La vittima innocente ha un difensore: a Gerusalemme

È dalla fede ebraico cristiana che la modernità impara a stare dalla parte dei deboli. E invece da dove ha origine il terrorismo islamico? Un´intervista con René Girard



"Se le scienze umane non avessero trattato la religione e l´aspetto religioso della vita umana come un´arcaica favola primitiva, escogitata giusto per spiegare l´origine del mondo, forse ciò che è avvenuto l´11 settembre 2001 a New York e le rovine di Ground Zero avrebbero suscitato meno stupore, in un pianeta che vive ancora nella convinzione della propria eternità. È una convinzione sbagliata di origine aristotelica e che non mette in conto la possibilità che il nostro universo un domani possa essere distrutto...".

Parole di René Girard, classe 1923, di formazione antropologo (avversario di Claude Lévi Strauss) e critico letterario, forse il più importante filosofo vivente, in perenne polemica con le mode intellettuali del momento, una vita divisa tra gli Stati Uniti, dove insegna fin dagli anni ´60 (oggi a Stanford), e la Francia, dove è nato.

Con il suo ultimo libro pubblicato in Italia,"Origine della cultura e fine della storia", Girard spiega perché la modernità deve a Gerusalemme e non ad Atene il suo valore più essenziale: la simpatia per la vittima. Lo abbiamo intervistato sul rapporto tra religione e violenza, l´argomento che lo ha reso un pensatore innovatore, anzi rivoluzionario.

Nel suo libro lei parla di "sentimento apocalittico" in Occidente. Siamo disarmati davanti alla catastrofe?

«Il sentimento apocalittico nasce dalla consapevolezza che un meccanismo si è definitivamente decomposto, che il suo schermo non è più in grado di proteggerci, che niente più si frappone tra noi e la possibilità di essere distrutti. Questo meccanismo nelle religioni arcaiche era il capro espiatorio: l´idea che il sacrificio di una vittima avrebbe riportato l´ordine e l´armonia. Con l´ebraismo prima, con il cristianesimo poi, la verità persecutoria del meccanismo del capro espiatorio è stata portata completamente alla luce: la vittima è innocente, la violenza non viene da Dio. E così la protezione sacrificale salta, lasciandoci davanti a noi stessi».

Sta parlando delle origini della nostra angoscia. Ma oggi?

«Mi lasci citare San Paolo. Scriveva: ´Il tempo ormai si è fatto breve´. La violenza irrefrenabile che vediamo all´opera in questi anni ci dà una sensazione analoga, di non avere molto tempo a disposizione».

Sta dicendo che mentre da una parte la difesa della vittima e la delegittimazione della violenza sono principi sempre più diffusi, dall´altra si fanno sempre più vittime?

«È un´ambivalenza insita nella nostra storia che nel Novecento, soprattutto con la seconda guerra mondiale, ha trovato un´accelerazione. L´Olocausto può esser letto come un tentativo di distaccare l´Occidente dalla sua dedizione alla salvezza delle vittime: il principio della vittima doveva esser sepolto sotto un numero talmente grande di vittime da dimostrare che non si trattava di un principio valido. Il nazismo cercava di sfidare il cristianesimo sul terreno del ritorno al mito, dove la vittima è necessaria all´ordine. Il tentativo è fallito. Ma lo sprezzo nazista per la tenerezza cristiana verso le vittime non è uscito dalla storia. Temo che in futuro qualcuno tenterà di riformulare il principio in maniera più politically correct, magari ammantandolo di cristianesimo».

E l´Islam?

«L´Islam ha dei problemi con la violenza. Ma bisogna evitare ogni confusione. Non si può trattare quella musulmana come una religione arcaica: è una religione monoteista che appartiene alla famiglia abramitica e che è stata profondamente influenzata sia dall´ebraismo che dal cristianesimo. Anche in Islam c´è il germe della critica della violenza. Il sacrificio umano non fa parte della tradizione musulmana e nessuna corrente ortodossa o autorità religiosa dell´Islam lo giustifica. L´Islam, insomma, non è sacrificale».

Ma ci sono i kamikaze.

«Infatti. il terrorismo fondamentalista è sacrificatore. Ma è una contraddizione che la dice lunga sull´ambiguità del nostro rapporto con la religione e il sacro».

Il filosofo Jean Baudrillard sostiene che nell´atteggiamento del kamikaze si esprime una superiorità morale, data dalla capacità di sacrificare se stessi e gli altri, una sfida simbolica che gli occidentali non sarebbero più in grado di accettare.

