Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
    laico progressista
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    Considerazioni generali su una piattaforma unitaria per i repubblicani


    Le voci che si sono levate fino ad oggi sulla questione repubblicana, la mia tra queste, hanno ripetutamente denunciato la crisi in cui versa il nostro filone ideale nella sua interezza. Crisi rappresentata non dal venir meno di ragioni valoriali, tutt’oggi valide e attuali, ma dall’esiguità dei numeri e dalle conseguenze dispersive della diaspora.
    Dopo tanto recriminare e tanto disquisire su cause ed effetti, oggi credo sia venuto il momento di avviare una riflessione ulteriore, che prenda le mosse dal disagio che si è diffuso in questi anni, per riconvertirlo in positivo. E’ il caso di chiedersi, cioè, se gli eventi che hanno caratterizzato la storia dei repubblicani negli ultimi dodici anni, non possano oggi offrire anche un arricchimento, una ragione per evolversi, per emancipare una cultura politica rimasta troppo a lungo figlia e custode del proprio passato.
    Questo non solo per riscattare un sentimento di sconfitta politica (politica, non ideale), e non tanto per assolvere un recente passato che di tutto ha bisogno, meno che di essere riabilitato, ma perché è solo prendendo atto di ciò che ogni realtà repubblicana rappresenta oggi, in ogni sua particolare specificità, che possiamo pensare di ricostruire.
    E dunque, un filo virtuoso va ricercato e tessuto.

    Oggi osserviamo tre grandi filoni residui, in cui si è smembrata la proposta politica repubblicana.

    Il primo è quello del partito storico, che pur perdendo terreno su questioni basilari legate alla sensibilità democratica e istituzionale (vedi l’alleanza con la destra della Lega e di Forza Italia, nonché la scarna difesa delle istituzioni e della Costituzione), ha comunque segnato una continuità col passato distinguendosi su molti temi specifici (politica estera, politica energetica, economia, laicità dello Stato) e su uno stile puntuto e rigoroso, pur nei limiti del basso profilo dei compromessi cui si è piegato.
    Se sotto molti aspetti il PRI appare oggi irrigidito, se non sclerotizzato su posizioni di retroguardia, ad esso va comunque il merito di aver garantito una continuità nello stile, nel costume, nella specificità politica, nella struttura organizzativa, oltre che nel marchio di fabbrica. La tenacia e la fermezza con cui è stata difesa la sopravvivenza di un simbolo, anche da parte della radicale dissidenza interna, sono note di merito che vanno riconosciute, e che ci consegnano formalmente integro un bagaglio evocativo indiscutibile.

    Il secondo filone è rappresentato dai Repubblicani Europei. Un movimento ricreato quasi dal nulla, che ha dovuto reinventare un modo per strutturarsi, crescere, produrre proposte politiche. Se il bipolarismo ha costretto il PRI a far degenerare una vocazione elitaria ma di progresso, in un surrogato appena più presentabile della destra liberista e neoconservatrice, sull’altro versante ha obbligato un movimento appena nato e sprovvisto di una solida guida ideale, a ripiegare su terreni politici nuovi e poco familiari, appannaggio delle forze cattolico-progressiste e “riformiste” (uso di proposito questo neologismo di matrice socialista), ma anche a rispolverare le proprie radici storiche mazziniane, quale propria credenziale di sinistra e quale valore aggiunto, specifico e qualificante.
    Se l’appiattimento sul versante catto-riformista resta tutt’oggi un fattore ambiguo e politicamente debole, non è da sottovalutare invece il recupero di un dibattito approfondito sul mazzinianesimo e sul repubblicanesimo, che ha prodotto in molti casi lo sviluppo di una cultura ritrovata e rinnovata (Maurizio Viroli ne è un esempio brillante) anche e soprattutto nella militanza di base.

    Il terzo filone è quello della Sinistra Repubblicana. Il percorso di questa componente è stato, per certi versi e al di là di qualunque giudizio polemico sulle motivazioni, il più coerente nei contenuti e il meno coerente nelle scelte. Nel senso che gli esponenti repubblicani che hanno dato corpo alla Sinistra Repubblicana erano anche quelli che meglio incarnavano gli ideali laici e liberaldemocratici di una forza di progresso, ma hanno preferito riversarli in un contenitore diverso, per contribuire all’evoluzione di una cultura estranea alla nostra. L’operazione è riuscita parzialmente, ma a scapito della componente stessa, che è rimasta svuotata della propria missione e infine disarcionata.
    Se la Sinistra Repubblicana è oggi allo sbando, invischiata in questioni di partito avulse dal nostro mondo, essa ha però conservato la propria matrice laica e liberaldemocratica, modernizzandola in senso fortemente progressista e solidale, grazie alla mutuazione con l’ambiente diessino.

