Ancora scontri a Ein el-Hilwe
Sabato due gennaio alcuni militanti del gruppo salafita Jund al-Sham hanno attaccato con AK-47 e lanciagranate una delle sedi di al-Fatah nel campo profughi palestinese di Ein el-Hilwe. Ne è nato uno scontro a fuoco durato più di un’ora nel quale ci sono stati alcuni feriti. Gli scontri sono terminati solo grazie all’intervento massiccio del Comitato per la sicurezza del campo stesso.
La notizia ha avuto un’eco immediata, e non solo nella stampa libanese, visto che è stata diffusa da quasi tutte le agenzie di stampa arabe e asiatiche, compresa la cinese Xinhua.
Tuttavia, la cosa più inquietante è che, prendendo a pretesto questo nuovo incidente (l’ultimo di una lunga serie ad attestare lo scontro fratricida tra al-Fatah e le forze islamiche salafite radicali), diversi leader politici libanesi filo-occidentali (parliamo anzitutto dei partiti coalizzati nel blocco del “14 Marzo” guidato dal primo ministro Saad Hariri), hanno preso la palla al balzo per rimettere sul tappeto, sia la questione del disarmo della Resistenza palestinese, sia la non meno scottante questione di chi debba gestire la sicurezza all’interno dei campi profughi.
La destra libanese, sostenuta apertamente dagli Stati Uniti (e di nascosto da Israele) non fa infatti mistero di voler disarmare i gruppi palestinesi, comprese le organizzazioni storiche dell’OLP e, in secondo luogo, di togliere ai palestinesi il diritto ad assicurare essi stessi la sicurezza dentro i campi profughi, trasferendola allo stato libanese, ovvero alle sue Forze per la Sicurezza Interna.
La questione irruppe nell’agenda politica libanese nell’estate 2007, in occasione dei violentissimi scontri tra l’esercito libanese e la milizia del gruppo palestinese salafita Fatah al-Islam. Quegli scontri, che durarono ben 15 settimane e che fecero un numero ancora imprecisato di morti e feriti, si conclusero con la pressoché totale distruzione del campo profughi di Nar el-Bared.

Gli accordi del Cairo e gli scontri di Nar el-Bared
A regolamentare la questione dello status dei profughi palestinesi e della loro gestione, ci sono gli accordi presi nel 1969 tra le organizzazioni della resistenza palestinese facenti capo all’OLP e le autorità libanesi.
In base a quegli accordi i 12 campi profughi (sorti dopo la Nakhba del 1948 e dove vivono circa 400mila palestinesi) all’OLP venne assegnata la facoltà di amministrare i campi e di gestire autonomamente la sicurezza. Più precisamente, mentre la gestione politica a amministrativa corrente era consegnata ai Comitati Popolari unitari, la sicurezza era affidata alle milizie armate di questi comitati. E sempre in base agli Accordi del Cairo veniva proibito alle forze armate libanesi di entrare nei campi medesimi.
Nar el-Bared diede dunque vita ad un grave precedente: per la prima volta l’esercito libanese non solo intervenne per dirimere una disputa interna tra le organizzazioni palestinesi entrando nel campo profughi, ma agì con una brutalità senza precedenti, radendo al suolo Nar el-Bared ed espellendo i suoi 30mila abitanti.
Malgrado la ricostruzione del campo di Nar el-Bared sia finalmente iniziata la situazione dei profughi è drammatica sotto ogni punto di vista. Se ventimila hanno fatto ritorno tra le macerie e i vicoli maleodoranti, diecimila sono ancora accampati sotto le tende, mancando di tutti i servizi essenziali, sopravviventi solo grazie agli aiuti gestiti dall’UNRWA, alla mercé delle angherie dei militari libanesi. Le denuncie di queste angherie non filtrano nella stampa, né internazionale né libanese. Malgrado non ci sia più traccia dei militanti di Fatah al-Islam, il campo è permanentemente accerchiato dall’esercito libanese, le forze di sicurezza spadroneggiano e perquisiscono senza alcun mandato. L’accesso al campo è praticamente interdetto, e i permessi d’ingresso vengono a discrezione rilasciati dal Mukhabarat, il servizio segreto dell’esercito. Cosa ancora più grave (come denunciano i palestinesi) pattuglie in borghese del Mukhabarat vanno reclutando spie in ogni angolo e hanno creato un clima di sospetto e di paura. La gente evita di parlare di politica, o anche solo di lamentarsi, e lo fa solo con parenti stretti o persone di fiducia. Le donne in particolare sono reclutate come spie, e vengono comprate con quattro soldi, spesso con schede telefoniche prepagate. Altri vengono reclutati promettendo loro un accesso più facile al campo. “Hanno iniettato un virus da cui sarà difficile sbarazzarsi”. “Perché ci trattano in questo modo? Perché ci trattano come nemici e bestie?”. Insomma, Nar el-Bared è oggi un vero e proprio carcere in cui i diritti umani fondamentali sono calpestati.
Allora, nel 2007, fummo tra i pochi a denunciare il massacro e la deportazione, a segnalare le gravissime responsabilità dell’esercito libanese, mentre altri non seppero fare di meglio che trastullarsi con demenziali ipotesi complottiste (Fatah al-Islam come organizzazione al servizio dei sionisti e altre amenità), il tutto a giustificazione dell’operato dell’esercito libanese. Quella nostra non era una posizione tesa a fare sconti all’impresa suicida di Fatah al-Islam, noi cercavamo di segnalare il senso degli avvenimenti, sottolineando il gravissimo precedente per cui l’esercito libanese, senza averne il diritto giuridico e politico, non solo era intervenuto in una disputa interna ai palestinesi, ma era entrato nel campo radendolo addirittura al suolo.
Ora si vede quanto questo fosse il vero problema.
La destra libanese del “14 marzo”, prendendo a pretesto le tensioni tra salafiti e al-Fatah, sta ripassando all’offensiva con lo scopo, per niente recondito, di togliersi dai piedi l’impiccio della Resistenza palestinese. Come? Ma è chiaro, stracciando gli accordi del 1969, affermando che siccome lo Stato è sovrano sul suo territorio, non può tollerare milizie armate autonome di alcun tipo. In particolare, proprio in questi giorni, esponenti di destra del governo stanno chiedendo ai palestinesi di consegnare le armi depositate fuori dai campi profughi, anzitutto nella valle della Bekaa. Come si diceva nel ‘68: “Dagli un dito e ti prenderanno tutto il braccio”.

