Chiudo qui la mia partecipazione al dibattito "prosion - propalestina" preferendo puntualizzare la cronologia degli eventi di quei luoghi, in modo che chi vuole approfondire (ed ha tempo) potrà trarre le proprie considerazioni senza partire da preconcetti spesso sbagliati alla fonte... approfitto ancora una volta di wikipedia che penso possa essere ritenuto superpartes (anhe perchè editabile da chiunque):

Conflitti arabo-israeliani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Con il termine generico di conflitti arabo-israeliani ci si riferisce alle diverse guerre, alle violenze e le conseguenti implicazioni internazionali tra lo Stato di Israele e i vicini Stati arabi, nonché con la popolazione araba palestinese.
Le ragioni di tali conflitti trovano spiegazione spesso in fatti storici molto lontani nel tempo, tra i quali la millenaria diaspora del popolo ebraico o la dissoluzione dell'Impero Ottomano agli inizi del XX secolo. Nonostante ciò, a partire dagli anni '60 del XX secolo, il problema vicino-orientale è diventato di crescente attualità grazie ai media che propongono sempre più spesso notizie su una realtà che a volte si focalizza sugli eventi più tragici ed eclatanti, trascurando di indagare sulle ragioni storiche, sociali e culturali in cui il problema affonda le proprie radici.


//
Contestualizzazione geo-politica

Al fine di comprendere appieno tutte quelle dinamiche che, nel corso del '900, hanno dato vita alla cosiddetta "questione palestinese", è innanzi tutto necessario contestualizzare geograficamente e storicamente la regione teatro di tali eventi e, più in generale, quella vicino-orientale. Con Vicino Oriente (meno precisamente Medio Oriente) si indica convenzionalmente quella zona compresa tra l'Oceano Atlantico, il Mar Mediterraneo, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico, all’interno della quale vivono numerose etnie, la maggior parte delle quali è accomunata dalla professione della religione islamica. Tale zona fu per molti secoli parte integrante dell'Impero Ottomano, che si caratterizzò per una politica tendenzialmente sovranazionale, in grado di garantire una discreta autonomia ai diversi gruppi etnici che lo componevano. La zona assunse straordinario valore strategico (sia economico sia militare) a partire dal 1869, anno in cui fu aperto il canale di Suez: straordinaria opera ingegneristica che avvicinava l'Oriente all'Occidente. Oltre a questo, nella prima metà del XX secolo, furono scoperti immensi giacimenti petroliferi in tutta l'area e ciò rese ancora più interessante il territorio vicino-orientale per le potenze europee che, bisognose di quell'elemento per la loro crescente industria, approfittarono dei numerosi segni di fragilità dell'Impero Ottomano, nonché dell'esito del primo conflitto mondiale per colonizzare l’intera area, imponendo un'occupazione militare di fatto, atta a garantire lo sfruttamento della zona da parte delle società europee. Tali popoli, già uniti dalla comune religione islamica, svilupparono dunque una forte identità nazionale (spesso nazionalistica) in risposta all'occupazione dello straniero (visto anche, con una certa superficialità, come cristiano), risvegliando così antichi rancori che taluni vollero collegare con una buona dose di fantasia con l'antico periodo crociato. Di quest'area dell'Oriente islamico, la Palestina fa parte a pieno titolo. Identificabile come l'area compresa tra il Mar Mediterraneo e il Mar Morto, l'Egitto e la Siria, essa ospita tra l'altro un'importantissima città come Gerusalemme, sacra per le tre più grandi religioni monoteistiche dell'emisfero boreale, di cui ospita molti luoghi ed edifici sacri. Come buona parte del Vicino Oriente, anche la Palestina ha dovuto subire l'occupazione britannica - formalmente un Mandato della Società delle Nazioni ma, in realtà, frutto degli accordi franco-britannici Sykes-Picot rivelati dal nuovo governo sovietico l'indomani della Rivoluzione - a causa della sua rilevanza economica e strategica derivante dalla vicinanza con l'Egitto e il canale di Suez nonché con l'area siro-libanese assegnata invece in Mandato alla Francia.
Le popolazioni che vivono in tale zona sono da secoli a forte maggioranza araba ma al termine del XIX secolo e, sempre più consistentemente nei primi anni del XX secolo, fu consentito (dapprima dall'Impero Ottomano e poi dalla Gran Bretagna) l'insediamento di colonie ebraiche, molte delle quali guadagnate alla causa sionista. A partire dagli anni '30 del XX secolo, e ancor più dopo il termine del II conflitto mondiale e la tragedia dell'olocausto, la Palestina vide fortemente alterata la sua composizione demografica, con la minoranza ebraica avviata a diventare maggioranza grazie all'acquisto di terreni reso possibile dai fondi concessi ai profughi ebrei scampati alla furia nazista. Nel 1948, a seguito di un'apposita risoluzione delle Nazioni Unite, su tali terre fu dichiarato lo Stato di Israele, con una prima emigrazione araba palestinese verso le nazioni limitrofe, fortemente incrementata in seguito alla sconfitta patita nel conflitto (I conflitto arabo-palestinese), scatenato l'indomani della dichiarazione d'indipendenza israeliana, dagli Stati arabi dell'Egitto, della Siria, del Libano, della Transgiordania e dell'Iraq.