    Dunque appare chiaro che al di là di ogni male, la diaspora ha potuto fornire nel suo insieme elementi di ricchezza. Perché ha consentito a ciascuno di questi filoni di sviluppare autonomamente ma con profitto diversi aspetti complementari della cultura repubblicana, che un solo partito avrebbe sicuramente compresso e sacrificato alle proprie esigenze: la tradizione dei simboli, del rigore e della ragione del Pri; il neorepubblicanesimo e le origini mazziniane del Mre; la cultura laica, liberaldemocratica e di progresso civile della Sinistra Repubblicana.

    Questi ingredienti possono costituire naturalmente l'ossatura di una ritrovata forza repubblicana della sinistra democratica.
    Resta solo da trovare una formula magica che li rimetta insieme. Questa formula ha un nome: volontà unitaria.
    Due parole semplici e allo stesso tempo terribilmente complesse.

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Paolo Arsena
    Resta solo da trovare una formula magica che li rimetta insieme. Questa formula ha un nome: volontà unitaria.
    A cosa servirebbe mai codesta unità?

    L'unità a prescindere non serve a nulla, anzi delle due è dannosa. E poi unità di chi? E per andare dove?

    Piantiamola con le alchimie: prima diciamoci chi vuole andare dove, poi i processi aggregativi verranno di conseguenza.

  3. #3
    repubblicano nella sinistra
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    io proverei a dire così , le comuni origini non sono certo condizione sufficiente per essere sicuri di trovare la possibilità di fare un lavoro poltico insieme
    Non sono neppure condizione necessaria, ci mancherebbe altro, dobbiamo provare ad agganciare altre esperienze e sopratutto altre generazioni

    Ma le origini comuni unite ad una comune ispirazione di centro sinsitra ( questa si condizione necessaria e indispensabile) possono essere una utile indicazione per verificare in tempi brevi la possibilità di creare una massa critica minima per lavorare polticamente, Ora non ce l' abbiamo.

  4. #4
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    L'ispirazione comune di centrosinistra è senz'altro una condizione indispensabile per aggregarsi con qualcuno.
    Ma non basta.
    C'è sul tavolo la difficile questione del Partito Democratico.
    C'é comunque la previsione -anche aggregando tutto l'aggregabile- di NON poter fare una massa critica superiore allo zerovirgola, quindi più che di una "massa critica" si tratterebbe di un "peso molecolare".

    Il riferimento ad una "diaspora" (ovvero la provenienza più o meno alla lontana da un vecchio piccolo partito) NON ci aiuta a portare dalla nostra nuove persone e all'esterno ci qualifica come retrogradi e vecchi.

  5. #5
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    In nome della par condicio, avendo postato la relazione di Nucara qualche giorno orsono, riporto ora l'intervento di La Malfa al CN del PRI del 7 e 8 luglio u.s.

    Intervento di Giorgio La Malfa al Cn dell'Edera/"Il Pri c'è, c'è ancora"

    "Sapete che esistono le votazioni degli organi di partito?"

    Intervento di Giorgio La Malfa al Consiglio Nazionale del Pri, Roma, 7 - 8 luglio 2006.

    Cari amici, all'indomani delle elezioni politiche che hanno visto un esito quantitativo sostanzialmente pari tra il centrodestra e il centrosinistra, addirittura una lieve prevalenza del voto di centrodestra, anche se una prevalenza nelle elezioni nei seggi del centrosinistra, è cominciato uno spostamento nei sondaggi, diciamo così, nei sondaggi di Berlusconi, che peraltro si erano dimostrati abbastanza efficaci, per cui qualche settimana dopo il voto, Berlusconi faceva sapere che c'erano 2-3 punti di vantaggio del centrodestra se si fosse votato in quel momento.

