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  1. #51
    Antiamericanista
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista
    Per me l'Islam valido, l'Islam antimperialista e non quello blanquista di al-Qaeda è Hamas, è la resistenza iraqena (che ti assicuro non è in mano ad Al-Qaeda), è il Fronte moro di liberazione nazionale, la guerriglia del Balucistan, è quel vasto esperimento islamico che è l'Iran.
    Sostenere al-Qaeda per me è come sostenere l'esercito di liberazione del signore in Uganda dove la religione diventa caricatura di sè stessa perdipiù in malafede, usandola solo come foglia di fico per ben altri piani di potere.

    A òuta continua
    Caro Sandinista, ho colto il messaggio sulla resistenza irachena, per cui preciso: io non ho mai detto che Al Qaeda è egemone in Iraq, ho detto che i gruppi "islamisti" - quindi non solo Al Qaeda - sono egemoni rispetto ad altre forze.
    Riguardo Al Qaeda, io non mi sbilancio più di tanto però sono abbastanza convinto di alcune cose:
    -se è - indubbiamente - stata finanziata dagli americani, lo è stato non per condivisione ideologica, ma per lo stesso motivo per cui gli stessi amriki avevano appoggiato Pol Pot: per sconfiggere un loro nemico che in quel momento storico era ben più pericoloso.
    -In ogni caso, attualmente non agisce in subordine agli u$a. Altro discorso è che questi ultimi ne amplifichino l'importanza e la "crudeltà" per "costruire l'immagine del nemico"; nè si può criticare ad Al Qaeda che stia al gioco: da parte sua gli conviene perchè si trova elevata al rango di "nemico numero uno" del'imperialismo occidentale e dell'oppressione dei regimi antiislamici e servi di sionisti ed americani: insomma, ne aumenta la "vendibilità". Altro discorso ancora è che ci sia lo zampino CIA in molti attentati attribuiti ad Al Qaeda, a cominciare da quelli dell'11 settembre - ma lì la situazione è troppo intricata per capirci qualcosa (e d'altra parte Al Qaeda mai l'ha rivendicato, ha solo plaudito all'avvenimento..); ma queste si chiamano "cover operation"..
    -dal punto di vista POLITICO, è apprezzabilissima..
    -dal punto di vista militare, sospendo il giudizio, ma i video che ho visto finora non dimostrano alcuna violazione della Shari^a..

    Poi in attesa di avere informazioni più sicure mi limito a provare simpatia per il suo programma politico e per il suo militantismo, soprattutto dal momento che non ho mai letto rivendicazioni di attentati che le vengono attribuiti (Londra, Beslan, Madrid..)
    CON LA RESISTENZA IRACHENA
    GUERRA ALLA GUERRA IMPERIALISTA!

  2. #52
    Con la Cina di Hu Jintao
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    Citazione Originariamente Scritto da ygh_psa
    -In ogni caso, attualmente non agisce in subordine agli u$a.
    è qui che ti sbagli :

    http://freebooter.interfree.it/aqd.htm

  3. #53
    Antiamericanista
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    Citazione Originariamente Scritto da Saloth Sâr
    Guarda, non parliamone proprio visto che tu hai detto che a quei tempi saresti stato con i massacratori di palestinesi della Brigata Ebraica...
    Saloth, cavolo, io ho detto che sarei stato con la Brigata Ebraica, non con la "Brigata Sionista".. Se poi i sionisti si sono appropriati della memoria di quella Brigata non è un problema mio! Lo sai benissimo che ora sarei da tutt'altra parte!! Ma non possiamo confondere ebrei e sionisti, così facciamo solo il gioco di Israele!!

    Citazione Originariamente Scritto da Saloth Sar
    Comunque ti invito a commentare questo messaggio di Basiji (dal forum dx radicale)




    ...devo dire che sono tremendamente confuso, stare o no con i mujahedeen ceceni ? ...questo è il dilemma
    STARE CON I MUJAHEDEEN DI TUTTO IL MONDO, QUESTA E' LA RISPOSTA!!
    CON LA RESISTENZA IRACHENA
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  4. #54
    Saloth Sâr
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    Citazione Originariamente Scritto da ygh_psa
    Saloth, cavolo, io ho detto che sarei stato con la Brigata Ebraica, non con la "Brigata Sionista".. Se poi i sionisti si sono appropriati della memoria di quella Brigata non è un problema mio! Lo sai benissimo che ora sarei da tutt'altra parte!! Ma non possiamo confondere ebrei e sionisti, così facciamo solo il gioco di Israele!!
    Attenzione, qui o è ignoranza -come spero- o è malafede, ricordati, "Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero": la Brigata Ebraica si chiamava "ebraica" ma in realtà era sionista -e come tu ben sai i sionisti contano sempre su queste "confusioni", accusando gli antisionisti d'esser antisemiti- , molti reduci della brigata confluirono nel Mossad e in alcune organizzazioni terroriste sioniste continuando il loro mestiere di "giustizieri"...


