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    Cacciaguida
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    Predefinito Una interpretazione di Mussolini.

    Nulla mi è più comprensibile e più simpatetico dell’idea di Machiavelli, che se in questo mondo gli uomini fossero buoni sarebbe da malvagi mentire e ingannare; ma poiché evidentemente non vi è che plebe e canaglia, sarebbe da sciocchi essere nobili e decenti.
    Carl Schmitt, Tagebucher. Oktober 1912 bis Februar 1915, Berlin 2003, pag. 163


    Risulta non facilmente comprensibile – ad ogni osservatore di situazioni politiche internazionali – il motivo per cui dal ’45 ad oggi gli angloamericani abbiano in un certo senso eletto l’Italia, una Nazione priva di un valore centrale nella partita geostrategica o geoenergetica che si va annunciando (sono addirittura più importanti, in tal senso, paesi come il Kazakhstan o il Venezuela stesso), a territorio privilegiato di esperimenti “psicologici” o “sociali” della peggiore specie, per continuare il loro indisturbato, totale dominio sulla nostra Nazione.

    Sono talmente tanti e vari gli esempi che si potrebbero portare, sulla centralità assunta dall’Italia nelle più delicate vicende di politica internazionale quantomeno dal ’45 al ’93, che è certamente inutile tornarci sopra. Oggi, ad esempio, siamo arrivati ad una continua, ossessiva campagna di stampa internazionale, ma più precisamente angloamericana, contro un Presidente del Consiglio il cui unico irrimediabile torto, agli occhi di Londra e degli Usa, è quello di tentare di recuperare dei minimi spazi di autonomia politica tattica in una chiave sovranista nazionale, con l’apertura di un dialogo strategico geoenergetico e geopolitico di largo respiro con Mosca, Tripoli, Il Cairo ed anche con Pechino, dialogo che a fronte di investimenti e relazioni commerciali ha posto il governo italiano come garante per svariati benefici e vantaggiosi ritorni.
    Ciò ha portato alle esplicite proteste politiche di Usa (tramite l’ambasciatore in Italia) e Londra verso la “preoccupante” politica estera italiana, troppo poggiata su Mosca, a loro dire.



    Certamente, il fatto che il Presidente del Consiglio si giochi la partita fondamentale sul piano del gossip (peraltro a mio modesto avviso, sbagliando obiettivo: si veda vicenda Feltri – Boffo, comunque centrato da “Libero”: caso Elkann/Agnelli), piuttosto che su quello della pura politica decisionista, “di forza”, in una situazione di emergenza quale è effettivamente quella odierna, non depone a suo onore, tanto meno a suo vantaggio: tutt’altro.

    Ciò che tuttavia lascia assai perplessi è il fatto – per chi consulta testate inglesi o americane – che una linea politica di iniziale “indipendenza nazionale” avviata dal Berlusconi IV abbia destato in tali ambienti tante preoccupazioni che addirittura non si parli più in prima pagina del “dittatore Putin”, e che vicende talmente importanti per gli atlantici, come quelle dei “diritti umani” dei buddisti tibetani o dei musulmani in Xinjiang, che fino a poco fa costituivano il problema principale di ogni dibattito politico internazionale, ora vengano affrontate in secondari trafiletti. Tali testate si soffermano invece continuamente sulle presunte “ore contate” del Berlusconi IV, sulla necessità di un nuovo governo italiano, più ligio alle direttive d’oltreoceano.

    E’ necessario quindi avviare una lettura estremamente sintetica dei fatti essenziali del secolo appena passato, per leggere con attenzione gli eventi che si vanno sviluppando e in futuro si acuiranno.

    Il Novecento, l’ “inquieto Novecento”, rimane certamente il secolo da analizzare a lungo per comprendere i fatti di oggi e quelli di domani. Nessun secolo come il Novecento ha veduto l’irrompere sulla scena storica di autentici “geni strategici” che hanno condizionato e determinato il destino stesso degli eventi planetari. E’ un fatto sorprendente, che lascia addirittura sbigottiti se solo si pensa che secoli interi passavano lentamente e stancamente senza “decisive” intuizioni strategiche. Il Novecento è stato per eccellenza il secolo di terremoti e rotture strategiche vere e proprie.

