:::: 10 Luglio 2006 :::: 8 : 59 T.U. :::: Intervista :::: Charles Saint-Prot - Voltaire, édition internationale

L’Unione africana e la Lega araba possono aiutare a risolvere il conflitto del Darfur

di Charles Saint-Prot*


Se la guerra civile sudanese è oggi terminata, il dramma prosegue nella regione del Darfsur. Esso è strumentalizzato dagli Stati Uniti che, a torto, descrivono i massacri come un genocidio e sperano così di darsi il diritto d’intervenire. Prendendo piede nel Sudan, potrebbero cacciarne i cooperanti cinesi e russi e confiscarne il petrolio. Il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir analizza la situazione del suo paese rispondendo alle domande di Charles Saint-Prot.



5 luglio 2006


Può tracciare un primo bilancio dei risultati dell’Accordo di pace globale (Comprehensive Peace Agreement, CPA) firmato nel gennaio 2005 e che ha messo termine alla guerra con il Sud ?



L’Accordo di pace globale è un documento che si occupa di un vasto campo di problemi. Inoltre, esso mira a risolvere tutti i tipi di problemi che si sono accumulati e complicati nei decenni scorsi. È chiaro che non si possono risolvere problemi di tale ampiezza accontentandosi di proclamare la propria volontà di risolverli. Quello che conta, sono gli atti concreti. La messa in atto di questo accordo richiede dunque uno sforzo quotidiano, fa appello alla nostra risolutezza e alle nostre capacità d’immaginazione creativa, esige tutto il nostro impegno e tutta la nostra buona fede. Devo ammettere che non è facile, tenuto conto dei problemi accumulatisi in passato, ma ogni giorno superiamo le difficoltà e facciamo dei progressi. Più a lungo continueremo a progredire, meno saremo inquieti. Del resto, abbiamo recentemente fatto un primo bilancio delle realizzazioni ed abbiamo potuto constatare che, in numerosi settori, eravamo in anticipo sul programma che avevamo fissato. D’altronde, abbiamo tutti una responsabilità in questo periodo critico della storia del Sudan.



Sembra che ci siano ancora alcuni problemi dovuti alla ripartizione delle risorse petrolifere.…

Le ricchezze petrolifere del paese non sono una sorta di bottino di guerra che bisogna distribuire e spartire. È una ricchezza nazionale che bisogna mettere al servizio dello sviluppo del paese e di tutti i Sudanesi.



Nel frattempo, la crisi del Darfur ha conosciuto sviluppi drammatici. Come analizza questa crisi ?



Il Darfur è una vecchia ferita che si è infettata a causa della negligenza. Da sempre, il Darfur ha avuto la propria identità, il proprio spirito, le proprie aspirazioni, basati su un’originale storia politica. A questo va aggiunta la rivalità, che si ritrova anche in altre regioni del mondo, tra le popolazioni sedentarie di agricoltori e quelle nomadi di allevatori. Inoltre, tenuto conto della permeabilità delle frontiere, la provincia è stata inondata di armi moderne. Infine, ci sono i fattori regionali ed internazionali che sono tutti venuti ad aggravare. Mettete insieme tutti questi elementi ed ottenete la realtà del Darfur. Il caso specifico del Darfur poteva e avrebbe dovuto essere trattato fin dall’indipendenza. Non si sarebbe dovuta trascurare questa provincia. Sfortunatamente, la politica discriminatoria di certi governi – penso in particolare a quello del partito Umma diretto da Sadeq al Mahdi -, ha complicato le cose e creato amarezza in una parte della popolazione della provincia, la quale si è sentita dimenticata o trascurata.



Ecco le vere ragioni del problema che ha condotto alla crisi. Naturalmente, le asserzioni di presunto genocidio o di « pulizia etnica » sono delle mere calunnie. Il problema del Darfur non è in alcun caso un conflitto « razziale ». Del resto, una commissione indipendente d’inchiesta ha indagato a questo proposito e smentito che ci siano stati intenti genocidi. Queste accuse divulgate sull’argomento di una pulizia etnica, che non è mai esistita se non nell’immaginazione di quelli che ne hanno diffuso la voce, sono molto gravi ed i loro autori portano la responsabilità di aver gettato benzina sul fuoco e di attizzare l’odio, il che contribuisce ad aumentare le sofferenze di povere persone.