    STARE CON I MUJAHEDEEN DI TUTTO IL MONDO, QUESTA E' LA RISPOSTA!!
    Ecco, questa è anche la mia posizione alla fine, però è una posizione abbastanza "fideistica" e irragionata... Ah, quindi questo valeva anche nell'ultima guerra

  5. #55
    Antiamericanista
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    Citazione Originariamente Scritto da Saloth Sâr
    Attenzione, qui o è ignoranza -come spero- o è malafede, ricordati, "Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero": la Brigata Ebraica si chiamava "ebraica" ma in realtà era sionista -e come tu ben sai i sionisti contano sempre su queste "confusioni", accusando gli antisionisti d'esser antisemiti- , molti reduci della brigata confluirono nel Mossad e in alcune organizzazioni terroriste sioniste continuando il loro mestiere di "giustizieri"...
    Beh ma questo non dimostra nulla!! Come se non sbaglio aveva detto Outis, se una persona fa una cosa giusta e dopo anni diventa un assassino vuol dire che la cosa che aveva fatto non è più giusta? Io mi riferisco alla Brigata Ebraica: è una forza della Resistenza antifascista, tra l'altro rappresentatrice di un gruppo il cui odierno equivalente sono i musulmani...

    Citazione Originariamente Scritto da Saloth Sar
    Ecco, questa è anche la mia posizione alla fine, però è una posizione abbastanza "fideistica" e irragionata... Ah, quindi questo valeva anche nell'ultima guerra
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  6. #56
    Saloth Sâr
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    Citazione Originariamente Scritto da ygh_psa
    Beh ma questo non dimostra nulla!! Come se non sbaglio aveva detto Outis, se una persona fa una cosa giusta e dopo anni diventa un assassino vuol dire che la cosa che aveva fatto non è più giusta? Io mi riferisco alla Brigata Ebraica: è una forza della Resistenza antifascista, tra l'altro rappresentatrice di un gruppo il cui odierno equivalente sono i musulmani...
    Loro erano tutti sionisti e mentre "giustiziavano" gente senza un regolare processo sapevano già che la loro lotta serviva la causa sionista, dai su, guardiamoci in faccia, i mujahedeen combatterono con l'altra parte, eh !

    ...Altro che resistenza antifascista = resistenza irachena, Hamas, etc.

    ...Almeno non la Brigata Ebraica, erano proprio dei criminali, mentre posso capire che molti partigiani antifascisti saranno anche stati in buona fede, ma quelli della Brigata pseudo-Ebraica (sionista) no !!!

    Ma ti rendi conto che prima di arrivare in Italia alcuni di loro erano reduci dai massacri di musulmani in Palestina ???

  7. #57
    Saloth Sâr
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    Citazione Originariamente Scritto da Heimbrecht
    Le chiacchiere di quel sito, dove c'è scritto che anche Mahmoud Ahmadi-Nejad è un agente della CIA, stanno a zero

  8. #58
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    Citazione Originariamente Scritto da Saloth Sâr
    Loro erano tutti sionisti e mentre "giustiziavano" gente senza un regolare processo sapevano già che la loro lotta serviva la causa sionista, dai su, guardiamoci in faccia, i mujahedeen combatterono con l'altra parte, eh !

    ...Altro che resistenza antifascista = resistenza irachena, Hamas, etc.

    ...Almeno non la Brigata Ebraica, erano proprio dei criminali, mentre posso capire che molti partigiani antifascisti saranno anche stati in buona fede, ma quelli della Brigata pseudo-Ebraica (sionista) no !!!

