| Lunedi 3 Luglio 2006 - 145 | Jacopo Barbarito |

Attenzione: revisionisti in azione! Siamo arrivati al punto che è necessario neutralizzarli. Ma che cos’è questo revisionismo, che va tanto “di moda” negli ultimi tempi e sui cui tanto si dibatte? È vero che questo termine può non piacerci in quanto fu usato peraltro nella storia del movimento socialista per insultare coloro che si permettevano di correggere il dogma marxista; ma a mio parere non è altro che l’umana volontà di conoscenza, un indagare storico-scientifico fino alla scoperta dell’unica cosa al mondo che si brama di avere: la verità. Ma questo è – ovviamente – solo un mio parere. Se andiamo ad aprire un qualsiasi dizionario, troveremo la seguente definizione:
“In ambito storiografico, tendenza a rivedere giudizi storici consolidati”. Questa tendenza sta nella nostra natura, sempre è esistita e sempre esisterà, almeno finchè avremo un cervello ed una capacità di ragionare e porci domande. Revisionista è innanzi tutto chi indaga un determinato ambito senza fini al di fuori di quelli conoscitivi. Ma si sa che nessuno fa nulla per nulla, vi è sempre una motivazione alla base. Se non ci fosse il revisionismo, non ci sarebbe l’uomo e avremmo solo una serie di dogmi in cui credere ciecamente. Un esempio di “primi” revisionisti? Gli storici romani che parlarono della conquista della Gallia da parte di Cesare: se non fosse per loro noi leggeremo ancora questa impresa unicamente dal “De bello Gallico”, convincendoci ancor più delle grandissime capacità tattico-militari di Cesare, della potenza delle armi di Roma e della “fortuna” che i Galli ebbero ad esser sottomessi. Ma la sorte ha voluto che qualcuno abbia preferito “vederci chiaro” e, dopo aver indagato sopra quegli eventi, ha detto che è vero che Cesare fu probabilmente il più grande condottiero della storia (fino a quel periodo), ma che per pacificare la Gallia uccise forse seicentomila persone, fra le quali, in media, un maschio su cinque. Questo fu il prezzo della rapida pacificazione. Cesare, ovviamente, omette questo dettaglio.
Se non vi fosse stato già da allora chi volle conoscere il vero corso dei fatti, oggi leggeremmo ancora la storia scritta dal vincitore.
Proprio questo è il punto fondamentale della faccenda: la storia non la fanno i vinti. Rari sono stati gli autori che lasciano spazio alle voci dei vinti, tanto nell’antichità quanto oggi e, ancora qualora accada, spesso quest’azione è motivata da un mero fine di protesta contro le istituzioni o la classe al potere.
Ma la storia non la fanno solo i vincitori, la fanno anche i vinti: questo concetto esula dalla concezione di storia hegeliana (la storia è fatta dagli eroi cosmicostorici) o marxista (la storia è fatta dalla gente comune), ma rientra solo nella sfera dell’oggettività ed ha preso piede soprattutto negli ultimi decenni. Se il nostro discorso si interrompesse qui, ci sarebbe da chiedersi perché questo “fenomeno revisionista” susciti tanto timore. La risposta è quasi scontata: in tutti i secoli della nostra storia l’uomo ha ormai capito che la verità raramente viene presentata in tutta la sua veridicità. Ciò che è senz’altro urgente e necessario è la ricerca della verità storica che prescinda da condizionamenti ideologici e che sia libera da schemi interpretativi preconfezionati. Nell’epoca dei totalitarismi e della propaganda, troppo spesso la storia è stata strumento di lotta politica, perché “per controllare il presente si rende necessario appropriarsi del passato”. Utile, quindi, marchiare di «revisionismo» coloro che hanno infranto alcuni tabù storiografici. Eppure senza libertà è impossibile la ricerca storica. E, come dice il proverbio, tante volte a pensar male si coglie il vero. A questo punto ogni dubbio è lecito, e non ci sarebbe nulla di male nell’indagarlo.
In quest’ultima frase bisogna usare però il condizionale: non ci sarebbe nulla di male, a meno che non ci sia stata la volontà di costruire artificialmente una verità per coprirne un’altra; non necessariamente peggiore, ma comunque artefatta. Ma quand’è che nasce il bisogno di nascondere la verità?
