"Una aggressione a partire da falsi pretesti"
Mentre gli Americani commemoravano come ogni anno il giorno dell’indipendenza dall’occupazione coloniale, celebrando le loro istituzioni democratiche, noi Palestinesi eravamo di nuovo sotto assedio da parte dei nostri occupanti, che distruggono le nostre strade e i nostri edifici, le nostre centrali elettriche e i nostri acquedotti, e che attaccano i nostri poveri strumenti di amministrazione civile. Case ed edifici pubblici sono presi a cannonate, i nostri parlamentari sono presi prigionieri e minacciati di processo.
L’attuale invasione di Gaza è solo l’ultimo dei tentativi di cancellare il risultato di elezioni libere e regolari che si sono tenute all’inizio dell’anno. E’ la conclusione esplosiva di una campagna che dura da cinque mesi, di una guerra economica e diplomatica diretta dagli Stati Uniti e da Israele. L’intenzione dichiarata di questa strategia era di forzare i Palestinesi a "riconsiderare" il loro voto a fronte di una sofferenza più pesante; il suo fallimento era prevedibile, e la nuova aperta aggressione militare e la punizione collettiva ne sono la logica conseguenza. Il caporale israeliano “rapito”, Gilad Shalit, è solo un pretesto per una operazione programmata mesi fa.
Oltre a rimuovere il nostro governo democraticamente eletto, Israele cerca di seminare il dissenso tra i Palestinesi sostenendo che c’è una rivalità tra i nostri leader. Io sono costretto a smentire decisamente questa affermazione. La leadership Palestinese è fermamente legata al concetto islamico di shura, o consultazione reciproca; noi possiamo avere opinioni diverse, ma siamo uniti nel rispetto reciproco e concentrati nell’obiettivo di servire il nostro popolo. L’invasione di Gaza e il rapimento dei nostri leader e dei nostri ministri hanno anche l’obiettivo di minare i recenti accordi raggiunti tra il partito di governo e i nostri fratelli e le nostre sorelle di Fatah e di altri gruppi, per raggiungere il consenso necessario alla soluzione del conflitto.
Ancora una volta la punizione collettiva israeliana rafforza solamente la nostra risoluzione collettiva a lavorare insieme.
Quando ispeziono le rovine delle nostre infrastrutture – la generosità degli stati donatori e degli sforzi internazionali ancora una volta è stata ridotta in polvere dagli F-16 e dai missili costruiti in America – il mio pensiero va di nuovo agli Americani.
Che cosa pensano di tutto ciò?
Essi pensano, senza dubbio, al soldato in ostaggio, catturato in battaglia -- ma migliaia di Palestinesi, inclusi centinaia di donne e di bambini, rimangono nelle prigioni israeliane per la loro resistenza alla occupazione illegale in corso, che è condannata dal diritto internazionale. Essi pensano al coraggio e alla "inflessibilità" di Israele, "che affronta" i "terroristi." Ma Israele, che è una potenza nucleare, possiede la 13a forza militare del pianeta, mentre i suoi avversari non hanno nemmeno un esercito convenzionale.
Chi è il più debole, che si suppone sia il favorito dell’America, in questo caso?
Se gli Americani ricevessero le informazioni necessarie per valutare cause e realtà storiche, penso che si domanderebbero perchè uno Stato che si suppone "legittimo", come Israele, ha dovuto fare decenni di guerra contro una popolazione di profughi senza mai raggiungere i suoi obiettivi.
Le mosse unilaterali di Israele dello scorso anno non porteranno alla pace.
Questi atti – il ritiro temporaneo dell’esercito da Gaza, la chiusura con un muro della West Bank – non sono passi verso una soluzione, ma solo atti vuoti e simbolici che falliscono nell’affrontare il conflitto sottostante.
Il controllo quasi completo di Israele sulla vita dei Palestinesi non è mai messo in discussione, come confermato dalla sofferenza umana e economica dei Palestinesi dalle elezioni di gennaio.