Gli albori del problema israelo-palestinese

Sul finire del XIX secolo il territorio palestinese faceva parte dei vilayet (governatorati) siriani dell'Impero Ottomano ed era a sua volta suddivisa in due Sangiaccati (province ottomane). Già nel 1887, Gerusalemme aveva ottenuto una forma di autonomia dall'Impero Ottomano, a dimostrazione della sua politica sovraetnica e sovraculturale. All'epoca gli ebrei costituivano un'esigua minoranza (24.000 persone), integrata con le popolazioni autoctone e, più in generale, con la situazione culturale del luogo. Intorno alla metà del secolo si era però messo in moto il progetto ebraico mirante a porre fine alla sua secolare diaspora, frutto di innumerevoli persecuzioni, e a creare una nazione ebraica che consentisse il ritorno mitico e spirituale alla lontana "terra promessa", citata dalla Bibbia. Tale progetto venne per la prima volta definito "Sionismo" nel 1890 e con esso si espresse la volontà di richiamare simbolicamente alla mente la rocca di David costituita sul colle Sion, metafora del nuovo Stato ebraico. Principale esponente e promotore di tale iniziativa fu Theodor Herzl che, allo scopo di creare un "rifugio" per tutti gli ebrei perseguitati nel mondo (inizialmente come possibile sede di tale Stato fu presa in considerazione anche la vasta e spopolata Pampa argentina e, più tardi il Kenya, che però non rispondevano al desiderio tipico dell'Ebraismo di tornare esattamente nei suoi luoghi santi, malgrado una distanza temporale di circa due millenni), avviò un'intensa attività diplomatica al fine di trovare appoggi finanziari e politici a quell'arduo progetto.
Grazie all'appoggio della Gran Bretagna (che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di popolazioni provenienti dall'Europa) e alla grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori delle comunità ebraiche della diaspora (il popolo ebraico era stato costretto per secoli a specializzarsi nelle cosiddette professioni "liberali" e, quindi, a dedicarsi anche al commercio e alle attività economico-finanziarie, con l'occupazione non di rado di importanti cariche in istituti bancari e società d'intermediazione finanziaria), Herzl organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, grazie all'acquisto da parte dell'Agenzia Ebraica di terreni da assegnare a coloni ebrei originari dell'Europa e della Russia, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell'economia che potessero giustificare la rivendicazione d'un diritto di dar vita a un'entità statuale ebraica.
A partire dall'inizio del '900 la popolazione arabo-palestinese, sentendosi minacciata dalla crescente immigrazione ebraica, dette vita intanto a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria minaccia d'origine straniera. La situazione si protrasse così, tra momenti di tensione e di distensione tra le due fazioni, fino al primo conflitto mondiale e alla conseguente caduta dell'Impero Ottomano.
La prima guerra mondiale e il Mandato britannico

L'Impero Ottomano aveva dato segni di stasi culturale e di crescente disfunzione della sua fino ad allora efficiente macchina amministrativa e militare fin dal XVIII secolo, in diretta connessione con l'accelerazione dei processi d'industrializzazione in Europa. La crescente potenza economica europea si espresse con una più accentuata volontà di ampliare i propri mercati a livello planetario. Come conseguenza logica si accrebbe il desiderio di controllare, direttamente o indirettamente, quelle parti del mondo ricche di materie prime che l'industria europea trasformava oltre a creare più ampi mercati in grado di assorbire le sue merci.
Il modello ideologico vincente in Europa fu, a partire dai primi del XVIII secolo il nazionalismo, e per un elementare fenomeno acculturativo, anche l'Impero Ottomano pensò di seguire lo stesso tracciato europeo. Gli mancava però la necessaria audacia di avviare un analogo processo di laicizzazione e il nazionalismo ottomano non riuscì a fare a meno dell'apporto delle classi religiose. La ricerca scientifica rimase eminentemente appannaggio dell'Europa e all'Impero Ottomano sembrò sufficiente importare tecnologia "chiavi in mano" da essa senza minimamente immettersi nello stesso cammino ideologico ed epistemologico prefigurato nel Vecchio Continente.
Nel XX secolo la situazione ottomana era vistosamente peggiorata e aveva messo in allarme le stesse potenze europee che da tempo parlavano dell'Impero Ottomano come del "malato d'Europa". Molti movimenti riformatori erano sorti nei territori ancora controllati dalla "Sublime Porta" per tentare di contrastare il processo di degrado politico, economico e culturale (vedi "Giovani Turchi") ma per alcuni di essi l'intento principale da perseguire era quello, né più né meno, dell'indipendenza di stampo occidentale. Fra questi popoli anche Palestinesi arabi e israeliti svolsero un ruolo importante.
