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  1. #1
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Per far piazza pulita delle assurdità

    Federico Prati - Silvano Lorenzoni, Scritti etnonazionalisti. Per un'Europa delle Piccole Patrie, Effepi, Genova 2005

    “Etnonazionalismo” è un neologismo che, se non è stato coniato dagli autori di questo libro, viene comunque da loro assunto come denominazione dell’”ideologia” (p. 3) di cui essi si fanno portatori. Essendo costituito da etno-, elemento di composizione nominale col valore di “nazione” (dal greco ethnos) e dal sostantivo nazionalismo, il neologismo in questione dovrebbe logicamente designare un “nazionalismo della nazione”; concetto, questo, che gli autori del libretto vorrebbero determinare per mezzo dell’aggettivo tedesco völkisch, che essi stessi traducono con “etnonazionale” (p. 4). Ne risulta, quindi, un “nazionalismo nazionalnazionale della nazione”. Ci viene in tal modo fornito l’esempio di un procedimento linguistico che, se ulteriormente applicato, potrebbe dar luogo a formazioni analoghe, quali ad esempio “socialsocialismo sociale della società”, “popolarpopulismo popolare del popolo” ecc. ecc.
    Al ridondante sintagma “etnonazionalismo völkisch”, per fortuna, gli autori cercano di dare un contenuto semantico. “L’etnonazionalismo, e gli etnonazionalisti, - leggiamo a p. 3 – si rifanno al federalismo etnico, forma modernizzata del nazionalismo etnico e dell’ideologia völkisch. Tale ideologia assegna la priorità alla tutela del Volk, inteso come comunità di Sangue e Suolo. (…) Nella nostra visione etnonazionalista la mappa geopolitica dell’Europa deve essere ridisegnata, attraverso la nascita di una federazione europea etnica, costituita da Regioni-Stato, etnicamente omogenee”. Quali siano le “Regioni-Stato” che dovrebbero costituire la “Federazione europea etnica”, gli autori non lo dicono; a quanto ci sembra di capire, tali “Regioni-Stato” dovrebbero coincidere, nel progetto ideale degli autori, con le “nazioni etniche d’Europa”, alcune delle quali vengono esplicitamente nominate: “Veneto, Trentino-Tirolo, Insubria, Occitania, Piemonte, Fiandre, Baviera, Vallonia” (p. 47). Sulla omogeneità etnica di ciascuna di queste regioni ci sarebbe alquanto da eccepire, se si considerano gli effetti dell’”invasione allogena” (p. 46) che negli ultimi decenni le ha interessate. Certo, gli autori potrebbero ipotizzare provvedimenti di pulizia etnica intesi a restituire a tali regioni la loro omogeneità. Ma quali misure potrebbero mai rendere omogenee tutte quelle zone in cui nazionalità diverse vivono da decenni e talvolta da secoli a stretto e immediato contatto le une con le altre? In che modo potrebbero essere rese omogenee non diciamo la Macedonia, che è diventata eponima dell’insalata di frutta, ma anche soltanto la Transilvania, in cui numerosi centri urbani ed agricoli sono condominio di Romeni, Ungheresi, Tedeschi? Sono realtà, queste, che non rientrano nello schema degli etnonazionalisti, i quali affermano testualmente che “lavorare insieme in modo proficuo è possibile soltanto fra unità etniche geneticamente analoghe” (p. 13). Che ne facciamo allora di quelle “unità etniche” (Finni, Careliani, Estoni, Magiari, Turchi, Tatari, Baschi ecc. ecc.) le quali, pur essendo radicate da secoli sul suolo europeo, non sono legate agli altri popoli del medesimo “grande spazio” dal vincolo biologico e quindi non soddisfano il criterio etnonazionalista di “Sangue e Suolo”?
