Ieri a Gemonio serie d’incontri tra il leader del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli e Giulio Tremonti per valutare le aperture della maggioranza
Il Senatùr: «Possibile discutere con l’Unione, il problema è sapere chi è l’interlocutore».
Chiti, Violante e Bersani gli ambasciatori del centrosinistra - di Adalberto Signore -


Adalberto Signore

da Roma

«Questo è il momento di pensare e di studiare», andava dicendo qualche giorno fa Umberto Bossi. «Pensare» a come rilanciare la battaglia federalista e «studiare» le insistenti aperture al dialogo che arrivano in questi giorni dall'Unione. Così, se da una parte la Lega si prepara a ripartire da Lombardia e Veneto (le due regioni che al referendum si sono pronunciate per il «sì»), dall'altra il Senatùr valuta con attenzione i segnali di disponibilità della maggioranza sul fronte riforme. «Un dialogo difficile - avrebbe ripetuto più d'una volta Bossi - perché ancora non si è capito chi sia l'interlocutore, ma che non possiamo comunque far cadere nel vuoto...». Ed è soprattutto di questo che si è parlato ieri a Gemonio, durante una serie d'incontri tra il leader della Lega e i suoi colonnelli. Nella villetta gialla a una quindicina di chilometri da Varese si sono presentati il segretario della Lega Lombarda Giancarlo Giorgetti e il coordinatore delle segreterie del Carroccio Roberto Calderoli, ma pure Giulio Tremonti, vicepresidente della Camera e cinghia di trasmissione tra la Lega e Forza Italia (mentre Aldo Brancher, altro azzurro vicinissimo al Senatùr, è stato costretto a rinunciare all'incontro perché impegnato a Montecitorio).
Sul tavolo, dicevamo, gli insistenti segnali arrivati dall'Unione. Soprattutto dal ministro delle Riforme Vannino Chiti che ancora ieri, intervistato da Avvenire, assicurava la sua disponibilità («Vogliamo parlare con tutti»). E tra l'esponente dei Ds e la Lega i primi contatti sono già stati avviati.

Al punto che è in calendario per la prossima settimana un primo incontro tra Chiti, Calderoli e Roberto Maroni (era previsto martedì, ma potrebbe slittare causa lavori parlamentari). Ma le aperture arrivano pure da Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, che mercoledì scorso ha parlato a lungo con Giorgetti e Tremonti. Sempre martedì, infatti, l'ex presidente della Camera vorrebbe avviare formalmente il dialogo sulle riforme in Commissione. E pure Pierluigi Bersani, uno dei ds più in sintonia con la Lega e oggi ministro per lo Sviluppo economico, avrebbe preso parte all'azione diplomatica.
Così, seppure nello scetticismo generale, a Gemonio si inizia a buttare giù uno schema in base al quale procedere, si dividono i compiti e si discute su quelli che potrebbero essere i punti di partenza necessari per avviare un dialogo. Imprescindibili, ovviamente, federalismo (da verificare forme e modi), federalismo fiscale e correzione della modifica del Titolo V. Possibile, inoltre, che nel discorso possa rientrare anche la modifica della legge elettorale. Restano forti, però, le perplessità sull'interlocutore: Chiti, e quindi il governo, o Violante, e dunque il Parlamento? Non è un caso che Elio Vito, capogruppo azzurro alla Camera, proprio ieri facesse presente al ministro ds che «le riforme si fanno in Parlamento» e che le Camere «non hanno certo bisogno dell'autorizzazione dell'esecutivo». In verità, nel Carroccio la sensazione è che un eventuale dialogo non vada gestito né con Chiti né con Violante, ma direttamente con i segretari di partito (Piero Fassino per i Ds e Francesco Rutelli per la Margherita). Anche se, spiega Angelo Alessandri, «non credo proprio che la maggioranza abbia davvero la forza per trattare sulle riforme». «Il problema - continua il presidente federale della Lega - è che la Margherita e buona parte dei Ds sono assolutamente d'accordo con le nostre riforme ma devono scontrarsi con una sinistra radicale che vuole solo l'immobilismo. Comunque, sono loro che hanno scelto di sostenere il “no” al referendum e quindi sono loro che hanno in mano il pallino. Stiamo a vedere...».
Intanto, mentre il presidente del Consiglio Romano Prodi rilancia la «concertazione» come «l'unico modo per fare le riforme» e l'ex segretario dell'Udc Marco Follini invoca «un percorso condiviso», la Casa delle libertà se la deve vedere con l'ennesima «frizione» tra Lega e centristi. Con Maroni decisamente infastidito per l'esclusione del Carroccio dalla tavola rotonda sulle riforme organizzata dalla Fondazione della Camera presieduta da Pierferdinando Casini. Alla protesta del capogruppo della Lega, infatti, il leader dell'Udc ha replicato con una lettera nella quale spiega che il dibattito è aperto «ai rappresentanti di tutti i gruppi» parlamentari. Una missiva che Maroni non pare aver gradito, convinto che Casini voglia tener fuori il Carroccio dal dibattito sulle riforme e proporsi come principale interlocutore.