Si può sperare che il recente accordo del maggio 2006 metta fine alla crisi del Darfur ?



L’accordo concluso ad Abuja con gli auspici dell’Unione africana e con l’aiuto del capo di Stato della Nigeria, il presidente Olusegun Obasanjo, è stato un passo importantissimo verso la regolazione della crisi. È vero che delle fazioni non hanno ancora approvato l’accordo, ma il gruppo principale lo ha firmato. Noi continuiamo, aiutati dagli amici e dalla comunità internazionale, a lavorare per far in modo che tutte le fazioni si uniscano al processo di pace. In ogni modo, l’Accordo di pace nel Darfur è giù entrato in azione.



In occasione di quella crisi, si è potuta constatare una tensione tra il Sudan e il Ciad. Qual è il problema tra i due paesi ?



E’ il colmo che il Sudan il quale, dalla sua indipendenza, è stato vittima di ingerenze nelle sue questioni interne da parte di paesi vicini e di alcune grandi potenze internazionali, sia talvolta accusato di ingerenza negli affari di altri paesi. Non basta scagliare accuse per provare che queste accuse siano fondate. Il governo del Ciad ha accusato il Sudan di tentare di destabilizzarlo, ma non ha potuto portare alcuna prova. Di conseguenza, è una causa persa intentata al Sudan. Tutto ciò non ha alcuna credibilità. Il Sudan, naturalmente, desidera avere relazioni basate su fiducia e distensione con tutti i suoi vicini.



Come spiega i tentativi di internazionalizzazione del caso del Darfur da parte degli Stati Uniti ? Quali sono le vostre obiezioni allo spiegamento di una forza delle Nazioni Unite ?



Il comportamento egemonico degli Stati Uniti è una seconda natura. Gli Stati Uniti sono coscienti di essere oggi nel mondo la potenza dominante, la superpotenza, ma sanno pure che questo non durerà per sempre e che un giorno o l’altro potrebbe intervenire un riequilibrio. Cercano dunque di perpetuare questa situazione organizzando un nuovo ordine mondiale sotto il loro controllo. È in questo contesto che si può constatare che gli Stati Uniti hanno la tendenza ad internazionalizzare – cioè a strumentalizzare a loro vantaggio – i loro contrasti con altri paesi : lo si vede con l’Iran, con la Corea del Nord e con il Sudan.



Ecco perché rimaniamo sospettosi circa la volontà degli Stati Uniti di internazionalizzare questo caso. Non vediamo del resto l’interesse di una tale internazionalizzazione la quale non farebbe che complicare le cose. Per quel che concerne la risoluzione della crisi, ricordo che noi abbiamo accettato tutte le richieste ragionevoli che ci sono state fatte. Ci siamo impegnati seriamente nei negoziati sotto l’egida dell’Unione africana e siamo giunti ad una regolazione. Avendo fatto tutto questo e avendo dimostrato la nostra buona volontà, non vediamo perché la questione dovrebbe essere trasmessa al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a titolo di applicazione del capitolo VII della carta dell’ONU.



C’è un complotto degli Stati Uniti contro il Sudan ? Il sistema politico degli Stati Uniti si presta a tutte le manipolazioni da parte di quelli che sono ben organizzati e che dispongono di mezzi finanziari. Dobbiamo ammettere che numerosi detrattori del Sudan hanno una considerevole influenza in tale sistema che hanno saputo utilizzare contro il Sudan. Non è una novità, perché queste manipolazioni sono cominciate dall’indipendenza, ma questo si è aggravato nel corso degli anni 80. Con l’influenza acquisita dall’estrema destra in seno all’amministrazione americana, la politica anti-sudanese si è istituzionalizzata. Per essere precisi, certe istituzioni degli Stati Uniti sono controllate e prese in ostaggio da estremisti. Questo si riflette in una politica aggressiva che per altro non ha di mira solo il Sudan e non risparmia paesi che pure sono considerati alleati di Washington, ad esempio la Francia o la Germania.