Con l'esplodere della prima guerra mondiale e il coinvolgimento dell’Impero Ottomano, molti furono gli israeliti che decisero di lasciare la loro "Terra promessa" per scegliere mete diverse, innanzi tutto gli Stati Uniti, che garantivano migliori condizioni in termini tanto economici quanto di libertà civili ma già nel 1916, con l'accordo segreto Sykes-Picot, tra la Gran Bretagna e la Francia (l'Italia non venne messa a parte della trattativa) acconsentirono alle pressioni effettuate da esponenti di rilievo delle comunità israelitiche dei rispettivi paese e convenirono con esse che, nel quadro della futura spartizione delle aree ottomane in caso di vittoria nel conflitto in atto, sarebbe stato concesso alla componente ebraica (non tanto a quella locale ma a quella attiva in Europa e nelle Americhe) di dar vita a una "national home" (focolaio nazionale), utile tra l'altro a svolgere nei confronti del Vecchio Continente il ruolo tipico della "borghesia compradora".
Con la fine della guerra, grande fu il dibattito tra le maggiori nazioni vincitrici per decidere il futuro di queste zone, anche alla luce delle direttive del presidente statunitense W. Wilson che condannavano la costituzione di nuove colonie. Alla fine, con gli accordi di San Remo del 1920, si optò per l'autorizzazione da parte della Società delle Nazioni di affidare Mandati, che definire ambigui sarebbe quantomeno riduttivo, - necessari in teoria per educare alla "democrazia liberale" le popolazioni del disciolto Impero Ottomano - alla Gran Bretagna e alla Francia. La Russia, con la Rivoluzione d'Ottobre, era uscita anticipatamente dal conflitto con la pace di Brest-Litovsk voluto da Lenin e pertanto non fu coinvolta in questa esperienza che difficilmente potrebbe non essere definita come una forma di neo-colonialismo internazionale. L'Italia, per la tradizionale debolezza della sua politica estera, fu anch'essa tenuta fuori dalla spartizione (il tema della "vittoria rubata" ebbe grande presa sugli animi degli Italiani e fu abilmente messa a profitto dal nascente fascismo).
Se la reazione delle popolazioni arabe (musulmane e cristiane) a tali progetti fu vivace e del tutto improntata all'ostilità, diverso fu invece l'atteggiamento del movimento sionista che considerò il Mandato britannico sulla Palestina il primo passo per la futura realizzazione dell'agognato Stato ebraico. Le proteste della popolazione araba furono ancor più esacerbate per la palese violazione britannica degli accordi (anch'essi segreti) sottoscritti con lo sharīf di Mecca, al-Husayn b. ‘Alī, col ministro plenipotenziario di Sua Maestà Sir Henry MacMahon, Alto Commissario in Egitto, che aveva promesso, dopo la caduta dell'Impero Ottomano, il riconoscimento agli Arabi dei diritti all'autoderminazione e all'indipendenza in cambio della loro partecipazione agli sforzi bellici anti-ottomani, e la creazione di uno "Stato arabo" dagli imprecisati confini. In base a tali accordi alcuni contingenti arabi, guidati dal figlio dello sharīf, Faysal (futuro sovrano d'Iraq), parteciparono alla cosiddetta "Rivolta araba", forte dell'aiuto della Gran Bretagna che distaccò come suo ufficiale di collegamento (ma di fatto suo plenipotenziario) il col. T.E. Lawrence (più noto come Lawrence d'Arabia). Ben si conosce la disillusione dello stesso ufficiale che, dopo molto aver promesso e molto ottenuto, fu costretto ad assistere del tutto impotente alla cinica violazione degli impegni presi da Londra, da lui stesso in buona fede calorosamente avallati.
Anche se in realtà la Gran Bretagna era stata in grado di controllare militarmente la zona palestinese fin dal 1917, fu solo nel 1923 che il Mandato entrò effettivamente in vigore e fin dall'inizio cominciarono di conseguenza a sorgere nel paese vari movimenti di resistenza (muqàwwama) araba che miravano, al pari dei movimenti irredentistici italiani, all'allontanamento di tutti quanti esse consideravano, né più né meno, stranieri. Sotto il Mandato britannico l'immigrazione ebrea nella zona subì un'accelerazione mentre la Banca Ebraica - un'organizzazione sionista che agiva grazie a finanziamenti provenienti da sostenitori all'estero del progetto - operò alacremente per l'acquisto di terreni. Il risultato fu quello di portare la popolazione ebraica in Palestina dalle 83.000 unità del 1915 (a fronte dei 590.000 Arabi, musulmani e cristiani) alle 360.000 unità della fine degli anni '30, quando ancora non era completamente nota alla pubblica opinione internazionale la dimensione delle misure repressive adottate contro gli Ebrei dalla Polonia e, in modo assai più marcato, dalla Germania nazista.