    Tra questi “geni strategici”, emergono : Wilson, se oggi l’angloamericanismo (anche e soprattutto nelle sue torsioni più realiste alla Brzezinski o alla Kissinger) detta le condizioni planetarie lo dobbiamo senza meno al messianismo wilsoniano; Lenin, il primo a trasferire concretamente sul piano politico il fulcro concettuale della guerra, ossia la distinzione amico/nemico, nonostante il suo disegno strategico definitivo si rivelava infine fallimentare; Mussolini, l’unico a dare nel corso dell’intero secolo una risposta spiritualmente europea all’offensiva strategica angloamericana; De Gaulle, l’unico ad uscire pragmaticamente dalla logica dei blocchi impostasi dal 1945 con un atto politico essenziato di puro decisionismo e di sovranismo nazionalista; Deng Xiaoping, infine, il quale, frantumando decenni di sterili utopismi maoisti e/o linbiaoisti, comprendeva che l’unica sfida strategica con l’Occidente poteva essere giocata dalla Cina solo sul piano della conquista dei mercati e dei capitali (cuius regio ejus industria)(1).

    Mussolini e noi
    Ora, se dovessimo stabilire chi tra questi “geni strategici” ha meglio concretizzato, in termini storico-politici, la hegeliana essenza dell’ “anima del mondo”, ovverosia la necessità strategica, nel processo della storia universale, di prendere coscienza della realizzazione dell’opera universale che lo spirito del mondo esige, direi senza dubbio Mussolini. E questo va detto proprio prescindendo radicalmente da ogni fattore ideologico e/o emotivo-passionale. Dopo anni di attento studio di tutti i più importanti testi storiografici o filosofici riguardanti il fenomeno, testi dai quali sono stato peraltro anche in passato condizionato (De Felice, Gentile E., Sternhell, Del Noce), sono infatti arrivato alla definitiva conclusione che il mussolinismo e il Fascismo sono, nelle loro linee essenziali, degli illustri sconosciuti. Basterebbe consultare i testi di E. Gentile o di Sternhell, ad esempio, sulle origini l’uno, su la nascita l’altro, di una “ideologia fascista”, per rendersi conto di quanto siano pretenziosi i due volumi e di come arrivato alla fine dei volumi stessi, il lettore attento prenda coscienza che proprio in base a quanto ha letto non è possibile parlare di una “ideologia fascista”.

    E’ ben difficile, infatti, che uno storico o un filosofo possa spiegarci l’azione intima, strategica, del Politico. E’ possibile ricostruire storicamente l’azione di un fondatore di stati o di un generale, ma risulta veramente difficile, arduo, immedesimarsi nello spirito intimo di un genio creatore (uso l’espressione nella sua declinazione etimologica, non apologetica) strategico-politico. Inoltre Mussolini è evidentemente ancor più difficile da comprendere di un Lenin, le cui radici marxiste (fortemente ideologico-messianiche) erano rivendicate dallo stesso, fino alla fine, per quanto avessero subito una determinante declinazione soggettivistica-volontaristica senz’altro non ortodossa, o di un Hitler, il cui progetto strategico (fortemente ideologico-messianico anche questo) era perfettamente esposto nel “Mein Kampf” e nel “Mein Leben” ed allo stesso appunto l’hitlerismo si adeguava nel corso della sua azione politica.

    Al contrario, Mussolini ha fornito un esempio radicale di spietato realismo politico basato in sostanza su un “machiavellismo superiore”: nella sua azione non vi è stato affatto eccessivo spazio per un ideologismo messianico né per una declinazione della politica in senso ideologico.

    Lenin imprimeva in sostanza una svolta storica, una rottura di paradigma la possiamo chiamare, al movimento comunista mondiale, sacrificando ogni mossa tattica (l’interventismo politico volontarista, il movimento del partito e dell’organizzazione centralizzata) al fine strategico fondamentale: la classe quale prospettiva strategica storico-universale, con il partito macchina da guerra esterna, organizzazione tattica di appoggio alla classe. La base del leninismo è l’analisi politica della rivoluzione. Nel settembre del ’17 supportava il punto di svolta della rivoluzione che si andava allargando: “Se non prendiamo il potere adesso, la storia non ci perdonerà. Il partito ha l’obbligo di riconoscere che l’insurrezione è posta all’ordine del giorno…In questo momento non si può rimanere fedeli al marxismo e alla rivoluzione senza considerare l’insurrezione come arte”. Circa un mese dopo, sosteneva che il partito non si può lasciar guidare dallo stato d’animo delle masse poiché è instabile e non può essere esattamente calcolato e quindi si doveva lasciar guidare solamente dall’analisi obiettiva e dalla valutazione della rivoluzione. La svolta storica era definitivamente posta da Lenin quando determinava dall’alto l’ordine dell’offensiva finale, chiamando tutti – il partito, i soviet, le masse, gli operai - alla insurrezione armata. Si ha in quel preciso momento storico uno spostamento decisivo, assoluto, nella lotta politica mondiale. Lenin teorico del proletario e Lenin politico rivoluzionario sono ormai coincidenti in un singolo destino storico. Il nemico di Lenin è il nemico della classe operaia: nemico assoluto, nemico dell’umanità. Inizia dunque – con Lenin, come ormai noto - la massima radicalizzazione storica del concetto politico. Ogni guerra dovrà avere un carattere “ideologico”, di guerra definitiva e finale per i destini dell’umanità.