    Un sondaggio (che io non ho visto direttamente ma che mi è stato riferito dallo stesso ambiente) di qualche giorno fa, non so se subito prima delle liberalizzazioni o subito dopo, dava un consistente vantaggio del centrodestra nell'ordine di 3-4 punti percentuali, cioè se si votasse oggi il centrosinistra perderebbe nettamente e credo che sia anche questo un argomento che viene fatto valere nel centrosinistra di fronte alle difficoltà sull'Afghanistan, sulla politica finanziaria dicendo: "State attenti, non ci sfasciamo perché se andiamo a votare perdiamo le elezioni".

    Allora il referendum, dico all'amico Pacor e ad altri, non riguardava gli atteggiamenti politici generali del paese, non era uno scontro politico, se è vero che oggi il 52-53% degli italiani è per il centrodestra, una parte di quelli che hanno votato NO al referendum sono quelli che alle elezioni hanno votato o voterebbero per il centrosinistra o per il centrodestra, e quindi esprimere la nostra opinione sul referendum non era, per così dire, incompatibile con una valutazione sulla situazione politica generale del paese. Non lo era perché una parte dell'Italia che oggi voterebbe per il centrodestra ha votato NO al referendum.

    Perché non dovevamo farlo noi se questa era la nostra posizione politica? E se questa era stata la nostra posizione politica, perché non dovevamo farlo noi se la Sicilia, con un elettorato di centrodestra larghissimo, ha votato a larghissima maggioranza per il NO; perché non dovevamo farlo noi se la Calabria ha visto una provincia nella quale c'è stato il massimo del NO. Perché in fondo, giusto o sbagliato che sia, il referendum è apparso al Mezzogiorno come una minaccia.

    E noi siamo un partito nazionale, ma che ha delle radici ideali oltre che fisiche e geografiche (ce le abbiamo Nucara ed io) piantate solidamente nel Mezzogiorno, e perché ci dobbiamo distaccare dai nostri elettori? Perché avremmo dovuto? Io sono molto felice di aver detto NO perché sono in sintonia con la Calabria, con la Sicilia oltre che con il pensiero di una parte del paese che non è tutta fatta di prodiani, ma è fatta di gente che voterà il centrodestra, che non ama affatto il centrosinistra, ed è giusto così.

    Il problema, diceva ieri l'amico Pacor, è che il NO è un guaio perché blocca la riforma costituzionale. Al contrario ritengo proprio che il NO è un vantaggio perché blocca la riforma costituzionale.

    C'è una storia del Partito Repubblicano sulle questioni costituzionali, cari amici, che non ci possiamo dimenticare.

    C'è un libro di mio padre, curato da Spadolini, che si chiama "Difendiamo la Costituzione", apparso fra il 1982 e l'83.

    C'è una introduzione di Spadolini che dice: "Ma che c'entra con i problemi politici del paese la riforma della Costituzione, cosa c'entra!".

    E' il tentativo delle grandi forze politiche che non sanno governare quello di dire che la colpa non è loro ma è delle regole. Che bisogna mantenere le forze politiche ma cambiare le regole. No, noi diciamo: mantenere le regole e cambiare le forze politiche.

    Questa è stata la posizione storica del Partito Repubblicano, e non lo possiamo dimenticare.

    Noi siamo contro le modifiche costituzionali. Siamo per modeste modifiche costituzionali largamente convenute.

    C'è un saggio di mio padre del '72 in cui sostiene che "la costituzione si tocca solo a larghissima maggioranza".

    E quindi perché non dovevamo dire NO? Io in Parlamento non ho votato la riforma, come non votammo la pessima riforma del 2001, quella dei signori della sinistra, e perché non avendo votato in Parlamento dovevamo votare a favore nel referendum? Che ragione c'era di tutto questo?

    A mio avviso era ragionevole votare NO. Abbiamo discusso di questo. Francesco ha un'opinione diversa, io lo capisco, ma una volta che ci siamo formalizzati in un'opinione diversa mi sembra doverosa una scelta conseguente.

    Una volta Carlo De Benedetti si comprò una quota del Banco Ambrosiano che allora era del banchiere Calvi. Naturalmente "la Repubblica" scrisse che si trattava di una "importantissima operazione".

    Il vecchio Enrico Cuccia disse: "Qui uno dei due ha fatto un tragico errore, poi vedremo chi".

    Ora, in questa discussione sul referendum, tra Francesco e me, uno di noi due ha fatto un tragico errore, nel senso che abbiamo formalizzato una differenza di posizioni che è un punto importante.

