Cosa vide Friedrich List*
di Maurizio Blondet [14/07/2006]
Fonte: effedieffe [scheda fonte]





Quando approdò sul suolo americano il 9 giugno 1825, il tedesco Friedrich List aveva 36 anni ed era appena stato rilasciato dal carcere di Hohenasperg, presso Stuttgart. La detenzione, come liberale e rivoluzionario, era durata sei mesi; per farsi rilasciare, List aveva di fatto dovuto rinunciare alla cittadinanza ed accettare l'esilio.

L'anno prima, a Parigi, aveva conosciuto Lafayette (1757-1834), e il marchese l'aveva invitato ad accompagnarlo in un viaggio che stava preparando negli Stati Uniti, ospite della nazione, per l'appoggio che aveva dato a George Washington nella guerra d'indipendenza anti-inglese. List approfittò dell'occasione. Insieme a Lafayette percorse l'America per vari mesi, e fu introdotto nei più importanti circoli americani, Conobbe il presidente in carica, John Quincey Adams (1767 -1848) e il futuro presidente Andrew Jackson.

L'energico sviluppo americano lo conquistò, e ne orientò i pensieri verso i processi economici. "Qui", scrisse, "si vedono stati ricchi e potenti crescere letteralmente dalla natura selvaggia. Qui mi è diventato chiaro per la prima volta come l'economia di un popolo si sviluppa grado a grado. Il processo che in Europa si svolge lungo i secoli, qui si produce sotto i vostri occhi: la transizione dallo stato selvaggio all'allevamento di bestiame, da questo all'agricoltura, seguita poi dalla manifattura e dal commercio". Il campo ideale per osservare il processo di costruzione economica, lo sviluppo delle capacità produttive.

Friedrich si stabilì nei pressi di Philadelphia, dove abitava una forte comunità germanica, e cominciò a scrivere per Adler (Aquila), il giornale tedesco della cittadina di Reading. Il lavoro giornalistico ne fece un conoscitore del dibattito politico e della vita economica degli Usa; in seguito, gli avrebbe anche aperto le porte alla carriera politica a livello dello Stato e federale. Ma non durò molto. Come scrisse lui stesso, "scrivere, in America, non è una vocazione che rechi molto guadagno; chi vuole impegnarsi in questa attività e non è ricco di famiglia, cerca anzitutto di assicurarsi l'esistenza con qualche intrapresa. Anch 'io ho ritenuto consigliabile seguire questa massima, e l'opportunità a questo fine mi fu fornita dalla mia conoscenza delle ferrovie" .

Divenne amministratore della Schuylkill Navigation, Railroad & Canal Company, una piccola impresa ferroviaria che sfruttava una miniera di carbone, di cui List era divenuto proprietario. In breve, si arricchì. Senza cessare di meditare sullo sviluppo economico. "In precedenza, conoscevo l'importanza dei mezzi di trasporto solo dal punto di vista della teoria dei valori, [ossia] solo sull'effetto che i trasporti hanno riguardo all'espansione del mercato e alla riduzione dei prezzi dei beni materiali. Solo adesso comincio a considerarli dal punto di vista della teoria delle forze produttive [...] e del suo influsso sull'intera vita mentale e politica, i rapporti sociali, la produttività e la potenza delle nazioni. [...] Ho avuto modo di studiare questo tema - se posso osare dirlo - meglio di ogni altro economista".

Dal 1830, e poi stabilmente dal 1832, List tornò in Europa come console americano nel Baden. Aveva desiderato quel ritorno: "il rapporto che ho con la mia patria è come quello di una madre con un figlio invalido; tanto più lo ama, quanto più è invalido. La Germania è il fondale di tutti i miei piani, il ritorno in Germania".

Sognava, concretamente, di applicare alla sua amata terra quello che chiamava "il sistema americano", l'economia per lo sviluppo. Fu List a promuovere l'unione doganale tra Stati tedeschi, lo Zollwerein, che avrebbe fatto della Germania non ancora unificata una vasta, e sempre più prospera, zona di libero scambio.

