Maurizio Blondet
09/07/2006

Victoria Nuland, l’ambasciatrice americana presso la NATO, si è data molto da fare per accelerare l’entrata della Georgia nell’alleanza atlantica.
Aveva molta fretta.
Perché?, gli ha chiesto qualche delegato europeo.
«Per rompere le palle a Putin prima del G8» che sta per riunirsi a Mosca, ha risposto lei, testuale.
Il che non stupisce quando si apprende che la signora Nuland è moglie di Robert Kagan, il teorico dei neocon dopo la morte di Leo Strauss di cui è stato allievo, ovviamente ebreo, co-fondatore con Bill Kristol (ebreo come sopra) del PNAC, il Project for a new american century, il gruppo dei cervelli che promosse e auspicò «la nuova Pearl Harbor» un anno prima dell’11 settembre. Comandano loro, questo è il loro stile diplomatico.
Ma la Nuland non ha avuto molto successo.
«La Georgia è europea in termini di civiltà, ma lo è in termini strategici?», ha domandato un altro ambasciatore europeo, esprimendo dubbi sull’opportunità di estendere l’alleanza oltre il Caucaso meridionale.
Tanto più che la nuova nomenklatura georgiana (ex membri KGB sdoganati come «democratici» dai neocon), troppo sicura dell’appoggio americano, sì è data ad atteggiamenti da galletto con Mosca, con cui è in aspra tensione per due regioni contestate, sostenute dalla Russia e con forte minoranza russa.
La NATO rischia di trovarsi in guerra grazie all’ultimo dei suoi membri.



Stessi dubbi gravano sull’altra candidata e neo «democrazia», l’Ucraina.
Specie dopo le proteste popolari dei russofoni in Crimea (innescate dal tentativo americano di tenere manovre congiunte con Kiev), i membri europei hanno qualche ripensamento, ha scritto lo specialista di difesa della Reuters (1).
Tanto più che la democrazia arancione affonda nella corruzione e nelle lotte intestine, e gli stessi ucraini, secondo i sondaggi, sono favorevoli ad entrare nella NATO solo nella poco entusiasmante percentuale di 20 su cento.
L’entrata di tre altri candidati voluti dagli USA, Croazia, Macedonia e Albania, mette i brividi ai grandi Paesi europei, agghiacciati di dover considerare «alleati», e impegnarsi alla difesa, di quei tre corpuscoli balcanici.
La NATO ha già i suoi guai crescenti in Afghanistan, dove i britannici sono quelli che sopportano il peso maggiore dell’avanzata talebana.
Sicchè anche i fedelissimi di Londra non si scaldano per accelerare l’allargamento, e gli impegni, dell’alleanza riformata dai neocon.
Costoro hanno fortemente voluto, nel 2004, l’ampliamento della NATO con l’inclusione di sette Paesi ex satelliti.
In realtà aveva cominciato Clinton nel ‘94, promettendo l’entrata nella Nato alla Polonia per accontentare il suo elettorato polacco-americano.
Ma ciò che era stato un espediente elettoralistico, i Kagan, i Wolfowitz e i Rumsfeld avevano trasformato in strategia aggressiva: lo scopo, circondare Mosca di staterelli ostili e legati al cosiddetto Occidente.



Ma allora Mosca non aveva gli introiti petroliferi, ossia i mezzi per una nuova politica da grande potenza mediatrice, né gli europei s’erano resi conto del loro grado di dipendenza dal gas russo.
Ora persino David Kramer, che è il vice-segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia, ha dovuto ammettere che «l’atmosfera positiva della NATO è svaporata a causa di vari fattori».
L’Ucraina, ha lasciato capire, non vi sarà ammessa nel 2008 come sperato dai neocon.
E gli altri candidati dovranno fare anticamere anche più lunghe.
Si profila dunque un’altra sconfitta per la diplomazia del bastone, modelloSharon, adottata da Washington e un segnale ulteriore della perdita d’influenza internazionale degli Stati Uniti.
Invece di una NATO fortissima e temibilissima, avremo una NATO in crisi, indebolita da ambizioni a cui non corrispondono i mezzi.
Anche il lancio dei missili nord-coreani ha fatto fare all’America truce di Bush e Cheney la figura di tigre di carta.
E anche il round di Doha è in pericolo di liquidazione.
L'aggressività e l’unilateralismo stanno accelerando il declino dell’America sulla scena mondiale, anziché frenarlo e rovesciarlo in nuova «global dominance».

Maurizio Blondet




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Note
1) Mark John, «NATO gets cold feet on 2008 enlargement», Reuters Defense News, 3 luglio 2006.




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