    Ma ti rendi conto che prima di arrivare in Italia alcuni di loro erano reduci dai massacri di musulmani in Palestina ???
    Le prove di quello che dici riguardo l'essere reduci dalla Palestina? Comunque chi eventualmente fosse un reduce dalla Palestina era un porco sionista, non lo metto in dubbio!! Ma tra partigiani e nazisti, sai benissimo con chi sto..
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  9. #59
    Saloth Sâr
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    Citazione Originariamente Scritto da ygh_psa
    Le prove di quello che dici riguardo l'essere reduci dalla Palestina? Comunque chi eventualmente fosse un reduce dalla Palestina era un porco sionista, non lo metto in dubbio!!
    Leggiti qualcosa sulla Brigata "Ebraica" (anche usando Google ) e vedrai che una parte era reduce dalla Palestina

    Ma tra partigiani e nazisti, sai benissimo con chi sto..
    Saresti stato contro l'Islam e i mujahedeen quindi, comunque alla fine è irrilevante visto che sull'oggi mi pare la pensiamo più o meno allo stesso modo, per sostenere la Jihâd non serve altro che la sottomissione a Dio, quindi comunismo, capitalismo, ed altre ideologie e "sistemi" novecenteschi sono elementi estranei su cui un fedele non deve per forza prendere posizione

  10. #60
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    Ho deciso di postare qui un articolo di Moreno Pasquinelli apparso proprio sulle pagine della rivista Comunitarismo. Poichè la condivido appieno credo sia il modo migliore per spiegare il mio punto di vista sulla Russia e sulla Cecenia. E' un pò lungo da leggere su uno schermo ma che lo si condivida o no ne vale la pena.


    CECENIA E RUSSIA
    Russofilia, nazionalismo e antimperialismo

    Premessa

    Dopo il massacro di Beslan alcuni compagni hanno argomentato che staccare la Cecenia dalla Russia vuol dire fare il gioco degli americani. Questa è una posizione che va molto in voga in una certa sinistra antimperialista.
    Vorrei anzitutto segnalare due paradossi. Il primo è che buona parte di coloro che sostengono questa posizione filo-russa si dichiara decisamente contrario al nostro antiamericanismo.
    Il secondo è anche curioso. Chi è contrario all’autodeterminazione del popolo ceceno incardina le proprie tesi ad un radicale discorso GEOPOLITICO. Qual’è il paradosso? Che queste concezioni geopolitiche (quelle per cui le frontiere russe sono sacre poiché la Russia di Putin non può non essere un avamposto della resistenza all’impero americano) accomunano buona parte dei comunisti (specialmente quelli che ritengono la tradizione staliniana la migliore che il movimento comunista abbia mai avuto) e quelle correnti nazional-comuniste o nazional-bolsceviche (forti infatti anzitutto in Russia) che ebbero origine, negli anni ‘20 sia in Russia (Ustrjalov, uno che stava guarda caso coi Bianchi) che in Germania (Ernst Niekisch, Strasser, ecc.). Il paradosso non è affatto che lo stalinismo abbia una concezione geopolitica e muscolare (volevo dire di grande potenza) in comune coi nazional-bolscevichi (voglio ricordare che il grosso dei nazional-bolscevichi fu sterminato da Hitler, mentre i pochi sopravvissuti, dopo il 1945, passeranno in blocco con la S.E.D. e la D.D.R.). Il paradosso diventa grottesco se si pensa che alcuni di coloro che hanno dato addosso al Campo per il 13 dicembre (accusandoci a torto di stare in un’alleanza rosso-bruna) vengono proprio da quella scuola di pensiero geopolitico che accomuna certi comunisti ai nazional-bolscevichi.
    Di passata voglio dire due cose: che la geopolitica non è una baggianata, che solo ora sto studiando seriamente la materia, per cui mi riservo, se sarà il caso, di tornarci in un secondo momento.

    Cecenia e questione nazionale

    Sulla Cecenia la questione è stabilire se quel popolo è una nazione e in questo caso se ha il diritto all’autodeterminazione (fino, eventualmente, alla secessione). Ovvero lo stesso diritto che la Costituzione dell’URSS attribuiva a quei popoli che poi si separeranno tra il 1990 e il 1991.
    Infine, in barba ai custodi dell’esoterismo geopolitico, occorre stabilire se il popolo ceceno è oppresso oppure no —ed eventualmente chiamare per nome il popolo oppressore, che non mi pare sia quello osseto o dagestano, ma quello russo.