    Come “ultimo fulgido esempio” (p. 13) di sistema politico imperiale adatto a garantire la collaborazione tra etnie diverse, gli autori menzionano la duplice Monarchia absburgica, che “già nella prima metà dell’Ottocento ci si preparava a render (…) triplice”, sicché, se non fosse stato per la guerra del 1866, “dopo Vienna e Budapest, Venezia ne sarebbe diventata la capitale” (ibidem). Dobbiamo però osservare, en passant, che prima dell’Ausgleich del 18 febbraio 1867 la Monarchia absburgica non era nemmeno duplice e Budapest non possedeva il rango di capitale. Ma non è tanto su questa svista che intendiamo soffermarci, quanto su di un fatto che dovrebbe interessare gli etnonazionalisti: l’Impero austriaco prevedeva, in materia di emigrazione all’interno dell’area imperiale, norme che difficilmente potrebbero apparire fulgide ed esemplari ai fautori delle “piccole patrie” etnicamente omogenee. Si consideri infatti l’art. 4 della Legge costituzionale austriaca del 21 dicembre 1867: “Il libero passaggio delle persone e delle sostanze da un luogo all’altro del territorio dello Stato non sottostà ad alcuna restrizione. (…) La libertà di emigrare non è limitata per parte dello Stato, se non dagli obblighi del servizio militare”. D’altronde, mentre gli etnonazionalisti vagheggiano “uno Stato che coincida con un’etnia” (ibidem), la concezione politica che ispirava l’Impero austriaco era invece multietnica e sopranazionale: “Tutti i popoli dello Stato appartenenti a razze diverse sono eguali nei diritti, ed ogni singola razza ha l’inviolabile diritto di conservare e di coltivare la propria nazionalità ed il proprio idioma” (art. 19). Oltre a ciò, l’Impero era pluriconfessionale: “Il godimento dei diritti civili e politici è indipendente dalla confessione religiosa” (art. 14); “ogni chiesa ed associazione religiosa riconosciuta dalla legge ha il diritto di esercitare pubblicamente e in comune la propria religione” (art. 15).
    Tra i pensatori che gli etnonazionalisti indicano come particolarmente vicini alle loro posizioni c’è Guillaume Faye. Che questo intellettuale della destra “identitaria” possa essere considerato un “etnonazionalista völkisch”, non lo si può certo negare. Ma proprio in un caso come quello rappresentato da Guillaume Faye emerge l’incompatibilità fra l’etnonazionalismo e l’idea imperiale europea. Non potendo qui dilungarci ad illustrare tale affermazione, rinviamo il lettore all’analisi critica del pensiero di Guillaume Faye che è stata effettuata da Tahir de la Nive nel libro Les Croisés de l’Oncle Sam (Avatar 2003, distrib. Edizioni all’insegna del Veltro).
    Un altro nome citato dagli autori laddove essi indicano il loro “punto di riferimento culturale” (p. 5) è quello del defunto democristiano bavarese Franz Joseph Strauss, sostenitore dell’Internationales Institut für Nationalitätenrecht und Regionalismus. Abbiamo anche qui un caso particolarmente istruttivo del nesso che lega il particolarismo etnico e regionalista con il filoatlantismo. Strauss infatti, oltre ad essere uno degli artefici di quello che fu chiamato “l’asse Tel Aviv – Bonn” (Tadeusz Walichnowski, L’axe tel Aviv – Bonn et la Pologne, Interpress, Varsavia 1968), fu un accanito partigiano dell’Alleanza Atlantica, che secondo lui avrebbe dovuto agire anche nei confronti del Vicino e Medio Oriente, dell’Africa e dell’America Latina. “L’America, dopo il 1945, unica difesa dei popoli liberi” – scriveva Strauss in un suo testo programmatico pubblicato da Volpe Editore nel 1967 col titolo Un piano per l’Europa.