Lei ha informazioni su un intervento materiale degli stati Uniti nella crisi del Darfur ?



Non abbiamo alcuna prova che gli Stati Uniti abbiano fornito armi o un sostegno materiale ai ribelli del Darfur. Come lei sa, questo genere di cose ai nostri giorni non si fa apertamente e, beninteso, bisogna guardarsi da ogni accusa senza prova. Comunque, è di pubblica dominio che attori non appartenenti ad istituzioni ufficiali degli Stati Uniti abbiano aiutato apertamente i ribelli e abbiano così contribuito ad aggravare le sofferenze patite dalle popolazioni interessate.



Durante il vertice di Khartum del marzo 2006, ha avuto la sensazione che i paesi arabi condividessero il suo punto di vista ?



Dai paesi arabi abbiamo ricevuto un sostegno morale e materiale che apprezziamo nel suo giusto valore. Quella manifestazione di solidarietà è stata importantissima. Il summit ha in particolare ribadito un principio essenziale del diritto internazionale, ossia che l’invio di ogni nuova forza dovrebbe ottenere il preventivo avallo del governo sudanese. Noi pensiamo che la Lega degli Stati arabi possa svolgere un ruolo non trascurabile per risolvere i nostri problemi, senza per questo sminuire il ruolo svolto da altri attori, in particolare dall’Unione africana.



Che cosa pensa del progetto del nuovo Grande Medio Oriente immaginato dall’amministrazione Bush ?



Il pretesto addotto dagli Stati Uniti per tentare di promuovere questo piano è la necessità di riforme. Tutto dipende da che cosa s’intenda con questo. Noi siamo completamente favorevoli a riforme nella regione. Ma le intenzioni e le vedute degli Stati Uniti in questo campo non sono chiare. Vi è molta ambiguità. Gli Stati uniti sembrano esitare su tali questioni. A volte, proclamando che servono delle riforme, essi vi si oppongono quando valutano che i cambiamenti potrebbero rafforzare i loro avversari politici. In ogni caso, non dobbiamo fissare i nostri bisogni e le nostre norme in rapporto a quello che fanno o non fanno, credono o non credono, gli Stati Uniti.



Detto questo, la questione delle riforme è un obiettivo necessario e deve essere studiata. Ma, tale questione dovrebbe essere trattata in modo più franco. La riforma dei paesi in via di sviluppo cambierà il loro sistema politico ? Sarebbe da ingenui crederlo. Peraltro, una domanda essenziale deve essere posta : perché si raccomandano riforme sul piano della vita interna dei paesi, ma si esclude ogni riforma sul piano internazionale ? Eppure, questo sistema non andrebbe anch’esso riformato per tendere ad un migliore equilibrio e ad una maggiore giustizia ? Se si esigono più democrazia ed il pluralismo a livello nazionale, non si dovrebbe esigere la stessa cosa a livello internazionale ? In una parola, il nuovo ordine mondiale è più democratico e più equilibrato ? Evidentemente, la risposta è no.



Uno degli attuali problemi del Vicino Oriente è quello del dossier della ricerca nucleare iraniana. Qual è la sua posizione a tale proposito ?



L’Iran ha il diritto di ricercare la generazione di energia nucleare pacifica, come ogni altro paese firmatario del Trattato di non proliferazione e membro dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA). Sono i paesi che non hanno firmato il trattato e che non rispettano le regole stabilite in materia che dovrebbero essere costretti a smetterla di acquisire tecnologia nucleare. Naturalmente, l’Iran dovrebbe darsi da fare per togliere i dubbi e smorzare i timori che alcuni provano sullo sviluppo del suo programma nucleare, ma non si deve trovare un pretesto per tentare di privare quel paese dei suoi legittimi diritti stabiliti nel trattato. Tutto questo caso deve essere gestito nei limiti del Trattato di non proliferazione e delle regole dell’AIEA. Disgraziatamente, i paesi occidentali sembrano parecchio ipocriti su tale questione e ciò non rafforza la loro immagine o la loro definizione politica.