Negli anni '20 e '30 numerose furono le dimostrazioni di protesta da parte dei movimenti palestinesi, che spesso sfociarono in vere e proprie carneficine, contro l’esercito di Sua Maestà britannica. La politica di Londra tuttavia non mutò, malgrado varie condanne da parte della stessa Società delle Nazioni. Nel 1936, grazie a uno sciopero generale di sei mesi indetto dal Comitato Supremo Arabo, che chiedeva la fine del Mandato e dell'immigrazione ebraica, la Gran Bretagna concesse d'imporre un limite a tale immigrazione. La decisione in realtà fu più che altro formale, visto che l’ingresso clandestino aumentò sensibilmente anche a causa delle persecuzioni che gli Ebrei avevano cominciato a subire da parte della Germania nazista fin dal 1933. Londra vietò inoltre l'ulteriore acquisto di terre, promettendo di rinunciare al suo Mandato entro il 1949. Intanto, se da un lato i Palestinesi si erano affidati agli atti terroristici come estrema forma di lotta contro un nemico che veniva considerato come un occupante straniero, il medesimo ricorso al terrorismo fu perseguito dalle organizzazioni militanti sioniste che organizzarono gruppi militari, come l'Haganah e il Palmach, e paramilitari, quali l'Irgun e la più estremistica "Banda Stern", che si occupavano di intimidire l'elemento arabo. Verso la fine degli anni '30 la stessa Gran Bretagna si pentì di aver sostenuto il movimento sionista, che mostrava aspetti inquietanti e violenti e cominciò a negare al Sionismo quel discreto appoggio politico che fin lì aveva garantito. Ciò indusse pertanto gli Ebrei palestinesi a cercare negli Stati Uniti quello che fino ad allora aveva concesso loro l’Impero britannico. Con la seconda guerra mondiale, gli Ebrei si schierarono con gli Alleati mentre gli Arabi guardarono con interesse l'Asse, nella speranza che una sua vittoria servisse a liberarli dalla presenza britannica. L'esito del conflitto non valse perciò a modificare la situazione di stallo che sfavoriva gli Arabi.
La svolta del 1947 e la nascita dello Stato israeliano

Nel 1947 la Gran Bretagna, provata dalla guerra mondiale e da una serie di attentati (tra cui l'attentato sionista dell'Hotel "King David" di Gerusalemme e dell'Ambasciata britannica a Roma), decise di rimettere il Mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l’intricata situazione. L’ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent’anni di controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva quasi la metà dei residenti in Palestina.
Il problema chiave che l’ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero in qualche modo dover essere ricollegati alla situazione in Palestina. La definitiva risposta delle Nazioni Unite alla questione palestinese fu data il 25 novembre 1947 con l’approvazione della risoluzione 181, che prevedeva la spartizione del territorio conteso tra uno Stato palestinese, uno ebraico e una terza zona, che comprendeva Gerusalemme, amministrata direttamente dall’ONU. La decisione delle Nazioni Unite fu seguita da un’ondata di violenze senza precedenti da parte dei gruppi militari e paramilitari sionisti (Haganah, Palmach, Irgun e Banda Stern), che precipitò nel caos la Palestina nel 1948, in questo aiutati dalla propaganda di leader politico-religiosi quali il Mufti di Gerusalemme Haj Amin El Husayni; in questi frangenti fu ucciso dalla "Banda Stern" lo stesso inviato dell'ONU, il conte Folke Bernadotte. Nel medesimo anno Londra ritirò, forse prematuramente, le proprie truppe, lasciando così il paese in balia del caos e dei gruppi paramilitari. Le organizzazioni combattentistiche israeliane (che miravano a conquistare il maggior territorio possibile per il proprio Stato) e le forze arabe (che miravano a conquistare la totalità del territorio assegnato all'etnia ebraica, di fatto mespellendola) si urtarono così col massimo della violenza e dell'odio reciproco, il tutto ai danni dell'indifesa popolazione rurale e urbana palestinese di entrambe le etnie. Il 14 maggio 1948, contestualmente al ritiro degli ultimi soldati Britannici, David Ben Gurion, capo del governo-ombra sionista, proclamò l’indipendenza dello "Stato ebraico in terra di Israele", affermando nella dichiarazione di indipendenza di lanciare un appello ... agli abitanti Arabi dello Stato di Israele volto a preservare la pace ed a partecipare alla costruzione dello Stato sulla base di piena e indistinta cittadinanza e legale rappresentanza in tutte le istanze, temporanee e permanenti. ... Lo Stato di Israele è pronto a fare la propria parte in uno sforzo comune per il progresso dell'intero Medio Oriente. In breve, dopo la catastrofe militare degli eserciti invasori, ci si ritrovò un unico Stato, quello israeliano, impegnato a difendere quanto già conseguito sul campo di battaglia e ad ottenere l'intero controllo del territorio palestinese tramite il proprio esercito. L'azione combinata della propaganda araba, basata sullo slogan tornerete nelle terre liberate, della guerra in se, e in alcuni casi della pressione psicologica di frange politiche israeliane, misero in fuga buona parte della popolazione araba e la estromisero definitivamente dalle proprie terre, costringendola di fatto a rifugiarsi in squallidi campi profughi malamente attrezzati nei paesi arabi limitrofi - che da allora si sono sempre disinteressati della normalizzazione della vita dei profughi - il più delle volte in grado di sopravvivere solo grazie alle razioni alimentari elargite dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNRRWA).
Le guerre arabo-israeliane

La nascita ufficiale dei due Stati in Palestina era stata fissata dall’ONU nel 1948, ma essa non ebbe mai luogo. Infatti, non appena i Britannici ebbero lasciato la zona, la Lega Araba, che non aveva accettato la risoluzione dell'ONU, scatenò una guerra "di liberazione" contro Israele (I guerra arabo-israeliana). Gli Ebrei però, durante gli ultimi trent'anni, si erano organizzati militarmente in gruppi come Haganah e Palmach e in formazioni d'impronta terroristica come l'Irgun e la Banda Stern (che confluiranno in questo momento nell’esercito israeliano, detto Tzahal), dimostrarono subito un'imprevista capacità bellica, che permise loro non solo di resistere agli eserciti arabi ma anche di contrattaccare e di occupare militarmente gran parte della Palestina, a eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, rispettivamente occupate dall'esercito dell'Egitto e dalla Legione Araba dell'emirato di Transgiordania (poi Regno di Giordania), che considerarono comunque quei territori palestinesi come "un sacro deposito" da restituire al futuro Stato indipendente di Palestina non appena questi avesse avuto il modo di costituirsi, come ebbe a dichiarare l'Emiro ‘Abd Allāh di Transgiordania.