    La Cecenia è una nazione? Si, lo è. Lo è in base a evidenti fattori storici, sociali, culturali, linguistici. Voglio sottolineare che il primo fattore che per Lenin stabiliva se si era in presenza di una nazione era proprio se il popolo in questione ne avesse coscienza e se l’anelito alla indipendenza fosse un fattore sociale e politico di massa, popolare, non confinato a piccole sette nazionaliste. La lotta plurisecolare dei ceceni per la propria indipendenza (la più tenace tra tutti i caucasici) è una conferma inoppugnabile che questo popolo si considera una nazione. D’altro canto, la tenace resistenza che la guerriglia oppone indomita ad uno dei più potenti e crudeli eserciti moderni, si spiega più per i vasti appoggi tra le fasce povere della popolazione (si sa che la forte borghesia mafiosa cecena è al 99% dalla parte di Putin e non a caso risiede nelle metropoli russe) che per l’aiuto dell’imperialismo americano che i geopolitici denunciano, ma senza portare concreti e inoppugnabili elementi di supporto (non mi pare che i circa 3000 soldati USA in Georgia possano fare molto in questo senso, e non risulta alcun coinvolgimento loro in attività militari antirusse).

    Se le cose stanno così questo popolo ha, in linea di principio, un diritto insindacabile all’autodeterminazione. Questo vuol dire che la lotta per l’autodeterminazione va sostenuta sempre e comunque? No, non significa questo. Il particolare va subordinato al generale. Se un piccolo popolo è anzitutto una pedina delle trame imperialistiche di qualche potenza, se cioè quella lotta è funzionale e strumentale all’imperialismo, essa non può essere appoggiata.
    Secondo: sostenere in linea di principio il diritto all’autodeterminazione non implica per niente sostenere la secessione, che dell’autodeterminazione è una solo una forma, quella estrema, l’estrema ratio, diceva Lenin, per evitare che l’odio nazionale diventi il principale fattore di mobilitazione delle masse (ciò che taglia sempre fuori le forze rivoluzionarie, poiché hai un conflitto su linee nazionalistiche e non sociali ovvero universalistiche). I rivoluzionari riconoscono il diritto all’autodecisione, ma in quanto alla forma preferiscono una soluzione federale (scusate se cito ancora Lenin: lui prendeva sempre la Svizzera come modello di un federalismo strutturale che consentiva una pacifica e rispettosa coabitazione tra nazioni diverse). Ma lo stesso Lenin affermava che quando lo sciovinismo della nazione più forte pregiudica una soluzione federale, la sola via d’uscita, per evitare o l’oppressione o lo scannamento nazionalistico, è la separazione definitiva, preferibilmente per vie democratiche (referendum), altrimenti non si può non sostenere la lotta di liberazione del popolo oppresso contro quello che opprime.
    Questo criterio, quello dell’oppressione, fa venire l’orticaria ai sostenitori della “geopolitica”. Essi se ne fregano dei “piccoli popoli”, delle “nazioni antistoriche”, dato che il loro sguardo è rivolto al grande disegno di un Eurasia dall’Islanda a Vladivostok. Se un “piccolo popolo” è di intralcio al loro faraonico disegno, che esso vada alla malora! In questo modo i geopolitici eurasiatici marcano una distanza siderale, non solo da Lenin (che definì la Russia zarista una “prigione dei popoli”) , ma dalla migliore tradizione democratica e rivoluzionaria, che assume come stella polare proprio il criterio dell’antagonismo tra oppressi ed oppressori, tra sfruttati e sfruttatori.
    E’ oppresso il popolo ceceno? Ma come si fa a negarlo? Una nazione rasa praticamente al suolo negli ultimi dieci anni a causa della sua lotta per l’autodeterminazione, non è solo oppressa, è una nazione negata, stuprata, macellata. Chi nega questa evidenza a me fa paura, perché ha il cuore di pietra e una mente simile non a quella dei rivoluzionari, ma a quella degli statisti, dei politicanti, dei generali, in una parola degli oppressori.
    Questa idiosincrasia per il criterio dell’oppressione, questo disinteresse per la liberazione degli oppressi fa coppia con un’altra idea tipica dei geopolitici: per loro la storia non la fanno le masse ma i grandi condottieri napoleonici, non le rivoluzioni popolari ma gli eserciti.