    La Direzione ha dato ragione a questa scelta del SI ed io rispetto questa scelta ovviamente, ma ne debbo trarre le conseguenze.

    Il presidente del partito dovrebbe, per così dire, avere una posizione meno contestata di quella del segretario. Il segretario esprime la linea politica, il presidente dovrebbe esprimere l'unità degli ideali del partito, al di là della maggioranza.

    Prendiamo atto che la Direzione a larghissima maggioranza ha votato SI e quella è la posizione del Partito Repubblicano, chiaro.

    Il presidente avrà anche sbagliato a porre il problema, non doveva magari porlo se voleva rappresentare l'unità del partito, invece lo ha posto, avrà avuto ragione, avrà avuto torto, ed è dimissionario.

    Qui non si tratta di votare se accogliere le dimissioni. Il problema non è all'ordine del giorno. Potete scegliere una di queste due cose: siccome è opzionale nominare un presidente, ne fate un altro o aspettate e lo fate un'altra volta, questo è un vostro problema come Consiglio Nazionale.

    Certo il problema delle dimissioni di La Malfa, che ieri turbava l'amico Pugliese, non esiste. Tale problema è chiaro che è collegato alla relazione politica perché il segretario ha trattato insieme le due cose. Il problema delle dimissioni è già risolto prima dell'inizio di questo Consiglio Nazionale.

    E' evidente che non faccio il presidente del Consiglio Nazionale, perché ho fatto una proposta, la proposta è stata respinta e arrivederci.

    E mi fa piacere che abbia avuto ragione il segretario, nel voto, perché sarebbe stato addirittura più grave, se la Direzione Nazionale avesse detto NO. Se ne sarebbe andato il segretario, sarebbe un problema oggi, mentre la perdita del presidente, essendo una carica onorifica, per così dire, è meno grave.

    Lo Statuto repubblicano, che è saggio, non dice che bisogna avere per forza un presidente, quindi il problema è risolto, poi vedrete voi al termine del Consiglio Nazionale.

    Il ruolo dell'opposizione

    Vengo al partito e alle condizioni del partito. Io credo che si debba esprimere un apprezzamento a quel gruppo dirigente del partito che negli anni, dal '93 in avanti, in una situazione tremenda, è riuscito a fare sì che il simbolo del partito figuri ancora nelle liste elettorali. Anche se accompagnato da pochi voti, questo è un miracolo.

    In questo miracolo abbiamo avuto parte in tanti, compresi gli amici dell'opposizione che sono ancora nel partito. Lo dissi a Bari: meno male che c'è qualcuno che si oppone, perché vuol dire che il partito manterrà una dialettica che gli consentirà poi di andare avanti.

    Quando poi i partiti cambiano posizione devono trovare un riferimento. Se in tutti i partiti sono tutti al 100% unanimi, quando poi debbono cambiare strada che fanno, si suicidano come i samurai giapponesi? Ma se c'è una dialettica interna, quando si cambia posizione, questo può aiutare, si possono ricostituire delle maggioranze diverse dentro un partito e si va avanti.

    Ci hanno reso un enorme favore, in particolare gli amici della Romagna in questi anni, con tutte le difficoltà che abbiamo avuto. Nel corso di questi anni, non soltanto da quando è segretario ma anche da prima, da membro della direzione, e da segretario organizzativo, c'è stato un ruolo straordinario di Francesco Nucara.

    Questa è la mia opinione, lo era quando era segretario organizzativo. E' la ragione per la quale sostenni con lui, cercai di convincerlo, poi alla fine lo convinsi, a fare il segretario perché ritenevo fosse la persona migliore che potessimo avere come segretario del partito. E se qualcuno lo attacca io lo difendo, perché è evidente, non ha bisogno di pretoriani, questa è la mia opinione, nel senso che il partito, pochi o molti che siano questi risultati, quel poco o molto è merito del segretario del partito.

    Se fossero stati di più sarebbe stato meglio, quel che è giudichiamolo come ci pare, se è poco - ma certo che è poco - quel poco non è colpa del segretario del partito. Quel poco è merito del segretario del partito. Quello che sarebbe stato senza di lui sicuramente sarebbe stato meno. Questa è la mia opinione, che desidero esprimere chiaramente davanti al Consiglio Nazionale.