La sua azione non gli fu perdonata. Fu osteggiato, fu distrutto. Finì i suoi giorni in miseria nel 1846.

Strana ironia della storia, il sistema americano di List era l'esatto contrario del liberismo globale, che l'America d'oggi impone come il suo sistema. Di fatto, l'America nacque contro il liberismo. Le colonie americane erano parte dello spazio economico dell'impero britannico: come tali, erano ruvidamente invitate da Londra a mantenere l'interdipendenza economica con l'impero. Fornissero pure al mondo, i coloni, il tabacco, il cotone, il grano, che producevano a prezzi competitivi; ma non si costruissero da sé i manufatti, i beni industriali. Quelli, li produceva a prezzi più convenienti l'Inghilterra. La forza militare britannica manteneva il libero mercato in America, vietando manu militari la fabbricazione di prodotti finiti.

Se i coloni si fossero rassegnati, ancor oggi l'America sarebbe un grande produttore di tabacco e cotone, di materie prime, e una potenza politica di terz'ordine. La generazione precedente a List, quella di George Washington (1732-1799) e di Benjamin Franklin (1706-1790) conquistò l'indipendenza proprio per dare al grande paese un futuro di autosufficienza e di sviluppo.

Gli Stati Uniti sorsero, anzi insorsero, contro Adam Smith e la sua dottrina. Non è noto a tutti il minaccioso avvertimento che Smith lanciò, dalle pagine della sua opera principale (La ricchezza delle Nazioni) contro la pretesa dei coloni americani di crescere e prosperare.

"La causa del rapido progresso delle nostre colonie americane verso la ricchezza e la grandezza è consistita in questo: che quasi tutto il loro capitale è stato impiegato nell'agricoltura. Esse non hanno manifatture, eccettuate quelle rustiche e casalinghe, che necessariamente accompagnano il processo agricolo, e che sono compito di donne e bambini in ogni famiglia privata. La gran parte delle esportazioni come del commercio costiero d'America è operata col capitale di commercianti che risiedono in Gran Bretagna [...]. Se dovesse accadere che gli americani, per associazione o per qualche sorta di violenza, interrompessero l'importazione di manufatti europei, dando così un monopolio a loro compatrioti sì che potessero fabbricare beni simili, sviando una parte considerevole del loro capitale in questa intrapresa, essi ritarderebbero - anziché accelerare - la crescita della loro produzione annuale, e ostacole rebbero - invece di promuoverlo - il progresso della loro terra verso la vera prosperità e grandezza. E sarebbe anche peggio, se, allo stesso modo, tentassero di accaparrarsi essi stessi il loro commercio d'esportazione".

E' l'eterno argomento del liberismo globale, esposto lucidamente qui dall'autore della dottrina: le forme economiche diverse dal liberismo assoluto "sprecano capitale"; il consumatore finale ne viene costretto a pagare prezzi troppo cari; lo sviluppo ne viene bloccato.

Washington pensava precisamente il contrario. Non lo occupava l'espansione dell'esportazione, ma la crescita del mercato interno. E ancor più di lui, aveva le idee chiare il suo segretario al Tesoro, Alexander Hamilton (1757-1804).

Nel 1791, Hamilton fondò la Banca Nazionale: la prima Banca Centrale di Stato dei tempi moderni. La potenzialità produttiva della nazione non può, né deve, essere condizionata dalla disponibilità dei banchieri privati a fare credito. La Banca Nazionale di Hamilton farà crediti di Stato, secondo le possibilità offerte dalla presenza di manodopera, materie prime e bisogni, non secondo il profitto dei prestatori. Il capitale della Banca non sarà limitato alla quantità di oro e argento presente nelle sue casseforti, ma includerà titoli di debito del governo americano. E' un prestito che la nazione fa a se stessa, una anticipazione sulla sua ricchezza futura, che produrrà col proprio lavoro.