    Questione nazionale e lotta antimperialista

    Mi permetto di ricordare, a testimonianza di quanto dirimente e scottante sia la questione nazionale nel Caucaso, che fu proprio sulla soluzione da dare che Lenin ruppe per sempre i suoi rapporti personali con Stalin (dicembre 1922, mentre si adottava la Costituzione dell’URSS). Lenin era talmente infuriato contro lo sciovinismo grande-russo di Stalin che chiese a Trotsky (gennaio 1923) di parlare a suo nome all’imminente conferenza di partito (aprile 1923) per sferrare un attacco frontale a Stalin. Trotsky rifiutò di farlo poiché, sfortunatamente, non dava alla questione nazionale in URSS l’importanza centrale e strategica che Lenin invece gli attribuiva.

    Qualcuno ha un’impostazione migliore di quella di Lenin? Io devo ancora ascoltarlo. E voglio ricordare che fu proprio grazie a questa posizione inequivoca che la rivoluzione bolscevica ottenne il sostegno dei popoli non russi dell’ex-impero zarista. Nel Caucaso, in particolare, i ceceni furono i più solidi alleati della rivoluzione, contrariamente ad altri popoli, quali il georgiano e l’osseto (e qui vanno a farsi friggere tutti i discorsi sulla “comunità di destino”, dato che georgiani e osseti erano si ortodossi come i russi, ma sfortunatamente seguirono i bianchi mettendosi al servizio delle grandi potenze occidentali).

    I filo-russi dimenticano che c’è uno sciovinismo russo, anzi, come diceva Lenin, uno sciovinismo grande-russo, sciovinismo che è un fattore decisivo per comprendere i problemi nazionali in Russia, prima e dopo il crollo. Questo è talmente vero che nessuno nega che l’ascesa al potere di Putin si spiega anzitutto col fatto che questo oligarca ha deliberatamente usato questo sciovinismo come leva per conquistare il potere. Perché i filo-russi, di sinistra e di destra, sono indulgenti verso lo sciovinismo grande russo? Perché hanno tanto in odio gli indomiti ceceni? Un miscuglio di cose. I geopolitici misticheggianti e russofili hanno il mito della Terza Roma, della missione escatologica della Russia.
    Vi è poi la fobia dell’Islam. Infine vi è la visione tattico-politica che accomuna tutti quanti: La Cecenia è come il Kosovo, ovvero la lotta cecena è sponsorizzata da potenze reazionarie (per i post-fascisti plutocratiche e giudaico-massoniche) se non da alcuni circoli imperialistici occidentali.
    Ma il paragone col Kosovo non regge. Anzitutto un elemento salta agli occhi: li c’era l’aggressione armata delle potenze imperialistiche coalizzate contro la Jugoslavia. L’imperialismo mondiale fornì un soccorso pieno all’UCK. Il Kosovo è stato messo sotto protettorato imperialistico. Lì era chiarissimo quali erano i fronti e che la causa kosovara, pur legittima in linea di principio, era un piede di porco per scardinare la Jugoslavia e mettere sotto tutela i Balcani —il tutto con l’avallo dell’oligarchia moscovita!. In Cecenia, I russi hanno compiuto due invasioni, hanno raso al suolo il paese, con il silenzio dell’ONU e l’avallo dell’imperialismo. Il tutto spiegabile come risultato di uno scambio: tu lasci che io sbrani la Jugoslavia io ti permetto di schiacciare i ceceni. Se poi i russi hanno miseramente fallito nella loro politica, se oggi la Cecenia è sempre in fiamme, ciò non vuol dire che quello scambio imperiale alle spalle dei popoli non ci sia stato.

    A scanso di equivoci voglio ricordare che ero tra coloro, nell’inverno del 1991, subito dopo l’aggressione contro l’Iraq, che NON sostenne l’insurrezione separatista dei curdi di Barzani e Talabani (febbraio 1991), sulla base del solare ragionamento che quell’insurrezione era del tutto funzionale e complementare all’invasione che avanzava da sud per spezzare la schiena all’Iraq. Ma ciò non toglie che i curdi sono curdi e non arabi e che se vogliono autoamministrarsi ne hanno il diritto. Insomma: un conto è il sostegno aperto e armato dell’imperialismo tendente a rovesciare un regime, un conto sono le manovre diplomatiche. Altrimenti non si fa distinzione tra stato di guerra e stato di pace, fosse pure una pace armata. Altrimenti si giunge all’assurdo per cui, stabilito che una data potenza è un male minore rispetto agli USA, allora occorre digerire ogni nefandezza di questo “male minore”, Come disse Mao riferendosi ai filosovietici del suo partito (1956): “Ci sono alcuni che vogliono farci credere che anche le scoregge dei russi profumano”.