    Il mio giudizio su questi anni è questo: ovviamente, errori tanti. Errori miei, errori suoi, errori comuni, errori quasi tutti comuni, perché tranne questa volta (su cui abbiamo pensato diversamente su una cosa), il buono e il cattivo di questi anni è il frutto di una consultazione che il segretario ha fatto con il presidente e il presidente si assume tutte le responsabilità di avere convalidato le decisioni.

    Ma il partito c'è, c'è ancora. Del resto lo testimonia questa presenza vostra.

    Gli organi di un partito

    L'altro giorno un parlamentare di Forza Italia ridendo mi ha detto: "fate la scissione dell'atomo". Gli ho risposto: "Che cavolo parli tu! Voi non avete mai pensato, aspettate che vi dica Berlusconi quello che dovete pensare. Avete mai riunito un organo voi? Avete mai avuto un organo di partito che si chiama Direzione in cui qualcuno dice io farei così, l'altro dice no farei così, vediamo e votiamo. Voi sapete che esistono le votazioni degli organi di partito? No, credo che non abbiate mai avuto un organo di partito che si sia mai riunito se non per fare una cena con Berlusconi".

    Parlate a noi? Noi abbiamo un partito, sarà piccolo, sarà 50.000 voti, ma se un partito ha 200 persone che si pagano il viaggio per venire a Roma, per discutere, vuol dire c'è qualcosa di democratico nella vita italiana, che è questa roba qui, che non ce l'ha quasi nessuno.

    Ed è la ragione per la quale sarebbe un errore tragico chiuderla questa casa o lasciarla deperire. Allora ci accaniamo a difenderla, a cercare una prospettiva che è una cosa democratica, ma non crediate che gli altri partiti abbiano lo stesso tenore di democrazia interna. Immaginate l'Ulivo che si riunisce democraticamente? La ragione per cui non riescono a fare il Partito democratico è che non riescono a fare un organismo in cui deliberano, perché non hanno più organi democratici, per questo il Partito Repubblicano è unico ed è anche per questo che non bisogna cambiare la Costituzione.

    Perché la Costituzione ha un impianto proporzionale bicamerale, cioè di governo parlamentare e il governo parlamentare tendenzialmente richiede la proporzionale e fuori dalla proporzionale il PRI è morto, e allora noi dobbiamo difendere un impianto che consenta di esistere a un germoglio democratico, a una tradizione che difenda gli interessi nazionali; quindi per quale ragione dobbiamo andare alla grande riforma, che vuol dire la cancellazione delle forze politiche che non hanno avuto la responsabilità storica del degrado del paese? Vogliamo attribuire il degrado del paese alla Costituzione? E perché non l'attribuiamo ai sindacati o agli imprenditori o alla cultura del Partito comunista o dei cattolici? Cioè, vogliamo farci fregare da loro? Vogliamo interpretare la storia dicendo, come essi dicono: abbiamo governato, ma non è colpa nostra?

    Ritorno del proporzionale

    No, avete governato ed è colpa vostra, è la vostra cultura vecchia. Abbiamo colpa noi di non essere stati capaci di spiegarci, ma di essere addirittura incapaci di spiegarci noi stessi, di dire che bella cosa una sistema bipolare di cui o di qua o di là. Uno dei grandi meriti storici di Berlusconi è di aver riportato il proporzionale, e anche gli amici della più stretta ortodossia di opposizione del partito dovranno riconoscere (come sono sicuro che lo riconoscono, anche Savoldi) che un lascito così è importante. Sono certo che la politica estera del governo Berlusconi era altrettanto importante, anzi una cosa talmente importante, che ce ne accorgeremo.

    L'altro giorno sul "Corriere della Sera" Venturini (un editorialista che ha sempre votato repubblicano fino al '92 e che in questi anni ha fatto una campagna spietata per dire: "togliamo di mezzo Berlusconi, riandiamo a sinistra") ha scritto: "L'Italia rischia di perdere la faccia …". Io gli ho mandato una lettera privata perché lo conosco, dicendo: "Ma scusa, tu hai una responsabilità, hai fatto il tifo perché questi vincessero le elezioni. Hai detto che l'Italia era ridicola internazionalmente. Oggi l'Italia perde la faccia? Cioè non è in grado nemmeno di mandare i soldati sotto la bandiera dell'ONU, non dico della NATO, e dici l'Italia perde la faccia"?