Infatti, per Hamilton, "la ricchezza intrinseca della nazione non va misurata sull'abbondanza dei metalli preziosi che detiene, bensì sulla produzione della sua manodopera e della sua industria". Ne segue che "sarà lo stato dell'agricoltura e della manifattura, la quantità e qualità della sua manodopera a determinare la crescita e la diminuzione del circolante". Nel sistema di credito privatizzato che vige anche oggi, si noti, avviene il contrario: è la massa monetaria previamente dichiarata esistente a determinare l'ampiezza del credito. Per Hamilton, è invece la domanda di credito degli attori produttivi a creare la moneta necessaria. Letteralmente, è il lavoro che crea il suo capitale.

Anche la Banca Nazionale americana crea dunque denaro ex nihilo: ma non nell'interesse dei prestatori. Anzi, la speculazione finanziaria viene esclusa, non le viene consentito di scremare un interesse, né di condizionare l'economia restringendo o espandendo il credito. E' la Banca di Stato che regola l'economia; non farà mancare il denaro circolante (il credito), finché ci sarà un disoccupato, e un chilo di materia prima inutilizzata; ma mai il credito sarà più abbondante, di quello che occorre per soddisfare bisogni produttivi reali.

Inoltre, Hamilton eleva dazi protettivi contro l'alluvione di beni a basso prezzo prodotti all'estero. Tali dazi resteranno in vigore finché è necessario proteggere l'industria nazionale ancora in crescita, e non ancora capace di competere sui mercati mondiali; poi, gradualmente,verranno tolti. Hamilton sa che il protezionismo deve essere accuratamente misurato, in modo che non produca letargia, ma stimolo (1).

Nemmeno ad Hamilton si perdonò l'aver creato il credito di Stato. Sfidato a duello da uno spadaccino professionale, fu ucciso nel 1804, a soli 46 anni. La sua Banca Nazionale, su pressione dei latifondisti del tabacco e del cotone (e proprietari di schiavi), fedeli al libero mercato globale britannico, fu chiusa nel 1811. Sarà riaperta, ma per breve tempo, nel 1816, dopo la seconda guerra britannico-americana (1812-1814).

Negli anni in cui List abitò in Usa, la battaglia fra i liberisti (cotonieri) e i fautori del sistema americano per la mobilitazione delle forze produttive era ancora in corso. Egli partecipò alla battaglia, la osservò con acuta profondità, ne fece l'oggetto delle sue riflessioni.

Il risultato fu il grande trattato, Il Sistema Nazionale di Economia Politica, che apparve in Usa, in traduzione inglese, nel 1885. Questo trattato è oggi dimenticato, l'economia ha preso altre strade. Eppure è stato per oltre un secolo la guida degli economisti pubblici che, da esso, hanno imparato a pensare l'economia come la scienza che accresce la ricchezza, anziché limitarsi a dettare le leggi dello scambio. List insegnò il metodo di suscitare le forze produttive della nazione. Grazie alla sua dottrina, la Germania fu ricostruita tre volte: da Bismarck fino ad Adenauer e ai suoi economisti del modello renano. In mezzo, c'è la prodigiosa ripresa industriale tedesca che il regime di Hitler innescò in pochi anni febbrili. Quanto basta per dare ai liberisti un pretesto in più per rifiutare List, e gettarlo nel dimenticatoio della storia.

Ma List dimostra che un altro capitalismo è possibile.

l) Le teorie economiche di Alexander Hamilton qui sunteggiate si ricavano dagli scritti principali del segretario al Tesoro, che non fu un teorico: il Rapporto sul debito pubblico (1790), il Rapporto sulla Banca Nazionale (1790) e il Rapporto sulle Manifatture (1791).

*tratto da "Schiavi delle Banche" effedieffe