    “Lenin, in quanto rivoluzionario di professione della guerra civile mondiale, andò oltre, e fece del vero nemico il nemico in assoluto. Clausewitz aveva parlato di guerra assoluta, ma presupponendo la regolarità di una struttura statuale. Certo non poteva ancora immaginare lo Stato come strumento di un partito e un partito che comanda uno Stato. Con l’assolutizzazione del partito, anche il partigiano diventava qualcosa di assoluto, e veniva elevato a portatore di inimicizia assoluta”(2) .

    L’iniziativa leninista dell’ottobre bolscevico pone il partito verso la classe nel quadro del momento tattico rispetto al disegno strategico messianico finale. Per questo il disegno strategico finale sarà fallimentare: la classe come sostanza dialettica, quale automovimento, della futura società senza classe si rivelerà un fallimento. Le basi dello Stato operaio debbono essere tattiche ed identificarsi con le funzioni del partito, nella visione leninista. Ma per salvare il disegno strategico, che si comprende dall’inizio è posto su fragili basi, destinate a crollare, Stalin è costretto a ripiegare il leninismo e a fare della tattica di Lenin la sua strategia portante.

    Ora, il Mussolini vincitore della guerra civile italiana (1919-1922), di contro alle visioni ideologiche che pongono il momento strategico come sintesi assoluta dei movimenti tattici, sembra decisamente privilegiare una metodologia politica antidogmatica e antideologica per eccellenza. Di puro realismo politico. Nel “Popolo d’Italia” (22 novembre 1921), Egli scrive un pezzo fondamentale intitolato: “Relativismo e fascismo” in cui, dopo aver proclamato la morte storica dello scientismo quale metodo di conoscenza esatta, con sconcertante sincerità, afferma: “Se per relativismo deve intendersi il dispregio per le categorie fisse, per gli uomini che si credono portatori di una verità obiettiva immortale, per gli statici che si adagiano invece di tormentarsi e rinovvellarsi incessantemente, per quelli che si vantano di essere sempre uguali a se stessi, niente è più relativistico della mentalità e dell’attività fascista”.

    A Trieste, d’altra parte, nel settembre del 1920 aveva già dichiarato che “fascismo significa antidemagogia e pragmatismo” ed il mese successivo su “Il Popolo d’Italia” aveva ribadito che il fascismo è tale “in quanto permette una pragmatica latitudine di atteggiamenti, a secondo delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente”, tutti riferimenti che servivano chiaramente a porre una netta differenziazione tra il fascismo “atto di vita” e “il dottrinarismo ideologico” che è “esercitazione di parole”.

    Usando la medesima tattica armata leninista (dove il partito fascista deve però supportare – dogmaticamente e totalitariamente in tal caso- l’azione del Principe: Mussolini) ma in un progetto strategico antidemocratico e anticomunista, finalizzato a portare su posizioni di interventismo nazionalrivoluzionario il gruppo strategico di potere della borghesia conservatrice italiana (o almeno una consistente parte di esso), Mussolini introduce la guerra di movimento nella società civile italiana (lo squadrismo fascista ha la funzione politica fondamentale di compenetrare di dinamismo attivista nazionalrivoluzionario le sfere conservatrici dell’esercito, non viceversa), avendo gradualmente ragione e di una dirigenza socialista e comunista e di una liberale e democratica che ragionavano e agivano ancora nei termini e nei modelli di guerra di posizione, di blocchi politici statici, tutti fondati sulla strategia, assolutamente privi di qualsivoglia sperimentalismo tattico.

