L’estrema sinistra chiede il ritiro dell’ambasciatore. Ds e Margherita pagano il prezzo del potere Rutelli prova a distinguersi
Roma. Dicono tutti “basta con la spirale di violenza”. Generici e timorati. O “ipocriti”, come dice al Foglio Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera. Il problema dell’Unione di fronte alla guerra per la sopravvivenza di Israele non è nella sinistra radicale, che sa quel che vuole e lo reclama chiaro e forte: il ritiro dell’ambasciatore italiano da Israele e la richiesta all’Unione europea d’interrompere immediatamente ogni rapporto commerciale con Israele (tecnicamente si chiamano sanzioni, come se a Gerusalemme governasse Saddam Hussein). Il problema sono i cosiddetti riformisti, i dirigenti della Margherita e della maggioranza dei Ds che imputano a Israele una “reazione sproporzionata” rispetto alla duplice aggressione di Hamas e Hezbollah. Lo hanno fatto i vicepremier Massimo D’Alema (pure ministro degli Esteri) e Francesco Rutelli, il quale almeno in Consiglio dei ministri ha detto ai colleghi: “Attenti, il contesto della crisi non è quello di un tempo. Qui c’è Israele che avvia il ritiro dai Territori occupati, mentre gli estremisti islamici ne minacciano la vita ai confini e uno stato sovrano come l’Iran giura di spazzarlo via dal medio oriente”. Piero Fassino, sull’Unità, individua nella collocazione internazionale un tratto qualificante del nascituro Partito democratico, ma per ora si limita a invocare “un’iniziativa internazionale che imponga immediatamente una tregua e blocchi la spirale verso la guerra”. Il premier Romano Prodi è meno equivicino, “deplora” il contegno israeliano alla maniera di Jacques Chirac e del quasi ex segretario di stato vaticano, Angelo Sodano. Ostellino: “Come si fa a riconoscere a Israele il diritto di difendersi e porgli poi un limite dall’esterno, senza negargli quel diritto?”.
Spiega Ostellino: “Anzitutto questo schiacciarsi sulle posizioni francesi da parte del governo italiano è un cedimento davanti all’idea che Chirac ha dell’Italia, l’idea di uno che vorrebbe punire più Materazzi per quello che ha detto a Zidane che non Zidane per quel che ha fatto a Materazzi”. Fuori dalla metafora, “Prodi ha un atteggiamento di sudditanza che relega in secondo piano il ruolo italiano rispetto ai legittimi interessi mediorientali di Parigi”. Gianfranco Fini, ex titolare della Farnesina, ha detto che l’Unione sta isolando Israele, vanificando anni di lavoro del centrodestra berlusconiano. Ostellino è d’accordo: “Nella precedente legislatura avevamo offerto a Israele una sponda europea, ora Israele è sola. Anche perché chi dovrebbe rappresentare l’Italia, Romano Prodi, viene meno alla propria funzione di presidente del Consiglio, dimentica d’essere rappresentante del paese e non degli interessi del governo”. Prodi esprime necessariamente i rapporti di forza che dominano nel centrosinistra. Ma a questo punto, per Ostellino, “non è nemmeno il garante della coalizione, è l’equilibrista di una maggioranza che gli impone di camminare a cinquanta metri dal suolo avendo in mano una pertica sbilanciata verso sinistra”. Fassino invece non è un uomo di governo, dispone della stessa libertà di opinione utilizzata dal comunista Oliviero Diliberto. Però si trattiene. “La rinuncia scandalosa dei riformisti a far valere le proprie convinzioni è il prezzo che stanno pagando alla stabilità di un governo che altrimenti cadrebbe. I riformisti italiani mancano ancora una volta alla loro funzione storica sacrificando i propri principi e illudendosi, in circostanze come queste, di poter condurre fuori dal guado la carovana intera”. Qui risiede l’ipocrisia, la ragione della paralisi di un’intera classe dirigente: “Non si rassegnano all’idea di avere dei nemici a sinistra, come prevede ogni logica riformista. E se non si accetta questa logica si è ancora stalinisti. Punto”.