Vergine, di S. Michele, S. Francesco, S. Domenico, S. Caterina e della Maddalena. Di fronte al principe vi è la moglie Eleonora d'Este, anch'ella in ginocchio, in atto di preghiera. A centro è raffigurato con le ali di un angioletto, il piccolo Alfonsino, morto nel 1600 in tenera età. Allargando l'orizzonte si può ritenere che la tela votiva raffiguri la richiesta di perdono per tutta l'umanità peccatrice, così come il principe musicista nel 1585 scriveva nel suo primo mottetto Ne reminiscaris, Domine, delicta nostra (Perdona, Signore, i nostri peccati).

    Alcuni particolari interessanti sono venuti alla luce dopo il restauro. Il quadro finalmente ha il vero autore: Giovanni Balducci da Firenze. Eleonora d'Este era stata coperta con abito da monaca e la Maddalena era vestita con abito accollato. Ora Eleonora è vestita "alla spagnola" e la Maddalena ha un vestito scollato. Tutto ciò era dovuto alle conseguenze del Concilio di Trento e della Controriforma che non consentiva di tenere nelle chiese figure poco riverenti al luogo sacro. Non sappiamo chi è stato il braghettone de Il perdono di Carlo Gesualdo, a differenza di quello del Giudizio Universale di Michelangelo, ma non possiamo giustificare che nel suo operare abbia coperto la firma del vero autore della tela votiva.

    Nell'ambiente gesualdino fatto di pace, serenità, di aria pulita e profumata, di panorami vastissimi e di boschi per la caccia, il principe potette dedicarsi completamente alla musica, per cui oltre ai 4 libri di Madrigali già pubblicati, compose altri 2 libri che fece stampare nel 1611 a Gesualdo nella tipografia che il tipografo Gian Giacomo Carlino installò nel castello. Compose inoltre altri Mottetti, un libro di Responsori, un Benedictus, un Miserere, un libro di Sacrae Cantiones a cinque voci e uno a sei voci composte "con artifizio singolare e per sommo diletto degli animi induriti".

    Sulla musica di questo grande musicista, si è commesso, e molti continuano a commettere, l'errore di interpretare la musica di Gesualdo in termini autobiografici, limitati ad alcuni episodi, ed in particolare al tradimento ed all'assassinio della prima moglie. Egli fu certamente uno spirito introverso, tormentato e nevropatico; la vita non gli diede molte gioie e lo colpì con sofferenze fisiche e psichiche, con delusioni, con perdite dolorose. Ma non bisogna lasciarsi ingannare..., non bisogna dimenticare che Carlo era secondogenito (v. albero genealogico) e che aveva avuto una rigida educazione religiosa e musicale. Inoltre era nipote di due cardinali, di cui uno poi santo, e il padre, discreto letterato e amante della musica, era molto legato ai Gesuiti ed era mecenate dei musici napoletani più famosi di quel tempo.


    Dal madrigale alla musica sacra
    Nell'ultimo periodo Gesualdo abbandonò la musica profana del madrigale per dedicarsi completamente alla musica sacra. "A parte ogni movente di pia edificazione (e forse... di personale espiazione), c'è nel rivolgersi alla composizione religiosa un preciso intento estetico, ... più spesso giustificato dai concetti sempre ricorrenti di perdono, di speranza, di ardore, di trionfo.... Nel suo operare è chiaro un atteggiamento espressionistico che chiarisce un'altra ragione delle sue scelte antiletterarie: non serva, ma compagna dell'orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell'anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature il fervore disperato della speranza..." e del perdono.

    "Le estremistiche combinazioni armoniche di Carlo Gesualdo", ha affermato uno dei massimi studiosi di musica barocca, M. Bukofzer (La musica barocca, pag. 48), trovano un riscontro solo nella moderna musica dei nostri giorni. Scavalcando i secoli, il pensiero musicale del principe dei musici ha così conquistato una sua specie di eternità".

    Pentito per il duplice assassinio, attanagliato dal rimorso, afflitto da emicranie e da atonia intestinale, il principe visse momenti di ansia tremenda. Il 20 agosto 1613 gli giunse da Venosa (PZ) la notizia della morte accidentale dell'unico erede Emanuele. Carlo fu sopraffatto. Si ritirò in un camerino del castello di Gesualdo, "contiguo alla sua camera del zembalo" e dopo pochi giorni, l'8 settembre, rese, anch'egli, l'anima a Dio, trovando questa volta la pace per sempre e... il perdono tanto sospirati.


    Le spoglie del principe mecenate e musicista ufficialmente riposano a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo ai piedi della sontuosa cappella di S. Ignazio, dalla sua famiglia eretta e ove tuttora si legge l'iscrizione che ne ricorda il suo nome. Tuttavia recenti studi condotti dallo storico Annibale Cogliano, sembrerebbero indicare come luogo di reale sepoltura la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Gesualdo, sotto il pavimento della cappella dedicata alla Madonna.


    Opere
    1594: Madrigali libro primo (a 5 voci)
    1594: Madrigali libro secundo (a 5 voci)
    1595: Madrigali libro terzo (a 5 voci)
    1596: Madrigali libro quarto (a 5 voci)
    1603: Sacrarum cantionum liber primus, 21 Motetti (a 5 voci)
    1603: Sacrarum cantionum liber secundus, 20 Motetti (a 6-7 voci)
    1611: Madrigali libro quinto (a 5 voci)
    1611: Madrigali libro sesto (a 5 voci)
    1611: Responsoria et alia ad Officium Hebdomadae Sanctae spectantia (a 6 voci)
    1626: Madrigali libro settimo (a 6 voci, scomparso)
    .

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    Camminare per il centro storico di Gesualdo è come immergersi in ambiente originale di tipo feudale con i vicoli in pietra a dimensione d’uomo, poggiando i piedi sulle pietre dove secoli prima li hanno poggiati il principe Carlo Gesualdo, nipote di san Carlo, i suoi musici e i suoi armigeri. Spinti dalla passione per l’arte di Carlo Gesualdo vi hanno fatto visita a questi luoghi musici, compositori, registi, storici, docenti universitari e gente comune. Ricordiamone alcuni: Igor Stravinsky, Robert Kraft, Werner Herzog, John Crayton, Glenn Watkins, Giovanni Iudica, Kathy Toma, Elio Durante, Anna Martellotti, Salvatore Sciarrino, ecc.
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

  4. #4
    a.k.a. tolomeo
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    Predefinito Consigliato

    GIOVANNI IUDICA vive a Milano dove insegna, come professore ordinario di Diritto privato all'Università Bocconi. Quasi per caso imbattutosi - leggendone la storia e ascoltandone i madrigali - in un eccelso musicista napoletano della seconda metà del XVI secolo poco noto ai non appassionati, Carlo Gesualdo principe di Venosa, quale autore ha ritessuto la trama della sua biografia nel libro Il principe dei musici (Sellerio editore) rimanendo "intrappolato in una storia meravigliosa".
    .

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