    Il realismo politico mussolinista emerge chiaramente dalla dottrina politica italiana, quella che ha reso il Machiavelli il profeta armato di tutti i tempi. E come il Segretario fiorentino, Mussolini non usa la formula dogmatica del “miglior governo”, ma si chiede sempre quale è “il possibile governo”. Come Machiavelli, Mussolini è un pessimista antropologico: l’uomo è nella maggior parte dei casi essenzialmente dominato dall’impulso al male, dall’egoismo più abietto, dall’edonismo e dall’utilitarismo sfrenato (B. Mussolini, Preludio a Machiavelli, Gerarchia, III, 1924; Id., Forza e consenso, Gerarchia, IV,1925). Interessante al riguardo, la lettura data da Gramsci del mussolinismo nei Quaderni (3, 34), in base a cui la formula Machiavelli=machiavellismo=Stato-potenza, diviene la principale arma della “reazione” e pura apologia dell’antidemocrazia, dell’antiegualitarismo e dell’autoritarismo. Il campione ottocentesco dell’antidemocrazia neo-machiavellica è identificato da Gramsci in Hegel, sulla base della visione di quest’ultimo della servitù quale culla di libertà (Quaderni 11, 18).
    Tutto questo dovrebbe bastare a farci comprendere l’essenza assolutamente tatticista del realismo politico mussolinista. La strategia viene da Mussolini stravolta e ripiegata completamente nel momento tattico. Come nessun altro ha saputo declinare la sua visione del mondo fondamentale (rivoluzionaria conservatrice) azzerando e annichilendo il progetto strategico nelle esigenze tattiche del momento. Con un assoluto senso del limite, un freddo equilibrio strategico, che, almeno fino al 1938, nessuno si può vantare di possedere allo stesso modo.

    Il Mussolini vincitore della guerra civile italiana (1919-1922) fornisce un quadro sintetico radicale di una doppia strategia (illegalità e legalità) che viene apparentemente sacrificata nelle piccole conquiste tattiche, nei piccoli ma fondamentali avanzamenti di posizioni. Partito originariamente –una volta tornato dal fronte - da posizioni di assoluta minoranza e di totale marginalità politica, Egli sacrifica totalmente la teoria (la conoscenza soggettiva, unilaterale del processo storico oggettivo in divenire) all’atto politico puro, all’intervento-decisione (volontà di sovvertire il processo storico inarrestabile: democrazia, diritti, neo-illuminismo). Con Mussolini, la politica diviene pura, totale azione soggettiva del capo, la guerra è l’idea, l’atto soggettivo – ancora - è l’intervento su ciò che precede la oggettività storica, affinché questa non passi e trionfi (la necessità della svolta tattica continua e dell’estremo tatticismo mussolinista risiede qui).

    Gli avversari più seri, tra cui il condottiero e fondatore dell’Armata Rossa, si trovano costretti ad indicare in Mussolini un esempio strategico (H. Abosch, Trockij e il bolscevismo, Milano 1977, pag. 47). Agli inizi del 1925, Egli si fa infine Dittatore. La sovranità politica è ormai totalmente riposta nel suo pensiero e nella sua azione decisionista. Non può così stupire che Carl Schmitt, in quegli anni a ridosso di tali eventi, scriva che “un Italiano ha espresso di nuovo, come già nel XVI secolo (chiara l’allusione a Machiavelli), il principio della realtà politica”(3).

    Se Mosca e New York sono le capitali ideologiche in cui viene particolarizzato un disegno strategico di progressismo estremista e dogmatico razionalista di radice neo-illuminista (da cui lo stalinismo poi, soprattutto dal ’41, tenterà di uscire completamente), l’Italia di Mussolini è essenzialmente “bonapartista”, diviene il centro della Machtpolitik, una scuola di modernismo politico d’avanguardia, fondata sul culto mistico dello Stato di potenza.

    Mussolini, come Napoleone nel secolo precedente, è lo spirito europeo che applica il katechon (S. Paolo 2 Ts, 2,6), ossia lo spirito potenza che frena, trattiene e cerca di stravolgere l’irruzione messianico-escatologica del nichilismo moderno tecnicamente più distruttivo incarnato dalla grande nave angloamericana: “priva della determinazione del proprio senso interiore, che scivola nel maelstrom della storia”(4).