«Seguo poco le ultime analisi di Baudrillard. Ma in questo caso sarei tentato di dargli ragione. Non siamo in grado di accettare la sfida sacrificale del terrorista perché la logica del suicidio-omicidio è inaccettabile in un orizzonte morale permeato di cristianesimo, perché non crediamo che dal meccanismo di una vittima sacrificale scaturisca un valore. Il gesto del kamikaze che immola se stesso e il suo nemico sullo stesso altare può impressionarci - come in effetti avviene - ma non ci convince. Ma, attenzione, pensare che questo rifiuto del sacrificio indebolisca l´Occidente è solo un modo per riprendere la critica di Nietzsche al cristianesimo».

E invece?

«La realtà è che l´Occidente continua a fare i conti con il problema della vittima. Se non li facesse negherebbe se stesso. Persino i fautori della risposta armata estrema, dello sradicamento del terrorismo - una risposta che rischia di moltiplicare la reazione - devono preoccuparsi anzitutto di fare meno vittime possibili».

Lei ama l´Occidente. In "Origine della cultura e fine della storia" insiste sull´unicità del modello occidentale e si dice a favore della globalizzazione.

«Per la prima volta nella storia abbiamo una società che non può essere messa a confronto con altre perché comprende l´intero pianeta. Ogni periodo storico, ogni cultura, si sono considerati come unici, ma una cultura globalizzata, prima di oggi, non è mai esistita. Siamo veramente unici. E siamo la prima cultura che nega la propria unicità per timore di offendere culture passate».

Questo non impedisce al mercato globale di produrre ingiustizie e violenze.

«E chi lo nega? Non viviamo in un mondo perfetto, al contrario. Ma dobbiamo ammettere che il sistema di mercato ci sta proteggendo, per quanto precariamente, da esplosioni di violenza ancora maggiore. Io non credo che si possa mettere sullo stesso piano le vittime di un sistema complesso come quello di mercato, in cui viviamo, con il massacro intenzionale di essere umani prodotto da società sacrificali e che sognano i terroristi fondamentalisti. Il mercato non è un apparato tecnico concepito per uccidere persone come lo erano le camere a gas e i campi nazisti. E sono convinto che sarà il mercato stesso, o il sistema globalizzato, o l´orizzonte cristiano del mondo occidentale, comunque lo si voglia chiamare, a produrre dal suo interno una critica radicale della teoria economica neo-liberale».

Lei sembra avere una visione positiva del processo di globalizzazione. Ma nel suo libro critica l´ottimismo di Francis Fukuyama e dei teorici della fine della storia.

«Fukuyama ha un´idea del tutto inadeguata del desiderio degli uomini. La fine della storia, la fine delle ideologie: sono falsi problemi. L´uomo è violento, non le ideologie. Le ideologie, come le religioni, sono solo la facciata celebrativa dietro la quale si nasconde la nostra tendenza di fare vittime, il ´lieto fine´ mitico delle nostre storie di persecuzione. I miti, a ben leggerli, sono sempre a lieto fine, si chiudono in modo positivo, ottimistico: alla crisi risolta attraverso il meccanismo del capro espiatorio segue una nuova pacificazione sociale. Il capro espiatorio offre una possibilità di chiusura che permette al ciclo di riprendere, occultando il vero significato di quella stessa chiusura, e cioè che, ancora una volta, il colpevole è stato sacrificato, il nemico espulso, il male assoluto mondato. Tutto questo, dopo la rivelazione cristiana, non può più esistere».


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I suoi scritti, il suo pensiero


Negli anni Ottanta lo avevano definito "l´Hegel del cristianesimo". Di certo, René Girard ha preso più alla lettera il «perché non possiamo non dirci cristiani» enunciato da Benedetto Croce.

Sospesi tra la teoria letteraria e l´antropologia religiosa, i suoi libri più famosi, da "Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo" a "Vedo Satana cadere come la folgore", individuano nella rivelazione biblica la chiave di volta di una modernità che deve i suoi valori irriducibili, ateismo compreso, al rifiuto giudeocristiano di sacralizzare la violenza e l´ingiustizia.

In "Menzogna romantica e verità romanzesca", il libro che nel 1961 lo ha fatto conoscere al grande pubblico, non si parlava di violenza e sacrifici rituali, ma di rivalità nel grande romanzo europeo. Ma è da lì, dalle analisi su Stendhal e Dostoevskij, che Girard ha cominciato la lunga marcia che lo ha portato alla conversione al cattolicesimo e a perfezionare la teoria sulla fondazione sacrificale delle culture umane.

Fonte: http://www.segnideitempi.net/2006/index.php