    A coloro i quali si barricano dietro all’eventuale simpatia americana per la causa cecena vorrei porre due domande.
    Si doveva sostenere o no la lotta d’indipendenza dell’India anche se era sostenuta da Giappone e Germania? E malgrado quella lotta indeboliva la “guerra antifascista”?
    Si doveva o no appoggiare la lotta nazionale araba contro il colonialismo anglo-francese negli anni ‘30-’40, malgrado essa fosse apertamente e strumentalmente sostenuta dal fascismo e dal nazismo? E malgrado il petrolio arabo servisse alla causa “antifascista”?
    Questi due esempi mi consentono di farne un terzo, quello argentino. In Argentina, se non sbaglio nel 1944, vi fu una protesta di massa che culminò in un poderoso sciopero generale, animato dagli strati più poveri che protestavano contro la miseria e i sacrifici imposti dalla guerra. Sapete che posizione presero i comunisti? Che lo sciopero generale andava boicottato perché indeboliva lo sforzo bellico alleato antifascista (la carne argentina sfamava infatti gli eserciti angloamericani in Europa). En passant: il PC argentino non si riprenderà mai da quella posizione scandalosamente antipopolare, mentre il peronismo mise solide radici.

    Se mi si chiedesse cosa dovremmo fare davanti ad una politica aggressiva americana rispetto alla Russia, non esiterei a rispondere che dovremmo dire, a modo nostro, e senza mai fare alcuna concessione a Putin, <<GIU’ LE MANI DALLA RUSSIA!>>

    Se mi si chiede: pensi che la politica della Casa Bianca sia di indebolire Putin? A questa domanda risponderei che NO, gli USA fanno un po’ di manfrina, ma non si sognano, mentre sono nei pasticci in mezzo mondo, di andare a infastidire seriamente l’orso nucleare russo. Le dichiarazioni critiche verso le misure autoritarie e zariste in via d’adozione da parte del regime putiniano sono più formali che di sostanza (a che titolo dopo il Patriot Act!?). Gli americani hanno piuttosto un vitale bisogno di una non-belligeranza o di una neutralità attiva da parte dell’oligarchia moscovita, oggi più che mai visto l’impaludamento in Iraq. Del resto gli USA hanno truppe in Georgia, basi e truppe in Uzbekistan e Tagikistan —il tutto avvenuto con il lasciapassare russo—, e non ritengo che vogliano mettere a repentaglio il terreno acquisito radicalizzando i latenti attriti.

    Se mi si chiede: non ritieni che sul lungo periodo USA e Russia possano entrare in rotta di collisione? Io risponderei NI, nel senso che nessuno è in grado di calcolare la percentuale di probabilità di questa possibilità che dipende da una serie di variabili difficilmente ponderabili. Ne cito alcune: l’evoluzione europea, il futuro della Cina, l’evoluzione dello scontro in Medio Oriente e, last but not least, le dinamiche della mobilitazione antimperialista e anticapitalista, in Russia anzitutto, ma pure in Europa e nel resto del mondo.

    Un limite costitutivo dei templari della “geopolitica” è appunto che essi non tengono in pressoché alcuna considerazione il fattore dei popoli, o se preferite delle masse oppresse, che sono invece, e in prima istanza, il principale fattore che dei rivoluzionari debbono tenere in considerazione nella loro visione strategica.