    Nemmeno andrebbe ricordato, tanto è ormai noto, che nelle università cinesi si studia in quegli anni diritto corporativo, che nel primo New Deal roosveltiano si hanno vasti richiami all’economia programmata di radice fascista, che un po’ ovunque nel mondo abbiamo intellettuali o movimenti che si richiamano esplicitamente (non è questo il contesto per stabilire con quale coerenza) al fascismo di Mussolini; basterebbe ricordare quanto di più geograficamente lontano possa esservi, ossia le note “Camicie Verdi” del brasiliano Delgado che permettono a Getulio Vargas di conquistare il potere.

    Il disegno strategico di Mussolini è di grande respiro. Oltre alla radicale modernizzazione dell’Italia, alla volontà di militarizzare il popolo italiano, riallacciandolo – in un passato troppo lontano effettivamente – al mito della romanità ed in tempi più vicini, oltre alla battaglia di Legnano e alla disfida di Barletta, al radicalismo nazionale, eroico e volontaristico che nel Risorgimento viene comunque ben distinto dal filone democratico-progressista e positivista, al superamento interno di ogni materialismo astratto e distruttivo e di ogni economicismo, l’aspetto strategico del regime fascista si fonda sulla volontà metastorica assoluta di rendere l’Italia una Grande Potenza. Assumendo l’aspetto di potenza mondiale che aspira alla grandezza totale, al proprio “spazio vitale”, l’Italia di Mussolini rivendica al tempo stesso la primogenitura di un momento spirituale puro, di un autentico movimento spirituale che si può caratterizzare come una “rivoluzione conservatrice europea”. Il capo del fascismo italiano, con la sicurezza di una intuizione strategica che nella storia dell’arte si definirebbe geniale, fornisce una inscindibile formulazione politica ad un impulso spirituale che milioni di giovani europei avvertono discendere come un’onda spirituale. Quando Mussolini si proclama Dittatore, i reduci dell’intero continente europeo, ovunque derisi e diffamati, sanno che i loro valori possono diventare forza di stato, che l’animazione spirituale sperimentata nelle trincee può, nel destino della civiltà europea, prendere il posto delle astratte mitologie ideologiche di taglio razionalista, umanitarista, progressista, egualitarista. Significativo, che in piena guerra, dal 1943, l’idea di un eurofascismo o di un fascismo europeo compiuto prende piede in seguito ad un’intuizione strategica di Mussolini, che già aveva teorizzato del resto negli anni Trenta: il fenomeno volontarista paneuropeo della “terza ondata”, quello del 1943, è infatti un fenomeno eurofascista e mussolinista(5).

    Non è questo il contesto per approfondire la relazione tra fascismo e nazionalsocialismo tedesco, ma va comunque detto che le simpatie mussoliniane – in Germania – andavano originariamente più agli Elmi d’Acciaio-Lega dei Soldati del Fronte (Stahlhelm-Bund der Frontsoldaten)(6) che ai nazionalsocialisti di Adolf Hitler, di cui Mussolini probabilmente non approvava il dogmatico estremismo strategico di fondo, che era chiaramente antitetico alla metodologia politica ultratatticista e antidogmatica del capo italiano.

    Far diventare l’Italia grande potenza, come detto. In tal senso, Mussolini gioca strategicamente la carta più rischiosa, ma che si rivelerà decisiva: distruggere, annichilire quell’apparente equilibrio europeo interno che si regge su un concerto franco-inglese. Accelerando le nostre posizioni di forza nel Mediterraneo, prendendosi la spazio vitale in Africa, intuendo la strategia fondamentale dei tempi nuovi (e oggi, a quasi un secolo di distanza, ne iniziamo a prendere consapevolezza…) ossia che “il numero è potenza”, realizzando infine l’Impero, il capo fascista mette in moto l’azione offensiva di una modernità politica europea, statalistica ed eurocentrica (un nuovo ordine fascista) che gioca sull’elemento dello squilibrio, nel noto nesso del nomos della terra, per colpire mortalmente, definitivamente, l’espansionismo despazializzato, tecnico-artificiale (non politico) dello Stato marittimo inglese. Non è un caso che la vittoria di Mussolini – antianglosassone anzitutto – del maggio 1936, che colpisce alla radice l’equilibrio statico antieuropeo franco-inglese, avrà la inevitabile conseguenza strategica di condurre alla fine storica dell’impero anglosassone.