    D'Alema ha detto a Condoleeza Rice, mi risulterebbe, che noi avremmo aumentato la presenza in Afghanistan e che avremmo mandato 6 caccia. Non li mandiamo invece, non li possiamo mandare perché la politica estera italiana scivola sulle posizioni pacifiste di Rifondazione ed del Pdci. Berlusconi ha portato l'onorevole Fini al Mausoleo di Gerusalemme, cioè ha portato la destra nazionalista ad inchinarsi davanti al popolo ebraico.

    L'onorevole D'Alema porterà l'Italia ad inchinarsi davanti alle bandiere di Hamas, amici repubblicani, ma lo volete capire che cosa sta succedendo nel paese o non lo volete capire?

    Allora non è vero, caro Savoldi: noi non è che dobbiamo dire che ormai è sciolta la Casa delle Libertà. Magari fosse possibile tenerla in vita perché l'Italia farà un passo indietro spaventoso, naturalmente in tutti i campi: i tassisti li liberalizziamo (anche se poi penso che molleranno su questa vicenda perché mi pare abbiano già fatto largamente marcia indietro); allora il partito deve lavorare su qualche altra cosa, e lavorando su qualche altra cosa ritrova la gente, la deve ritrovare fuori, non la deve ritrovare non per mancanza di simpatia dei vecchi amici che sono andati via perché quelli se vengono, figurarsi: tutto quello che si fa in questa direzione è utile, ma noi abbiamo bisogno di leve nuove.

    Un giovane amico

    Mi ha fatto piacere sentire la parola di questo giovane amico di Cesena che ha detto: "io non vengo da una tradizione repubblicana, faccio il segretario cittadino". E' un miracolo che ci sia una leva nuova. Un altro che ha detto, l'amico Colletto: "io vengo da una famiglia di democristiani, sono entrato nel Partito Repubblicano e ci sto bene".

    Questi sono quelli di cui abbiamo bisogno e dobbiamo andare a cercare, gente nuova, perché stiamo diventando vecchi.

    Non vorrei, come ha detto un amico, che invece di essere un vecchio partito della Repubblica, diventassimo un partito di vecchi repubblicani, perché questo stiamo diventando, vecchi, per l'età e anche per la voglia di impostare i problemi con coraggio.

    Allora bisogna riaprire il partito e trovare dei temi, quindi bisogna fare politica non perché bisogna andare in un altro schieramento, non bisogna andare vreso un altro schieramento (Savoldi non sono d'accordo con te, tu dici: tendenzialmente andiamo nel centrosinistra. Ma tu ti immagini, con la nostra forza straordinaria di 2 deputati alla Camera e 1 senatore, che contribuiamo a tenere il centrosinistra su una linea occidentale?).

    Non siamo riusciti a tenere in qualche modo il centrodestra sulla linea della liberalizzazione. Ieri Tremonti ha detto, ho letto in un'intervista: "Noi avevamo fatto l'agenda di Lisbona in cui le liberalizzazioni c'erano". Io non gli ho risposto; avrei dovuto dirgli: l'hai fermata tu, non io. Perché mi dicesti: tu sei matto, di questa roba non gliene frega niente a nessuno. Però poi, per polemizzare con la sinistra, oggi deve dire: "L'agenda di Lisbona è buona".

    Anche a Berlusconi, che ha detto che sono un traditore, non ho risposto. Lui mi ha telefonato dicendo: mi scuso molto, mi riferivo a Tabacci e Follini, ma io non gli ho risposto (c'è un tempo per tutto); né lo ha fatto "La Voce Repubblicana", e questo mi è dispiaciuto, avrebbe dovuto dire: "ma che cavolo dice il signor Berlusconi?". Comunque sono cose che poi vedremo, gli ho anche mandato una lettera e un giorno pubblicherò quella lettera a Berlusconi, spiegandogli in quante cose lo abbiamo aiutato.

    Quindi insomma c'è tempo … come posso dire, la vita è lunga, speriamo.

    Superamento del governo

    Allora cari amici bisogna rimettersi in movimento, non verso lo schieramento di centrosinistra ma verso il superamento di questo governo di Prodi che è un pericolo per il paese, che se si consolida farà un disastro per la vita italiana.

    E per far questo non abbiamo bisogno di un congresso; intanto perché non è urgente e in secondo luogo perché abbiamo già fissato questa posizione nel congresso ultimo.