    Banco di prova iracheno

    L’Iraq è un decisivo banco di prova per testare le concezioni politiche. Perchè l’Iraq sta diventando un problema colossale per gli imperialisti americani? Non per trascendentali e misticheggianti ragioni geopolitiche, ma perché esiste una scandalosa oppressione, la quale alimenta una Resistenza popolare, ovvero di massa. Resistenza che consente ai guerriglieri delle più disparate appartenenze di muoversi come pesci nell’acqua. Ovviamente esistono altri fattori, oltre all’oppressione-occupazione, che spiegano la performance straordinaria della Resistenza —il ritmo dell’organizzazione militare guerrigliera è stato decisamente più veloce di quello di unificazione politica dei vari gruppi, e forse assisteremo, nei prossimi mesi, alla nascita non di uno ma di almeno due fronti di liberazione. Quali fattori? Anzitutto quello della tradizione storica, che per comodità definiamo nazionalista e patriottica, fortemente radicato tra gli iracheni di tutte le classi sociali e appartenenze religiose o notabilari (concetto che è preferibile a quello tribale o patriarcale). V’è poi una lunga e consolidata tradizione di rivolte contro gli invasori, contro gli inglesi ma prima ancora contro gli ottomani e ancor prima contro i mongoli e i persiani. Non va dimenticato che dal 1957 al 1959 l’Iraq ha conosciuto una vera e propria rivoluzione popolare in cui il ruolo guida l’aveva il Partito comunista locale —rivoluzione popolare potenzialmente socialista che come sottoprodotto ha scremato il regime baathista. A questi elementi vanno aggiunti: l’ostilità verso la comunità internazionale (satrapie arabe comprese) per la guerra del 1991 e l’embargo crudele decretato dalle nazioni Unite; il fatto che il governo saddamita (lungimirante decisione) ha distribuito capillarmente armi, non solo leggere, alla popolazione, nell’eventualità dell’occupazione americana. Infine non va dimenticato l’Islam, che viene concepito, anche dai non credenti (e in Iraq ce ne sono molti) come elemento simbolico di alterità rispetto alla visione del mondo imperialista occidentale, un collante ideologico ed escatologico fin che si vuole, ma decisivo. I popoli non si alzano in piedi grazie a sofisticati discorsi razionali ed economicistici, e nemmeno irrazionali (geopolitica spiritualista) ma solo quando, spinti dalla necessità di una situazione insopportabile, sono mossi dalla convinzione che una lotta mortale è in corso, una lotta in cui o si perde tutto o si vince tutto. Ogni rivoluzione contiene elementi religiosi, millenaristici ed escatologici (chi ha letto “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway, che parlava della Spagna del 1936-39, mi capisce al volo), ma essi sono solo la forma che un dato movimento di oppressi, di rivoltosi, assume. Ovvero: v’è lotta di LIBERAZIONE dove c’è un’oppressione.
    Chi dimentica questo criterio elementare, certo potrà non avere a simpatia la tenacia dei ceceni (che in effetti hanno anche amici fetenti), ma rischia di non capire l’abc: qual’è la forza motrice della rivoluzione, le sue cause, la sua dinamica.

    Antimperialismo, anticapitalismo e nazionalismo

    E’ un dato della storia che l’antimperialismo non equivale all’anticapitalismo. Cosi come l’anticapitalismo non è equipollente al socialismo.
    Se una potenza imperialistica depaupera un paese arretrato (ovvero un paese in cui le strutture sociali non sono compiutamente capitalistiche) le cose sono due: o abbiamo una resistenza o non ce l’abbiamo. Se ce l’abbiamo, la resistenza, a causa del tessuto sociale precapitalistico, tenderà a riflettere quella data composizione sociale, ovvero vedrà combattere quelle classi sociali che la penetrazione imperialistica tende a fare fuori. Potremmo dunque avere (e infatti abbiamo avuto, vedi tutti i movimenti anticolonialistici) casi in cui classi feudali o caste sociali di tipo asiatico, se non addirittura corpi di tipo tribale, forniscono l’ossatura ai movimenti di liberazione.
    E qui i casi sono due: o assumiamo la posizione che era dei socialdemocratici (con la loro cultura positivistica, progressista e storicistica), per cui la penetrazione imperialistica, quali siano i suoi costi, portando il capitalismo, è sostenibile perché strappa quei popoli all’arretratezza e all’immobilismo; oppure assumiamo la posizione leninista per cui, nonostante il carattere reazionario delle loro direzioni, questi movimenti vanno sostenuti perché, dato il carattere imperialistico dell’epoca, entrano come alleati del proletariato nella lotta tra socialismo e capitalismo (dato che la lotta mondiale non è certo tra capitalismo e feudalesimo o tribalismo). La prima era una posizione sciovinista, social-imperialista, la seconda, appunto, antimperialista.
    Nel secolo scorso i movimenti di liberazione, data l’impossibilità di un puro e semplice attaccamento allo status quo, hanno assunto la nazione (ovvero un elemento tipico del capitalismo europeo), come orizzonte della propria battaglia. Davanti a questo fatto colossale (davanti al fatto che l’antimperialismo passava dalle mani di classi e ceti di tipo feudale e tribalistico ad elite progressiste e moderniste) vi sono solo due posizioni essenziali: o si assume la posizione estremistica del non appoggio, in quanto la nazione è concetto e obbiettivo capitalistico, ciò che porta al disfattismo e all’indifferentismo davanti ai movimenti di liberazione nazionale; o si assume la posizione che poi assumeranno i comunisti rivoluzionari: sostenere le lotte nazionali diventando parte integrante di quei movimenti e, facendo leva sugli strati oppressi, tentare di farle crescere in lotte per la rivoluzione sociale.
    Il problema non è quindi accademico: se l’anticapitalismo vada d’accordo o meno col nazionalismo. Il problema è pratico e politico: solo se un’avanguardia rivoluzionaria entra nell’agone della lotta la saldatura è possibile, il passaggio dal nazionalismo al socialismo inter-nazionalista è possibile (pongo il trattino deliberatamente).
    Faccio infatti notare che certi compagni hanno una lettura alquanto bizzarra dell’internazionalismo. Come se esso corrispondesse all’anarchico anti-nazionalismo. Non è solo un problema etimologico o semantico: internazionalismo implica il riconoscimento che le nazioni esistono e non si possono cancellare né con un atto volontaristico (anarchismo), né con un ukaze amministrativo (stalinismo).