La politica di Israele di espansione, di controllo militare e di assassinio si fa beffe di ogni nozione di sovranità o bilateralismo. La loro "barriera di separazione" che attraversa la nostra terra, difficilmente può costituire un gesto di buona volontà a favore di una coesistenza futura.
Ma vi è un rimedio, e anche se non è facile esso è coerente con i nostri radicati convincimenti.
Le priorità palestinesi includono il riconoscimento della questione centrale sul territorio della Palestina storica e i diritti di tutto il suo popolo; soluzione del problema dei rifugiati dal 1948; restituzione di tutti i territori occupati nel 1967; e la fine degli attacchi israeliani, degli assassini e dell’espansione militare.
Contrariamente alla immagine corrente della crisi nei media americani, la disputa non riguarda solo Gaza e la West Bank ; vi è un più ampio conflitto nazionale che può essere risolto solo affrontando le dimensioni complessive dei diritti nazionali palestinesi in una maniera integrata.
Questo significa uno Stato per West Bank e Gaza; una capitale, Gerusalemme Est araba, e una onesta soluzione del problema dei rifugiati palestinesi del 1948 sulla base del diritto internazionale. Significativi negoziati con Israele non espansionista e rispettosa delle leggi possono procedere solo dopo che questo enorme lavoro è iniziato.
Certamente il popolo americano è stanco di questa follia, dopo 50 anni e 160 miliardi di dollari di tasse a sostegno della capacità di Israele di fare la guerra - la sua “difesa”. Alcuni americani, credo, si staranno chiedendo se tutto questo sangue e queste risorse non avrebbero potuto portare a risultati più tangibili per la Palestina se solo le politiche degli S.U. fossero state fondate fin dall’inizio sulla base della verità storica, della equità e della giustizia.
Ma noi non vogliamo vivere sugli aiuti internazionali e sulle elemosine americane.
Noi vogliamo ciò di cui godono gli americani, diritti democratici, sovranità economica e giustizia.
Noi pensavamo che il nostro orgoglio per aver condotto le elezioni più regolari del mondo arabo sarebbe stato apprezzato dagli Stati Uniti e da i suoi cittadini.
Invece il nostro nuovo governo si è dovuto fin dall’inizio confrontare con atti di esplicito e dichiarato sabotaggio da parte della Casa Bianca.
Ora questa aggressione continua nei confronti di 3,9 milioni di civili che vivono nel più grande campo di concentramento del mondo.
La compiacenza americana di fronte a questi crimini di guerra si è, come al solito, inscritta nella nota retorica della luce verde: “Israele ha il diritto di difendersi”.
Stava Israele difendendosi quando ha assassinato otto membri di una famiglia sulla spiaggia di Gaza un mese fa o tre membri della famiglia Hajjaj sabato scorso fra cui Rawan di 6 anni?
Mi rifiuto di credere che tanta disumanità vada bene per il pubblico americano.
Noi formuliamo questo chiaro messaggio: se Israele non vuole permettere ai palestinesi di vivere in pace, dignità e integrità nazionale, la stessa Israele non potrà godere di questi stessi diritti.
Nel frattempo, il nostro diritto a difenderci dai soldati occupanti e dall’aggressione è un diritto riconosciuto nella Quarta Convenzione di Ginevra.
Se Israele è pronta a negoziare seriamente e lealmente e a risolvere il problema centrale del 1948, piuttosto che quello secondario del 1967, una pace leale e permanente è possibile.
Basata su una hudna (una cessazione completa delle ostilità per un tempo concordato), la Terra Santa ha ancora una opportunità di essere una casa comune, pacifica e economicamente sicura, per tutto il popolo semitico della regione.
Se solo gli americani conoscessero la verità, la possibilità potrebbe diventare realtà. di Ismail Haniyeh
Primo Ministro della Autorità Nazionale Palestinese
Washington Post, martedì 11 luglio 2006 Da http://www.lacaverna.it