La popolazione palestinese iniziò a subire una dura occupazione che spinse molte famiglie a emigrare nei paesi vicini e meno vicini (essenzialmente nell'area del Golfo Persico), in quei campi profughi che accolsero in quel periodo oltre la metà della popolazione palestinese.
A partire dalla seconda metà degli anni '50, si aprì una nuova fase del conflitto, che vide nel presidente egiziano Gamāl ‘Abd al-Nāser il leader carismatico di ciò che fu chiamato "Panarabismo". Il 25 luglio 1956 (II Guerra arabo-israeliana), Gamāl ‘Abd al-Nāser nazionalizzò la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà anglo-francese) scatenando così l’intervento di Francia e Gran Bretagna - che vedevano messi in pericolo i loro interessi economici e strategici - e dello stesso Israele che si disse minacciato dalla nuova alleanza militare inter-araba, prefigurata dal Presidente egiziano, con la Siria e la Giordania. Israele reagì al proposito del presidente egiziano Gamāl ‘Abd al-Nāser d'impedire a Israele la navigazione attraverso il Canale.

Francia e Gran Bretagna furono in fretta costrette a rinunciare al conflitto per la minaccia di un intervento sovietico e statunitense ma, anche in tale occasione, la migliore organizzazione militare israeliana ebbe la meglio sui suoi avversari: gli Arabi furono costretti alla ritirata dalla brillante condotta delle operazioni da parte del generale israeliano Moshe Dayan che riuscì a conquistare il Sinai (solo successivamente restituito all’Egitto per l’intermediazione dell’ONU) da Rafah a el-Arīsh.
A partire dal 1962 una lunga serie di scaramucce di confine tra Egitto e Israele e nel 1967 la minaccia egiziana - poi attuata - di impedire la navigazione israeliana attraverso gli Stretti di Tiran (considerata come casus belli da Tel Aviv) portarono a quella che sarebbe stata presto definita come la "Guerra dei sei giorni".
Il 5 luglio 1967 infatti un attacco preventivo delle forze aeree israeliane avviò la III Guerra arabo-israeliana, o "Guerra dei sei giorni", con la distruzione al suolo della quasi totalità dell'aviazione di Egitto, Siria e Giordania, con le forze corazzate e di terra di quei paesi che, senza copertura aerea, furono letteralmente decimate.
Con questa fulminea vittoria Israele occupava l'intera penisola del Sinai e la striscia di Gaza che fino ad allora era rimasta sotto amministrazione militare egiziana, oltre ad inglobare l’intera Cisgiordania (Gerusalemme compresa) e le alture del Golan a nord-est, sottratte invece alla Siria.

Sono questi (tranne il Sinai poi restituito all'Egitto in seguito agli accordi di Camp David del 1978) i cosiddetti "Territori Occupati" (al-aràd al-muhtàlla) nei confronti dei quali una parte degli Israeliani cominciò a nutrire propositi di definitiva annessione, favorendo l'istituzione di colonie agricole in grado di presidiare il territorio palestinese occupato della Cisgiordania, nelle quali operano spesso coloni armati, molti dei quali vicini alle posizioni della destra nazionalista israeliana, fra cui il movimento del Gush Emunim (La gente comune), tanto da indurre vari Arabi di tali zone a trovare rifugio all'estero.
Le Nazioni Unite intervennero nella questione con la risoluzione 242, prospettando il ritiro di Israele dai "Territori Occupati" da Israele in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte degli Stati arabi confinanti; in sostanza, la risoluzione delineava quella politica di "pace in cambio di territori" che da allora ha ispirato tutti i tentativi di soluzione della questione palestinese.
La cosa non si prospettava semplice perché, se all'interno di Israele una corposa pressione politica era espressa ai gruppi di estremisti nazionalisti che rifiutavano qualsiasi possibile dialogo con la parte araba (e in alcune frange giungevano addirittura a proporre la creazione di una biblica "Grande Israele" che si estendesse dal Nilo fino all'Eufrate), nel 1964 nasceva in ambito arabo palestinese una nuova organizzazione, dapprima direttamente sotto il controllo della Lega Araba e che si proponeva di rappresentare gli interessi diretti del popolo palestinese. Tale organizzazione, che si svincolerà poi dalla Lega Araba per divenire l’unica rappresentante internazionale del popolo palestinese, era l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, al-Munàzzama li-tahrìr al-filastini), che - dopo un breve periodo di presidenza di Ahmad al-Shuqayri - sarà poi guidata fino alla sua morte dal suo leader Yasser Arafat.