Il vero obiettivo della destra libanese
Due sono le obiezioni che la Resistenza palestinese muove alla destra libanese. La prima, è che le milizie palestinesi (che da ormai molto tempo, ovvero dalla fine della guerra civile, non intervengono nelle dispute politiche libanesi) non servono solo a svolgere compiti di polizia nei campi. Queste milizie hanno invece un altro e prioritario compito, difendersi dalle intermittenti aggressioni sioniste e quindi, come diversi dirigenti palestinesi hanno in questi giorni dichiarato, difendere lo stesso stato libanese dalla comune minaccia.
La seconda obiezione, non meno indiscutibile, che la Resistenza palestinese oppone alla destra filo-occidentale libanese è che non si può chiedere ai profughi palestinesi di soggiacere alla supremazia statale libanese fino a quando lo stato libanese tratterà i profughi come cittadini di serie B (serie B è un eufemismo per significare una sistematica emarginazione). Disarmare le milizie palestinesi dei campi profughi, permettere alle forze della sicurezza libanese di gestirne la sicurezza interna, senza integrare pienamente i palestinesi come cittadini a pieno titolo, equivarrebbe a trasformare i campi stessi in veri e propri lager di detenzione.
Ma dietro a questa vicenda ce n’è un’altra e ben più grande, ed è la sorte della Resistenza nazionale libanese, ovvero dell’esercito e delle forze di sicurezza di Hezbollah.
Non è per caso che proprio mentre scriviamo la stampa libanese filo-occidentale stia dando ampio risalto alle affermazioni di diversi esponenti del “14 Marzo”, secondo i quali non solo andrebbero disarmate le milizie palestinesi, anche Hezbollah dovrebbe ovviamente deporre e consegnare le armi, sempre in nome dell’insindacabile sovranità dello stato.
Quanto poco insindacabile sia questa sovranità lo hanno dimostrato a più riprese gli israeliani, che se ne sono sempre infischiati della “sovranità libanese”, invadendo il paese come e quando hanno voluto e devastandolo. Un paese è sovrano, come minimo, quando le sue forze armate sono decise a difendere l’inviolabilità dei suoi confini. Dov’era l’esercito libanese nel luglio 2006 quando i sionisti invasero il paese? Risposta: a guardare! Non fosse stato per la efficace resistenza opposta dalle forze armate di Hezbollah, Israele sarebbe potuta nuovamente giungere fino a Beirut.
Non è certo un mistero per nessuno che la destra libanese chieda il disarmo di Hezbollah. Essa si fa forte degli “Accordi di Taef”, sottoscritti dai partiti libanesi, tra cui Hezbollah, nel novembre del 1989. In effetti quegli Accordi prevedevano testualmente «1. Lo scioglimento di tutte le milizie, libanesi o no, e la rimessa delle loro armi allo stato libanese entro 6 mesi, termine che entra in vigore dopo la ratifica del documento di intesa Nazionale, l'elezione del presidente della Repubblica, la formazione del governo di intesa Nazionale, e l'adozione delle riforme politiche per la via costituzionale».
Ma questo scioglimento delle milizie, ovvero il disarmo della Resistenza era legato ad una serie di altre condizioni, tra cui non solo il superamento della configurazione confessionale del sistema istituzionale ed una serie di altre riforme, ma anzitutto alla costituzione di un esercito in grado di tenere testa al nemico israeliano. Tutte cose rimaste sulla carta e disattese. Il problema è squisitamente politico e di rilevanza strategica: il fatto è che la destra libanese non vuole affatto combattere Israele e, se potesse, non vedrebbe l’ora di stringere accordi con Tel Aviv come fecero a suo tempo egiziani e giordani.
In questo contesto si capisce perché Hezbollah non voglia cedere di un millimetro dalla sue posizioni, che non abbia alcuna intenzione di disarmare le sue forze. Se questo accadesse il Libano diventerebbe un protettorato occidentale, uno stato fantoccio. Significherebbe causare un terremoto di portata colossale negli equilibri regionali, ovviamente a favore di Israele.
Per questo è così rilevante la questione del disarmo della Resistenza palestinese: essa farebbe solo da apripista a quello dell’esercito di Hezbollah, il vero obiettivo degli imperialisti e dei loro lacchè libanesi. E per questo ci auguriamo che Hezbollah, che da alcuni mesi fa parte del governo di coalizione nazionale, respingerà con fermezza il tentativo di disarmare le milizie palestinesi, che rappresentano il loro più sicuro alleato nel paese.

La questione dei campi palestinesi al centro dello scontro politico