    Riguardo alla globalizzazione, che tende a far proliferare e a consolidare le nazioni, mi permetto di dissentire radicalmente. Che l’imperialismo globalista non possa spazzare via la forma dello stato-nazione è evidente. Ma questo sul piano formale: sul piano sostanziale la globalizzazione imperialistica tende effettivamente a spazzare via le prerogative, le potestà e le sovranità nazionali. Ovvero lo Stato- nazione resta una carcassa vuota, poiché esse perdono potere effettivo e debbono farsi sventrare dalle multinazionali.
    Non si può condividere la tesi snob e politicamente corretta di Negri, stupidamente antinazionalista, per cui la globalizzazione “è una scopa di Dio” e va agevolata in quanto “finalmente” fa fuori questi arnesi arrugginiti degli Stati nazione (viva il progresso delle multinazionali, che le moltitudini possono orientare).
    Allora io debbo ripetere che, al contrario, occorre utilizzare ogni fattore reale che contrasti la globalizzazione imperialistica, anche lo Stato-nazione o, per meglio dire, i sentimenti nazionalisti dei popoli. O facciamo questo oppure possiamo fare le valige. E’ davvero penoso dover ricordare queste cose mentre l’Iraq è in fiamme per la sua indipendenza NAZIONALE e con quello che accade in Palestina.

    Sul piano dei contenuti poi, il “diritto all’autodeterminazione dei popoli” è un invenzione USA (non ricordo se di Wilson o di Roosevelt, creata come risposta da contrapporre all’idea di rivoluzione mondiale). Che poi i sovietici l’abbiano inserito nella loro costituzione è un dettaglio che non dovrebbe impressionare chi sa che le costituzioni scritte in genere hanno poco a che fare con la realtà, specialmente quando si parla di diritti. I ceceni più che “dal popolo russo” caso mai saranno oppressi dal governo. E qualcuno dovrebbe dire in base a quale argomento la “indipendenza nazionale” dei ceceni dovrebbe farli stare meglio invece che trasformarli in una specie di kosovo (o di uzbekistan), mettendoli in balia delle locali bande mafiose e delle basi militari degli USA.

    Che l’autodeterminazione delle nazioni sia una wilsonata americana mi lascia davvero di stucco!
    Come l’altra per cui le Costituzioni sono bazzecole. La supponenza è una brutta bestia, più che mai quando si veste di panni radicaloidi che in altri tempi avrei definito borghesi.
    I ceceni staranno peggio di adesso se ottenessero l’indipendenza? Mi pare difficile visto come penano i ceceni. Questo ragionamento potrebbe essere fatto in tutti i casi, anche quello palestinese, vista la natura mefitica dei borghesotti mafiosi che si raccolgono attorno ad Arafat. Ma questo non è un ragionamento serio: i palestinesi, come i ceceni hanno il diritto di decidere il loro destino (sono cioè loro e solo loro titolari del diritto ad autodeterminarsi, non altri per loro) e, per quanto ciò che dico possa produrre un’alzata di spalle, affermo con forza che hanno anche il diritto di scegliersi di farsi sfruttare dai capitalisti arabi piuttosto che sionisti.
    Il fatto è che la lotta di liberazione è un processo, non un evento singolare miracoloso. Un processo che obbliga gli oppressi a lottare contro il nemico principale, e a reperire alleati che domani dovranno essere combattuti.

    Moreno Pasquinelli



    A luta continua

 

 
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