A testimonianza degli squilibri che la situazione palestinese comportava per tutta l'area vicino-orientale, vanno ricordate le guerre di Libano prima (1969) e di Giordania poi (1970), che scoppiarono a causa delle attività di guerriglia dell’OLP, in particolare del Fronte Nazionale per la Liberazione Palestinese (FLP), che in quei paesi aveva insediato le proprie basi operative. Nel 1973 si ebbe una nuova crisi vicino-orientale che porterà in breve tempo alla IV guerra arabo-israeliana, detta anche "guerra del Kippur" (da una festività religiosa ebraica) o "del Ramadàn" (dal punto di vista arabo-musulmano). In questa occasione furono gli eserciti dell'Egitto e della Siria ad attaccare a sorpresa Israele, che perse il controllo del Canale di Suez (inutilmente presidiato con la cosiddetta "linea Bar-Lev") pur dimostrandosi in grado di reagire con efficacia, organizzando un'abile controffensiva con sue unità corazzate, guidate dal generale Ariel Sharon, che riuscirono a porre sotto assedio, sia pur teoricamente, l'intero III Corpo d'Armata egiziano, rimasto al riparo delle sue postazioni missilistiche anti-aeree che, nelle prime fasi della guerra, avevano decimato l'aviazione di Israele.
L’intervento dei "caschi blu" dell’ONU giunse a evitare ulteriori radicalizzazioni del conflitto e l'alterazione dei già delicati equilibri regionali. Gli accordi fra Egitto e Israele (seguiti più tardi dal riconoscimento dello Stato d'Israele da parte del Cairo, imitato più tardi dalla Giordania) avviarono una nuova fase politica, tendenzialmente meno incline al confronto armato come strumento di risoluzione delle controversie.
Si chiuse così la fase del coinvolgimento diretto degli Stati arabi in guerre dichiarate contro Israele, mentre nella lotta per la liberazione della Palestina assunse sempre un peso più rilevante l’OLP.
L'ultimo ventennio e i tentativi di normalizzazione

La fine delle guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel 1978 l’invasione del sud del Libano da parte dell’esercito israeliano indusse l’ONU a creare una zona cuscinetto, tra i due paesi, sorvegliata dai "caschi blu". Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica capitale dello Stato ebraico per poi annettersi l’anno successivo le alture del Golan siriano già occupate. Nel 1982, Israele avviò l’operazione "Pace in Galilea", che prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani, con l'obiettivo della distruzione definitiva dell’OLP. Nell'ambito di tale operazione Israele invase il Libano spingendosi fino a Beirut, costringendo l'OLP a trasferire la propria sede in Tunisia. Nel quadro di questa azione militare si ebbero i massacri dei campi profughi beirutini di Sabra e di Shatila, perpetrati dal maronita Elias Hobeyka e dalle forze filo-israeliane del cosiddetto Esercito del Sud-Libano (cristiano). L'inerzia delle forze israeliane che erano responsabili della sicurezza di quelle aree e che erano a conoscenza di quanto stava avvenendo nei campi profughi (in cui si contarono da 800 a 2.000 civili trucidati) provocò una severa inchiesta da parte della Corte Suprema in Israele. Essa si concluse con le dimissioni forzate di Ariel Sharon dalla carica di Ministro della Guerra e col dimissionamento del Capo di Stato Maggiore israeliano e del responsabile militare israeliano delle operazioni in Libano.
Nel frattempo l'ONU, che accusava Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi, formò una commissione di indagine perché vigilasse sul problema dei mezzi coercitivi messi in atto nei confronti degli Arabi affinché abbandonassero le loro terre, come pure sulle disposizioni israeliane in materia di gestione delle risorse idriche dell'intera area a settentrione dello Stato ebraico e sulla distruzione di abitazioni arabe da parte dell'esercito israeliano. Per lungo tempo l’OLP rifiutò di assumere come base per il dialogo la risoluzione 242 dell’ONU (che prevedeva il ritorno ai confini di prima della "guerra dei sei giorni", legittimando così le conquiste territoriali israeliane del 1948-1949), finché nel 1988 la sua linea si ammorbidì consentendo l'avvio di un cauto e non sempre coerente avvicinamento fra le opposte posizioni. Nel frattempo, nel 1987, era iniziato un moto popolare di sollevazione chiamato Intifada (in arabo "brivido, scossa"), che tentava di combattere l’occupazione israeliana dei Territori Occupati per mezzo di scioperi e disobbedienza civile, oltre a ricorrere a strumenti di lotta volutamente primitivi quali il lancio di pietre contro l’esercito invasore, suscitando così grande impressione nel mondo occidentale. Sempre in questo periodo, però, gruppi estremistici di matrice islamica tradizionalista che non si riconoscevano nell’OLP si organizzarono trovando come punto di riferimento il movimento Hamas (nato a Gaza nel 1987) che, pur limitando la sua azione al quadro strettamente palestinese, con l'impiego di tecniche di lotta terroristica, decisamente alternativa rispetto a quella più diplomatica dell'OLP, è riuscito a erodere parte del consenso fin lì goduto dalla "laica" OLP.