    Claudio Mutti

  2. #2
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Rif: Per far piazza pulita delle assurdità

    F. Prati – H. Wulf – S. Lorenzoni, Etnonazionalismo ultima trincea d’Europa, Effepi, Genova 2006

    Sfogliando questo nuovo prodotto del “pensiero etnonazionalista völkisch” (sic), la nostra attenzione è stata subito attratta da una “mappa delle comunità etniche d’Europa” (p. 13). La cartina in questione ci rivela in primo luogo che l’Europa degli etnonazionalisti è ridotta entro termini alquanto miseri: a nord non si va oltre Berlino, mentre sul versante orientale rimangono escluse non solo Bucarest e Sofia, ma anche Atene e Costantinopoli. Inoltre, questo scampolo d’Europa è sminuzzato al suo interno in parecchie decine di frammenti territoriali che corrisponderebbero, secondo gli autori, alle “comunità etniche d’Europa”. Vediamo in tal modo che, mentre l’Emilia e le Marche costituiscono un’unica entità e la Bosnia è associata al Montenegro, il Portogallo del Nord è nettamente separato dal Portogallo del Sud, la Macedonia del Nord da quella del Sud, il Piemonte dalla Lombardia, la Posnania dalla Slesia e così via pilloleggiando, per la gioia dei cultori dell’Europa dalle mille bandiere.
    Dagli Spunti per un Manifesto dell’Etnonazionalismo Völkisch pubblicati in fondo al volume apprendiamo che i membri di ogni comunità etnica (per esempio gli abitanti del Mezzogiorno d’Italia o del Banato) “sono tali solo per diritto di Sangue, ovvero per appartenere a tale comunità dal punto di vista etno-razziale”. Ad ogni comunità etnica viene rivendicata la facoltà “di darsi le istituzioni politiche di propria scelta” e una serie di altri diritti particolaristici e frazionistici, nel quadro di una auspicata “Etnofederazione europea delle comunità di Sangue e Suolo” che, stando agli “etnonazionalisti völkisch”, sarebbe “tanto temuta dai nemici dei Popoli d’Europa”.
    E quali sono questi nemici dell’Europa etnonazionalista?
    Non certo l’imperialismo statunitense, visto che la Kissinger Agency già una quindicina d’anni fa preconizzava un’Europa in pillole molto simile a quella vagheggiata dagli etnonazionalisti völkisch. Stando alla formula di Guillaume Faye, che gli autori di questo libro citano come uno dei loro principali maîtres à penser, gli USA sono solo un concorrente dell’Europa, mentre il nemico principale è l’Islam. E così gli etnonazionalisti, appoggiandosi a “un libro eccellente” (p. 85) di un collega di Faye, il notorio agent d’influence sionista Alexandre Del Valle, scoprono nell’Islam delle qualità che, a loro parere, ne farebbero quasi un doppione del protestantesimo, ossia del vecchio nemico dell’Europa cattolica, sicché l’Islam, condividendo il culto del “dio-usuraio” (p. 91) di Lutero e di Calvino, avrebbe in comune col protestantesimo due caratteristiche fondamentali: il “feticismo del denaro” e la “mancanza di cultura” (p. 88).
    Sono farneticazioni, queste, che non meritano nessuna replica. Però, siccome per dimostrare la presunta ostilità islamica nei confronti della cultura gli autori ripropongono una vecchia storiella diffusa da Barebreo che trova ancora credito presso varie categorie di ignoranti e sprovveduti (la storiella del Califfo Omar che ordina di distruggere la biblioteca di Alessandria d’Egitto), consigliamo agli etnonazionalisti völkisch di andarsi a leggere, se non il libro di Butler che oltre cent’anni fa demolì definitivamente la storiella, almeno la Vita Caesaris di Plutarco, dalla quale risulta (XLIX, 6) che la biblioteca era stata distrutta già all’epoca del bellum Alexandrinum, sette secoli prima della conquista musulmana dell’Egitto.
    O forse, a proposito di Egitto, sarà più opportuno liquidare sbrigativamente l’ignorante di turno col motteggio in uso sulle rive del Nilo: “Shuf shuglak, ya khawaga!”

    Claudio Mutti

  3. #3
    VIVERE INIMITABILE
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    Predefinito Rif: Per far piazza pulita delle assurdità

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    Shuf shuglak, ya khawaga!
    ierocle ti prego traduci
    sono anni che questa cosa mi assilla
    Ultima modifica di Pompeo; 23-01-10 alle 21:48

 

 

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