
Originariamente Scritto da
Paleo
Come un piccolo stato fondamentalista islamico è sorto indisturbato nel cuore dell'Inghilterra
di Guglielmo Piombini
(Il Domenicale, 1 luglio 2006)
Gli attentati suicidi compiuti alla metropolitana di Londra il 7 luglio 2005 hanno rivelato l’esistenza di una vasta rete di terroristi islamici e di simpatizzanti, ramificata in tutta l’Inghilterra. Nel nuovo libro Londonistan la giornalista inglese Melanie Phillips, editorialista del Daily Mail, racconta in maniera dettagliata come, proprio sotto il naso dell’intelligence britannica, Londra sia diventata il centro europeo della promozione, del reclutamento e del finanziamento del terrorismo islamico, tanto da venir soprannominata ironicamente “Londonistan”. La Phillips riporta i dati di un rapporto del ministero degli interni del 2004, secondo cui il 26 per cento dei musulmani britannici non prova alcun sentimento di lealtà verso l’Inghilterra, il 13 per cento sostiene il terrorismo, e l’1 per cento (circa ventimila persone) è attivamente impegnato nel terrorismo o nelle attività di sostegno. Un altro sondaggio ha rivelato che il 60 per cento dei musulmani britannici desidera vivere sotto la legge coranica, mentre per il 32 per cento “la società occidentale è decadente e immorale, e i musulmani dovrebbero cercare di porvi fine”.
Com’è possibile che i governi europei, con Londra in testa, continuino ad invitare, ospitare e sussidiare col welfare larghe masse di musulmani, che non fanno mistero di odiare e di voler distruggere le società che si comportano così generosamente con loro? Secondo Melanie Phillips l’Inghilterra raccoglie esattamente ciò che ha seminato. Le sue accuse, documentate e circostanziate, sono rivolte soprattutto ai servizi di sicurezza inglesi, la cui “benevola trascuratezza” nei confronti del terrorismo islamico ha finito per sconfinare nella “maligna complicità”. Più di una volta, ad esempio, le autorità inglesi hanno negato le richieste di estradizione di sospetti terroristi provenienti dall’Arabia Saudita, dall’Algeria e dall’Egitto. Questi comportamenti, secondo la Phillips, nascono da una concezione cinica e ristretta dell’interesse nazionale, basata sulla convinzione che, se lasciati agire indisturbati, gli islamisti radicali non avrebbero attaccato la Gran Bretagna: la tipica mentalità dell’appeaser che, come disse Winston Churchill a proposito di Neville Chamberlain, nutre il coccodrillo sperando di essere divorato per ultimo.
Questa “codardia” delle autorità inglesi ha però anche altre spiegazioni più profonde, che la Phillips cerca di portare alla luce. Il Londonistan, infatti, nasce e si sviluppa come conseguenza del collasso dell’identità nazionale e della fiducia nei propri valori. Negli ultimi trent’anni il sistema educativo ha cessato completamente di trasmettere alle nuove generazioni la storia e la cultura inglese, che vengono condannate in blocco come colonialiste, razziste e xenofobe. In questo modo gli immigrati non vengono integrati nella cultura della patria d’adozione, e si creano tutte le condizioni per la disintegrazione sociale. L’istituzione che più di ogni altra dovrebbe difendere i valori della tradizione culturale inglese, la Chiesa d’Inghilterra, appare sulla via dell’autoliquidazione. Eppure, osserva la Phillips, “in America le Chiese sono in prima linea nella difesa dei valori occidentali. Il sostegno più forte ad Israele viene dalle chiese evangeliche. In Gran Bretagna, per contrasto, la Chiesa Anglicana è in prima linea nella ritirata dall’eredità giudeo-cristiana.”
Gli inglesi, nota la Phillips, rifiutano con orrore anche solo l’idea di ritrovarsi nel mezzo di una guerra di religione, memori probabilmente della drammatica esperienza con il terrorismo irlandese. Questo spiega perché, subito dopo gli attentati del 2005, il capo della polizia londinese sia corso in televisione a dichiarare che non bisognava collegare gli atti terroristici all’islam, mentre le autorità religiose annunciavano di voler invitare le famiglie degli attentatori alla Cattedrale di San Paolo per le commemorazioni funebri. Ancor più paradossale, secondo la Phillips, è il fatto che la sinistra, con la sua insistenza per i diritti degli omosessuali, per l’eguaglianza della donna e per la libertà sessuale, si sia alleata con gli islamisti radicali che predicano la pena di morte per gli omosessuali, la subordinazione della donna e la lapidazione delle adultere. A quanto pare, quando si tratta di attaccare l’Occidente, la sinistra e gli islamisti radicali non esitano un attimo a mettere da parte le loro differenze. Non è raro, infatti, vedere per le vie di Londra marciare spalla a spalla i progressisti con i fondamentalisti islamici, tra slogan a favore dei diritti umani e sventolii delle bandiere di Hamas.
Questa strategia della sinistra potrebbe però rivelarsi pericolosa. Come spiega la Phillips, “i musulmani britannici sono in maniera schiacciante nauseati dai comportamenti equivoci e dissoluti di un’Inghilterra che ha rigettato il concetto di rispettabilità. Vedono attorno a sé l’alcolismo, l’abuso delle droghe, la pornografia, la rottura delle famiglie, e per questo decidono di opporsi ai valori guida della società che li ospita. Ciò che li disgusta, in realtà, è il crollo dei valori occidentali”. Mentre un tempo l’atteggiamento più comune degli immigrati in Occidente era quello della gratitudine e dell’ammirazione, perché scoprivano una civiltà molto più avanzata ed efficiente di quella da cui provenivano, oggi assistono ad uno spettacolo di decadenza culturale che scatena spesso un effetto opposto: come ha dichiarato la madre del terrorista Zacharias Moussaoui, recentemente condannato all’ergastolo per l’attentato dell’11 settembre, “è stata la vita londinese a fare di mio figlio un terrorista”. L’azione dei progressisti occidentali, di demolizione della propria tradizione culturale e di appeasement verso i musulmani, invece di condurre alla pacifica convivenza potrebbe rivelarsi come la ricetta migliore per l’escalation del conflitto di civiltà all’interno delle nostre società.