    Una vendetta postuma di Napoleone Bonaparte realizzata tramite Mussolini. Si potrebbe giustamente notare che Londra guiderà in seguito – dopo veder franare il proprio impero – o meglio coadiuverà tatticamente l’espansione americana, nel quadro strategico unipolare angloamericano: ma anche questo si rivela alla lunga un fallimento strategico, con la Russia potenza spaziale terrestre – politica - che “gioca” quantomeno alla pari con gli angloamericani sulla logica dei grandi spazi quasi fino alla fine del secolo XX, e con l’emergere in seguito di nuove potenze che hanno lanciato una chiarissima offensiva strategica volta al primato mondiale sugli angloamericani.

    In un unico caso della sua storia, l’Italia, con Mussolini appunto, entra attivamente nella Grande Politica.
    Ed infatti, le sconfitte del 25 luglio, dell’8 settembre, del 25 aprile, sono le sconfitte del popolo italiano intero (tranne una minoranza) che ha fallito ingloriosamente il suo appuntamento con la storia. Non certamente di Mussolini e dei fascisti. A differenza del popolo tedesco e del popolo russo i quali, oltre il risultato strategico, erano evidentemente da secoli preparati a quella sfida a cui hanno dato vita, venti anni non sono stati sufficienti per preparare l’italiano ad entrare come un blocco di potenza sull’arena della “grande politica”. Solo le minoranze, come noto, hanno risposto positivamente a tale appuntamento. Vengono in proposito alla mente taluni giudizi di Hegel sui popoli latini: lo sdoppiamento nella coscienza dello spirito ed una astratta tensione verso l’elemento sentimentale unilaterale, che è quasi una vera e propria negazione dello spirituale(7).

    E appunto la maggioranza del popolo italiano fallisce miseramente il suo decisivo appuntamento storico, rifiuta quel senso di autocoscienza nazionale e di “coscienza planetaria” che un capo di avanguardia le offre, mentre il popolo russo, in condizioni ben peggiori e ben più dure, fornisce un esempio di “stoicismo” e di solidità veramente “eroico”.

    Potrebbe sembrare dunque quasi incredibile che un genio strategico quale Mussolini, che i più consapevoli fascisti che fino alla fine sono stati presenti a se stessi in questo supremo appuntamento storico, che il messaggio spirituale di estrema autodifesa europea e di veloce contrattacco continentale rispetto all’invasione nichilista di “civiltà” angloamericana, che tutti questi impulsi siano venuti fuori dall’Italia. Ed invece questa, per assurdo, è una costante storica.
    E chi oggi fa la “grande politica” – chi sta dunque a Londra e Washington, ed anche a Pechino, ma in tal caso Pechino c’entra ben poco – sa naturalmente tutto questo.

    Dunque, tornando all’inizio dell’articolo, ora si spiega la particolare attenzione dei circoli strategici angloamericani verso l’Italia.Traendo dunque velocemente le conclusioni: il berlusconismo è chiaramente un fenomeno passeggero, che non inciderà nell’anima del popolo, come non vi hanno inciso peraltro decenni di “cultura democristiana”. L’unico elemento che ha veramente inciso in tal senso, dopo il 1945, è stato l’americanismo sostanziale che ha ancor più abbassato e degradato il già debole carattere italiano. Ma questa è stata ed è, purtroppo, la necessaria conseguenza per un popolo il quale, come visto sopra, si è lasciato prendere dalla decadenza sentimentale nel momento in cui poteva finalmente iniziare a “fare la storia” concretamente e metaforicamente parlando, un popolo che non sa tenere le proprie armi deve per forza di cose portare le armi degli altri. L’unica via da percorrere per ora è dunque appoggiare e supportare quei gruppi umani o classi dirigenti strategicamente organizzati/e che sono oggettivamente “meno lontani” dalla nostra prospettiva immediata (attualmente senza dubbio, quelli che fanno blocco con Berlusconi, i quali non per un preciso disegno culturale o strategico – almeno fino ad oggi - ma per una mera necessità di interessi, si vanno distaccando ed “autonomizzando” dal fronte angloamericano), che è l’indipendenza dagli angloamericani e la sovranità.

    E’ chiaro che se rinascerà qualcosa che avrà una continuità sostanziale, non formale, con il fascismo mussolinista, questo verrà inevitabilmente fuori da tendenze di fondo di questi gruppi umani strategici dirigenziali – che confliggeranno inevitabilmente tra di loro in una prospettiva di autentica scossa sistemica che si va chiaramente delineando - di cui ho parlato appena sopra, non dai gruppuscoli “ideologici” estremisti o di mera testimonianza ed ortodossia dottrinaria. L’essenza politica dell’amico/nemico appartiene dunque ormai a questo fronte strategico, mai e poi mai a quello politico-ideologico.