Nel 1993, ci fu a Washington un importante vertice di pace tra lo Stato Israeliano e l'OLP, riconosciuta finalmente come unica rappresentante del popolo palestinese, mediato dallo stesso presidente USA Bill Clinton. In esso si giunse a un accordo in base al quale Israele si sarebbe ritirata dalla striscia di Gaza entro il 1994, lasciando quei territori sotto la guida palestinese. I termini dell’accordo si rivelarono in ultima analisi molto ambigui, tanto che gli scontri ben presto ripresero. Nel 1995, il premier laburista israeliano Itzhak Rabin, premio Nobel con Arafat e Shimon Peres per aver sottoscritto gli storici Accordi di Oslo con l'OLP, venne ucciso da un tale Eyal, esponente dell’estrema destra religiosa israeliana. Questo provocò grande impressione nell’opinione pubblica israeliana, tanto da spingere il nuovo premier del Likud, Benjamin Netanyahu, a stringere un nuovo accordo con l'OLP, che prevedeva l’apertura di un aeroporto a Gaza e la liberazione di vari prigionieri politici palestinesi, sempre grazie alla mediazione del presidente USA Bill Clinton. Tuttavia le tensioni tra le parti non finirono.
La prosecuzione della politica di creazione di nuovi insediamenti agricoli israeliani nei Territori Occupati non si arrestò e a nulla servì che gli Israeliani, spaventati dagli attacchi terroristici arabi, facessero vincere il partito laburista del MAPAM di Ehud Barak. Questi infatti, in un nuovo vertice per la pace a Washington, non riuscì a convincere con le sue proposte il suo antagonista Arafat sui termini della pace e le trattative conobbero così un cocente fallimento. Nell'ultimo periodo, la nuova strategia di Hamas di ricorrere ad attentati suicidi contro i civili ebrei ha ulteriormente acuito la tensione, facendo irrigidire le posizioni degli Israeliani e questo sentimento ha trovato una facile sponda nell'amministrazione statunitense, tradizionalmente predisposta a condividere le tesi israeliane. La morte del leader dell'OLP Arafat (primavera 2004) e l'elezione del suo successore Mahmūd ‘Abbās (Abu Mazen) hanno portato, tra innumerevoli azioni di guerriglia e di contro-guerriglia, di attentati terroristici palestinesi e di "uccisioni mirate" e dure ritorsioni israeliane contro civili palestinesi, allo sgombero (unilateralmente disposto nel 2005 dal premier israeliano Ariel Sharon) della Striscia di Gaza, consegnata in Novembre all'Autorità Nazionale Palestinese, sui cui valichi è stata chiamata a vigilare una forza di polizia della Comunità Europea, comandata da un generale dei Carabinieri dell'esercito italiano.
Cronologia degli eventi

  • 1869 – Inaugurato il canale di Suez. Da questo punto in poi il Vicino e il Medio Oriente assumono una straordinaria importanza strategica per tutti i paesi europei interessati ai commerci con l’Oriente, Gran Bretagna e Francia sopra tutti.
  • 1897 – Congresso di Basilea presieduto da Theodor Herzl e costituzione della prima Organizzazione Sionista mondiale.
  • 1917 – Nel corso della prima guerra mondiale crolla l’Impero Ottomano. Francia e Gran Bretagna si spartiscono i territori vicino-orientali.
  • 1920 – Con i trattati di pace che mettono ufficialmente fine al primo conflitto mondiale la regione palestinese diviene un Mandato britannico.
  • 1920 – Nasce l'Haganah, un’organizzazione paramilitare israeliana incaricata di contrastare i nemici degli Ebrei, anche ricorrendo ad atti intimidatori nei confronti delle popolazioni autoctone.
  • 1920/1945 – La Gran Bretagna favorisce la penetrazione sionista in Palestina, permettendo l’immigrazione incontrollata degli ebrei e l'acquisto di terre. La convivenza tra le popolazioni arabe locali e la componente ebraica diventa sempre più difficile, sfociando spesso in rivolte ed atti terroristici.
  • 1945 – Si costituisce la Lega Araba ad opera di Egitto, Siria, Arabia Saudita, Yemen, Giordania, Iraq e Libano. Successivamente aderiranno anche Libia, Sudan, Tunisia, Marocco, Kuwait, Algeria, Somalia e altri Stati africani. L'OLP ottiene anch'essa un seggio.
  • 1947 – L’ONU predispone un piano di divisione della Palestina in due Stati: uno arabo e l’altro ebraico.
  • 1948 – Nasce lo Stato di Israele.
  • 1948 – Gli Stati arabi rifiutano il piano dell’ONU e attaccano Israele (I Guerra arabo-israeliana). Israele con la sua controffensiva respinge gli Arabi e conquista tutta la Palestina (a eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania) e la integra nei propri territori.
  • 1956 – Scoppia le II guerra arabo-israeliana che viene interrotta da URSS e USA.
  • 1961 – Il Kuwait diventa indipendente dalla Gran Bretagna. L’Iraq ne rivendica, in base a dubbie argomentazioni, l’annessione ma l’intervento militare britannico vanifica la pretesa.
  • 1964 – Costituzione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che riunisce i maggiori gruppi nazionalisti palestinesi. Dapprima emanazione della Lega Araba, dopo il 1967 l’OLP conquista l’autonomia e si dà una propria linea politica.
  • 1967 – III guerra arabo-israeliana (Guerra dei sei giorni). Israele sottrae la striscia di Gaza all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. Gaza e Cisgiordania, con una popolazione prevalentemente araba, costituiscono i "Territori Occupati".
