di Simone Paliaga
E se il Libano del 2006 ricoprisse lo stesso ruolo recitato dalla Polonia nel 1939? Come le diplomazie degli anni ternta in Europa non si avvidero che la posta in gioco delle richieste di Hitler non poteva risolversi né con gli accordi di Monaco del 1938 né con le altre concessioni come l'estromissione dell'esercito francese dai confini occidentali, così i premier riuniti per il G8 non afferrano il nodo della questione d'Oriente.
La ricomposizione del conflitto israelo-palestinese non risanerà la situazione. Da quando, nel 1994, Yasser Arafat, Shimon Peres e Yitzhak Rabin ricevettero il Nobel la situazione in Medio Oriente non è più la stessa. Detronizzato Saddam Hussein e abbattuto il governo dei talebani in Afghanistan gli equilibri di potere in quello scacchiere geopolitico sono instabili.
Lo si intuisce dalla timidezza delle dichiarazioni dei giorni scorsi della Lega araba e dal silenzio di Giordania e Egitto propensi di solito ad assumersi il ruolo di mediatori nelle contese della regione. Ma anche dalla prontezza con cui l'Arabia saudita ha condannato l'attacco degli Hezbollah. Le linee di forza non passano più per Tel Aviv, Ramallah o Beirut ma per Teheran, Damasco e Washington.
La pace nel paese dei cedri tornerà non con il ritiro di Olmert o con un atto di forza del premier libanese Seniora contro gli Hezbollah, ma con il consolidamento di un nuovo assetto egemonico, al cui vertice siederà l'Iran o gli USA con i loro alleati. I prossimi mesi lo scopriremo.