Tornando al Sudan, lei ha la sensazione che il suo paese sia isolato o mal compreso sul piano internazionale ?



Indubbiamente è spesso compreso male, soprattutto da coloro che non vogliono sforzarsi di capire oggettivamente le cose. Per il resto, noi non siamo isolati. Siamo pienamente partecipi delle organizzazioni regionali alle quali aderiamo, in particolare l’Unione africana e la Lega araba. Abbiamo eccellenti relazioni con numerose grandi potenze. Ad esempio, con la Cina che è nostro partner nella realizzazione di numerosi progetti d’investimento e di sviluppo. Su molte questioni politiche esiste un mutuo sostegno tra i nostri due paesi. Anche la Cina è una superpotenza ma, a differenza di altre, è più razionale e sa contenersi. Inoltre, abbiamo eccellenti relazioni con la Russia. Queste relazioni sono basate su un enorme capitale di buona volontà e su relazioni storiche. Certo, la cooperazione economica non è al livello di quella con la Cina, ma in un prossimo futuro speriamo di svilupparla. Anche la nostra cooperazione con grandi paesi come l’India o la Malaysia è molto positiva.



Che cosa spera dalle nazione europee, in particolare dalla Francia ?



E’ per noi d’importanza primaria che le nostre relazioni con i paesi dell’Unione Europea siano basate sul rispetto reciproco e che i paesi europei comprendano e rispettino le nostre scelte in tutti campi politici, economici o culturali. Una volta stabilito questo genere di rapporto, non ci sarà alcun limite alla nostra cooperazione. Ci rendiamo conto che l’Europa è a noi geograficamente vicina. Inoltre, nonostante differenze culturali, siamo convinti che esistano principi morali di base che ci legano con l’Europa. Dalle due parti noi dobbiamo rispettare quei punti di convergenza che ci incitano a riavvicinarci gi uni agli altri.



Per quanto riguarda più particolarmente la Francia, è chiaro che si tratta di una potenza che ha un peso internazionale. Essa ha pure una delle posizioni principali in seno all’Unione Europea. Inoltre, la Francia ha sempre mostrato una migliore comprensione dei nostri problemi e più sensibilità nel prendere in considerazione le realtà e le nostre scelte. È dunque normale che noi contiamo sulla Francia perché svolga un ruolo determinante al servizio del rafforzamento delle nostre relazioni con l’Unione Europea.



Il Sudan ha posto la sua candidatura ad un posto di osservatore in seno all’Organisation internationale de la Francophonie e questa candidatura sarà esaminata in occasione del summit di Bucarest nel settembre 2006. Perché questa volontà di unirsi all’OIF ?



L’Organisation internationale de la Francophonie è una realtà politica e culturale sulla scena internazionale. Ciò è evidente dal punto di vista delle relazioni afro-europee. Del resto, noi abbiamo buone relazioni con la Francia e siamo i vicini di un gran numero di Stati africani che fanno parte dell’insieme francofono. L’avvicinamento con l’Organisation internationale de la Francophonie è dunque un mezzo per rafforzare i nostri legami con quei paesi africani e per sviluppare la nostra comune cooperazione in vista di favorire lo sviluppo e la pace sul continente africano. Siamo inoltre attaccati ai valori difesi dalla francofonia, in particolare il rispetto della diversità culturale e il dialogo delle civiltà che, ai nostri giorni è una necessità. Tutti questi fattori spiegano la nostra intenzione di volerci unire all’Organisation internationale de la Francophonie.





Charles Saint-Prot

Direttore dell’Observatoire d’études géopolitiques.




Voltaire, édition internationale

http://www.eurasia-rivista.org/cogit...presiden.shtml