  • 1969 – Yasser Arafat diventa Presidente del Comitato Esecutivo dell’OLP.
  • 1970 – Guerra giordano-palestinese (Settembre nero). La Giordania espelle i fedayyin (guerriglieri palestinesi) che spostano le loro basi nel sud del Libano.
  • 1972 – Strage di Settembre Nero, un'organizzazione terroristica palestinese, a Monaco di Baviera: vengono uccisi gli atleti israeliani partecipanti alle Olimpiadi.
  • 1973 – IV guerra arabo-israeliana e nuova sconfitta degli Arabi.
  • 1975 – Scoppio della guerra civile in Libano.
  • 1978 – Primo attacco in forze dell’esercito israeliano ai campi profughi palestinesi utilizzati dall’OLP come campi d'addestramento militare.
  • 1979 – Trattato di pace tra Israele e l’Egitto. - Rivoluzione islamica in Iran; Khomeini assume il potere e proclama la repubblica fondata sui principi dell’Islam.
  • 1980 – L'Iraq di Saddam Husayn aggredisce l'Iran. Inizio della guerra tra i due paesi.
  • 1982 – Israele invade il sud del Libano. Attacco dell’esercito del Sud Libano ai campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut.
  • 1984 – L’OLP ripudia il terrorismo
  • 1985 – Israele si ritira dal Libano ma mantiene occupata una fascia di 20 Km a sud di quel paese (tra il fiume Litani e il fiume Awani.
  • 1987 – Rivolta a Gaza e inizio dell'intifāda palestinese
  • 1988 – Il Consiglio Nazionale Palestinese proclama la nascita dello Stato palestinese e contestualmente riconosce quello israeliano. Fine della guerra iracheno-iraniana.
  • 1990 – La Siria impone al Libano la fine della guerra civile e instaura la propria egemonia nel paese.
  • 1991 – Guerra del Golfo in risposta all'aggressione dell'Iraq in Kuwait.
  • 1992 – Il laburista Rabin vince le elezioni in Israele.
  • 1993 – Storica stretta di mano tra Arafat e Rabin nell’iniziativa di pace promossa dal presidente USA Clinton.
  • 1994 – L'esercito israeliano si ritira dalla striscia di Gaza che passa sotto la gestione dell’OLP. Rabin e Re Husein di Giordania firmano un accordi di pace tra Israele e lo Stato giordano. Premio Nobel per la pace a Rabin, Arafat e al ministro degli Esteri isrealiano, Shimon Peres.
  • 1995 – Rabin viene assassinato da un estremista israeliano.
  • 2001 - Comincia l'Intifada al-Aqsa.
Parole chiave e voci correlate

  • al-Fatah: acronimo di "Movimento di Liberazione Palestinese". Organizzazione fondata nel 1959 da Yasser Arafat, costituisce il gruppo di maggioranza nell’ambito dell’OLP.
  • Haganah: "difesa". Organizzazione militare israeliana nata nel 1920; dopo la fondazione dello Stato di Israele, divenne il nerbo dell’esercito.
  • Hamas: "ardore". Acronimo del "Movimento di Resistenza Islamica", nato a Gaza nel 1988, che aspira alla formazione di uno stato islamico sull'intero territorio della Palestina storica.
  • Hezbollah: "Partito di Dio". Fazione sciita libanese che ha sostenuto la lotta armata contro l'occupazione israeliana nel Libano meridionale.
  • Intifada: "Brivido, scossa". Movimento spontaneo di giovani arabo-palestinesi che si battono contro la presenza di soldati e coloni israeliani nei Territori Occupati con lanci di pietre e varie forme di disobbedienza civile.
  • Maroniti: cristiani libanesi di rito orientale ma appartenenti alla chiesa cattolica. Ad essi in Libano viene per tradizione non scritta (cosiddetto "Patto nazionale" del 1943) riservata la carica di Presidente della Repubblica. Uno dei partiti maroniti più importanti è stato quello delle "Falangi" ( Katā'eb ), create da Pierre Gemayel. Maronita era anche Elias Hobeyka, responsabile nel settembre 1982 del massacro di civili palestinesi che vivevano nei campi profughi beirutini di Sabra e Shatila.
  • Mossad: Servizio segreto israeliano.
  • OLP: "Organizzazione per la Liberazione della Palestina". Fondata nel 1964 e inizialmente sotto il controllo dei vari paesi arabi. Si è poi affermata come rappresentante ufficiale del popolo palestinese, riconosciuta da più di un centinaio di paesi e dalla stessa ONU.
  • Settembre Nero: Movimento terroristico arabo-palestinese nato per vendicare le vittime palestinesi dalla repressione giordana del Settembre 1970. Responsabile dei primi clamorosi attentati terroristici internazionali, il più eclatante dei quali fu forse la strage di atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972.
  • Sionismo: Movimento ideologico-politico nato alla fine del XIX secolo nelle varie comunità ebraiche europee con l’obiettivo di far tornare il popolo ebraico nella “Terra Promessa” biblica. Si dette una prima struttura organizzativa solo dopo il primo “Congresso Sionista” di Basilea del 1897, grazie all'azione di Theodor Herzl.