    In questo senso, come si è capito, la figura di un capo “illuminato” che sappia a quel punto declinare tatticamente questi gruppi umani dirigenti in un comune superiore disegno strategico, che per esempio oggi, come ripeto, è anzitutto l’indipendenza nazionale e la sovranità, è non solo necessario, ma di più. Figura che sarà, dovrà essere intensamente italiana ed intensamente europea.
    Dunque, si tratta di operare positivamente e creativamente nella consapevolezza che tutto ciò che abbiamo per ora di fronte è un mero fenomeno passeggero e che le svolte strategiche fondamentali, le rotture strategiche, sono negli ultimi secoli partite sempre dall’Italia per poi penetrare rapidamente in Europa.

    Prescindendo da quanto si verificherà a breve, che sarà per forza di cose scavalcato e travolto, ancora una volta, potremo quindi, come italiani ed europei, essere al centro di svolte strategiche epocali.

    Luca Fantini

    (1) Non emergono invece Hitler e Stalin (che ha comunque preso una Russia disastrata e in preda alla dissoluzione rendendola una potenza mondiale di primo piano) in quanto hanno a tratti perduto, nella visione generale dell’equilibrio strategico, quel senso della misura che, schmittiamente, è una dote fondamentale ineludibile del “politico”.

    (2) Carl Schmitt, Teoria del partigiano, Milano 2005, pag. 129.

    (3) C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus, Berlin 1991, pag. 89.

    (4) Id., Il concetto di impero nel diritto internazionale. Ordinamento dei grandi spazi con esclusione delle potenze estranee, Istituto nazionale di cultura fascista 1941, pag. 268-269.

    (5) H. W. Neulen, L’eurofascismo e la seconda guerra mondiale. I figli traditi dell’Europa, Roma 1982, pag. 171.

    (6) Si consulti al riguardo: Hoepke, La destra tedesca e il fascismo, Bologna 1971.

    (7) Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, Roma-Bari 2003, pag. 344.

    FrancoColombo | Il Cannocchiale blog
    Ultima modifica di amerigodumini; 24-01-10 alle 18:12

  2. #2
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    non credo in un unico comune denominatore tra le epoche
    DEFORME AUTENTICO

  3. #3
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    Tocca ammettere che è un'altra cosa l''italianismo mistico' considerato in questi termini rispetto a quei proclami: "Metatemporali, Transeunti, pro sub specie aeterni. ITALIANI!"
    Ultima modifica di Den Hvite Guden; 24-01-10 alle 18:40

  4. #4
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    mi scuserete se forse incorro in qualche violazione, ma io, sinceramente, dopo anni di studi, di riflessioni, di discussioni, ........devo dire che secondo me l'apice della civiltà umana è stato raggiunto nel periodo italiano 23-45. è da li che bisogna ripartire e magari introdurre piccole modifiche. ma quello che è nato dal 48 è solo un degrado totale in tutte le forme:
    - politico (nessun governo ha la forza di fare nulla)
    - economico (crescente schiavizzazione dei lavoratori, ormai senza tempo libero e per giunta sempre più poveri)
    - morale (c'è bisogno che faccio pure degli esempi? siamo tornati nel caos morale e soprattutto sessuale fognario della vecchia babilonia)
    - umano (chi sono i modelli umani? georg del grande fratello? santoro? bersani? casini?)

  5. #5
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    L'articolo ha degli spunti interessanti e condivisibili, ma sinceramente stride parecchio il voler associare Machiavelli ad Hegel.
    Fra l'altro, il Duce aveva fra i suoi riferimenti pure Platone che guarda al governo non possibile ma migliore.
    Il Duce secondo me ha coniugato radicalità dei fini con elasticità dei mezzi. E' giusto in tal senso parlare di machiavellismo superiore.
    Superiore perchè a differenza del machiavellismo 'normale' il Fascismo non era solo mera autoconservazione dello Stato, ma insieme di principi e valori.
    Altrimenti per quale motivo ci sarebbe stata la Scuola di Mistica Fascista?