Quando sotto ad essa si cela qualcosa di grave, tanto ieri quanto oggi. E di così importante da tener nascosto al giorno d’oggi c’è solo il potere, i soldi e il proprio passato. Per questo motivo assistiamo quotidianamente a relazioni di false verità, spesso neanche verosimili, e si boicotta in tutti i modi chi non si allinea a questa tendenza. È inutile addentrarsi negli esempi, mi limito solo a citare qualche nome: David Irving, libri di testo scolastici, televisione. Il primo è forse il più grande studioso vivente sul Nazionalsocialismo ed è stato ostacolato in tutti i modi possibili e immaginabili: azioni legali, percosse, minacce, arresti, bandi e via discorrendo. Per quale motivo? Perché ha espresso il giudizio favorevole sull’operato storico dell’esperienza nazionalsocialista e perché ha osato mettere in dubbio l’esistenza storica – per come ci è stata sempre presentata – della Shoah. Se può anche essere giusto voler evitare che si parli con troppa faciloneria di morti, massacri e distruzioni dell’ultima guerra mondiale, ci chiediamo come mai non si voglia permettere neanche un’indagine scientifica in proposito, oppure non si usi lo stesso metro di giustizia con chi neghi l’esistenza delle foibe o dei gulag staliniani o delle pulizie etniche di più o meno recente fattura. Misteri della mente umana! I secondi rappresentano lo strumento concreto di quel che lo stato consente che sia insegnato alle giovani generazioni; ed è inutile che mi soffermi a sottolineare cosa comporti tutto ciò. La terza, e forse la più pericolosa: unisce il potere dei contenuti a quello delle immagini, finendo l’opera di corruzione e mistificazione della realtà.
È chiaro che chiunque voglia rivedere la storia è – quasi sempre – qualcuno che “ci abbia rimesso” un qualcosa, gli altri non avrebbero troppo interesse a farlo. C’è però, per fortuna direi, anche gente con la “testa sulle spalle” che vuole rivedere la storia solo per conoscerla e divulgarla, e fra questi mi permetto di annoverare Renzo De Felice e Arrigo Petacco, con serenità ed obiettività.
Al giorno d’oggi revisionista è chi dice: “E’ vero che i nazisti hanno ucciso tante persone, ma anche i partigiani non erano angeli del Paradiso”. Purtroppo il sistema non concede a tutti la facoltà di fare un’affermazione simile, e questa è la conferma che c’è qualcosa di pericoloso in queste attività. Pensiamo solamente all’istituzione di leggi anti-revisioniste in diversi stati europei, alla volontà di non ammettere certe tesi (magari anche facilmente confutabili) nei dibattiti storiografici, con la conseguente – e connessa – volontà di limitare la libertà di stampa, di espressione e di ricerca nei “civili” regimi democratici attuali. Tutto ciò coinvolge altri innumerevoli ambiti della vita civile: la libertà e la completezza dell’informazione, la censura, la direzione di queste operazioni, il conseguente controllo sulle masse, gli effetti di tutto questo in funzione della globalizzazione delle menti. Ma dato che questo vuole essere solo un articolo di opinione, senza la pretesa di esaurire un dibattito che coinvolge l’intero mondo in cui viviamo, non vado oltre la mera segnalazione di alcuni spunti di riflessione.
In verità è ormai risaputo che il revisionismo è il solo metodo di approccio per conoscere la storia, di qualsiasi epoca essa tratti, e solo attraverso esso si potrà giungere alle molte verità sui fatti e la cronologia degli avvenimenti proprio per il diverso tipo di approccio con cui vuole avvicinarsi a vari discorsi. Tornando alle tematiche che ci interessano, ossia la storia del ventesimo secolo, con riferimenti particolari alle vicende italiane e tedesche nel primo dopoguerra, vediamo che sono vari gli argomenti su cui più si dibatte in modo contrastato tra revisionisti e storiografi “ufficiali”: l’omicidio Matteotti, l’Olocausto, l’armamento della Russia prima, durante e dopo la firma del patto di non aggressione con la Germania, le vere responsabilità dello scoppio della guerra e della disposizione delle alleanze, l’esistenza di altri stermini di massa e la loro attribuzione. Dibattere su questi temi non vuol dire solo guardare con occhio diverso questi eventi rispetto alla storiografia ufficiale, ma significa ricostruirli con testimoniane inedite e spesso scomode. È chiaro che tutte queste cose hanno implicazioni politiche con riflessi che si prolungano al giorno d’oggi: la politica quindi – anziché consistere nell’arte di governare e fare il bene dei cittadini – si è trasformata in un’arte tesa a giustificare e motivare gli interessi di chi detiene il potere. Torniamo quindi ad uno dei casi espressi in precedenza.
E quale sarebbe la diretta conseguenza di un mondo dove cadono le verità così abilmente costruite e così quotidianamente propinate per anni?
Uno solo, il cambiamento del corso della storia

Jacopo Barbarito