  6. #6
    VIVERE INIMITABILE
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    L'articolo ha degli spunti interessanti e condivisibili, ma sinceramente stride parecchio il voler associare Machiavelli ad Hegel.
    Fra l'altro, il Duce aveva fra i suoi riferimenti pure Platone che guarda al governo non possibile ma migliore.
    Il Duce secondo me ha coniugato radicalità dei fini con elasticità dei mezzi. E' giusto in tal senso parlare di machiavellismo superiore.
    Superiore perchè a differenza del machiavellismo 'normale' il Fascismo non era solo mera autoconservazione dello Stato, ma insieme di principi e valori.
    Altrimenti per quale motivo ci sarebbe stata la Scuola di Mistica Fascista?
    il volontarista mangiapreti benny lettore di stirner sarà senz'altro stato anche un devoto idealista
    però anche machiavelli per i suoi obiettivi prescriveva una mistica guerriera di sacrificio
    il fascismo avrà una dimensione metafisica, del resto nessuno potrebbe dimostrare il contrario
    però nessuna efficace iniziativa altisonante in quanto tale può essere addotta come argomento contro un'interpretazione puramente strategica delle sagaci mosse del principe
    Ultima modifica di Pompeo; 25-01-10 alle 11:21

  7. #7
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    tipo io avessi le mani libere non concepirei alcuna distinzione tra religione e politica
    per garantire la massima saldezza allo stato

  8. #8
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    Citazione Originariamente Scritto da Pompeo Visualizza Messaggio
    tipo io avessi le mani libere non concepirei alcuna distinzione tra religione e politica
    per garantire la massima saldezza allo stato
    se proprio vogliamo andare fino in fondo nei concetti, infatti non c'è alcuna separazione tra politica e religione, ovvero: io, ognuno, sostiene determinate idee politiche perché è quello che scaturisce dalla propria visione religiosa.
    come disse qualcuno di noto:
    «Noi abbiamo respinto la teoria dell'uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro è una merce. L'uomo economico non esiste, esiste l'uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero.»
    (Benito Mussolini, Discorso del 14 novembre 1933, in "Tutti i discorsi - anno 1933")

    Tutto quello che pensa una persona è "un intero", che al suo interno ha una certa coerenza e ogni pensiero è collegato all'altro.
    Questo appare evidente quando un cattolico parla di Stato cattolico (teocratico, con il Papa capo del governo, oppure laico, semplicemente con il cattolicesimo religione di Stato ma Stato distinto dalla Chiesa), oppure quando un musulmano parla di Stato islamico. Appare meno evidente quando alcuni parlano di Stato relativista ma anche per loro è cosi: anche per loro imporre lo Stato relativista rientra nella propria visione ideologico-filosofica (che altro è questo se non religione?) che sia giusto che tutti abbiano la religione e la morale che vogliono in quanto la Verità Unica non esiste.

    l'unione tra religione e politica è un fatto e l'uomo che si comporta in coerenza deve necessariamente considerare le proprie idee politiche conseguenza delle proprie idee religiose e non può scinderle, se vuole essere coerente.
    in questo senso nelle liberaldemocrazie si chiede ai cattolici di non-essere coerenti, perché è vietato dalla legge imporre concetti morali di una religione, sarebbe discriminatorio per gli altri che secondo la legge hanno il diritto di seguire la propria religione.

  9. #9
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    ovvio
    la "distinzione" che intendevo è quella per cui il premier nello stato laico non è l'uomo della provvidenza o l'unto del signore

    ah già ops
    Ultima modifica di Pompeo; 25-01-10 alle 11:48

  10. #10
    .
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    Predefinito Rif: Una interpretazione di Mussolini.

    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    a differenza del machiavellismo 'normale' il Fascismo non era solo mera autoconservazione dello Stato, ma insieme di principi e valori.
    Altrimenti per quale motivo ci sarebbe stata la Scuola di Mistica Fascista?
    Sono d'accordo. Benito Mussolini fu l'assertore di un nuovo ordine politico e sociale, non più basato sul gioco di artificiose maggioranze parlamentari e su un erroneo concetto della libertà, che poneva in contrasto le singole classi e apriva la via a tutti gli egoismi, ma deciso sul senso dell'Imperium e dell'Auctoritas, espressione dello Stato che rappresenta il Popolo intero, nel tentativo di condurlo alla consapevolezza della sua dignità, della disciplina, della responsabilità e dello spirito di sacrificio: questa concezione totalitaria del Dovere. spinto sino al sacrificio, è infatti conosciuta, non a caso, come Mistica fascista.
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

 

 
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