    Perché se voi vi andate a vedere il dibattito congressuale, noi lì dicemmo che bisognava unire le parti serie delle due coalizioni e tagliare le ali, e per tagliare le ali ci voleva un sistema che non fosse bipolare nelle sue radici e quindi si torna alle questioni costituzionali di cui abbiamo parlato.

    L'abbiamo già detto nel congresso, voi ricordate la battuta che io feci allora dicendo bisogna riunire la famiglia Letta perché zio e nipote la pensano nello stesso modo, solo che uno è alleato di Bossi e l'altro è alleato di Bertinotti. Ve la ricordate questa battuta che facemmo al congresso, e che del resto era sostanzialmente condivisa perché il compito storico del PRI in questa fase era di cercare di evitare che la polarizzazione delle forze ci mandasse o troppo in una direzione se vincevano gli uni o troppo nell'altra direzione, se vincevano gli altri; e che quindi bisognava cercare di cucire le forze intermedie.

    Questa è la posizione del partito, lo è stata in passato e lo è nella lealtà, naturalmente, nella lealtà non nel tradimento. E' una posizione difficile perché è chiaro che dentro il centrodestra c'è la caccia al voltagabbana ecc., ma sono 40 anni che ce lo sentiamo dire.

    Il doppio binario fa parte delle ragioni per le quali i partiti piccoli rimangono piccoli, cioè fanno delle cose che naturalmente non sono popolari, non sono semplici, non sono comprese.

    Il congresso precedente

    Ma questo è quello che noi dobbiamo fare: non abbiamo bisogno di fissare una nuova linea. Ce l'abbiamo già, l'abbiamo preparata in anticipo con il congresso precedente.

    Si pone un altro problema e qui parlo all'amico Francesco Nucara. Ce l'hanno posto vari amici che non so come sono allineati dentro il PRI, maggioranza o opposizione, ma tu ed io, non tu e non io, ma tu ed io siamo ancora in questo momento nelle condizioni di guidare il partito in questa fase che è ben definita? O dobbiamo fare un passo indietro?

    Io sicuramente sì! Ieri un giovane amico di Anzio ha detto, grossomodo, riferendosi al presidente del partito dimissionario: "va be', togliti di mezzo". Sono 50 anni che sono qui in mezzo, ringrazio gli amici.

    Mi domando allora, se noi non dobbiamo fare, Francesco un passo indietro. Noi abbiamo fatto la politica del centrodestra, era faticosa, l'abbiamo fatta, ce la siamo presa sulle spalle, non tutto il partito ci è stato grato o ha capito fino in fondo quanta fatica. E ieri hai fatto bene a rivendicarlo, con quanta pazienza, con quanto amaro e quanto sapeva di sale il pane altrui quando salivi le scale di Palazzo Grazioli, hai fatto bene a ricordarlo perché gli amici forse non sanno quante umiliazioni subisce il segretario di un piccolo partito per difendere le ragioni del piccolo partito; e Nucara ne ha subite moltissime e siccome è meridionale come sono io, queste cose gli sono costate molto, anche se cerca di non farlo vedere.

    L'abbiamo fatto in questi anni, ma se dobbiamo guidare il partito in un'altra direzione, che non è un altro schieramento, perché se c'è questo equivoco non si riapre questa dialettica di cui parlava Morellini. Non si tratta di guidare il PRI nel centrosinistra, sarebbe l'ultimo degli errori da parte nostra, ma si tratta di cercare di vedere se si può salvare l'Italia dallo scivolare in un governo organicamente di sinistra su tutti i campi, dall'economia alla politica estera.

    Io non ho una simpatia istintiva per l'UDC, ma debbo dire che ho una certa ammirazione sulla faccenda dell'Afghanistan, ho apprezzato che Nucara cinque giorni fa abbia detto: "ma noi votiamo a favore del decreto sull'Afghanistan", perché era dissennato per il centrodestra dichiarare il voto contrario sull'Afghanistan. Noi abbiamo mandato i soldati lì, e possiamo votare contro il Parlamemento dopo che noi abbiamo votato per mandare i soldati in Afghanistan?

    Questioni internazionali

    No, non lo potevamo fare. Ieri finalmente Berlusconi ha detto: "Noi votiamo a favore". Ha avuto coraggio Casini, anche Nucara ha detto: io lo voto. Ma è così che deve essere fatto, quello è nostro dovere: votare sulle questioni internazionali se ci crediamo.

    Allora la mia domanda è questa: e la faccio con grande franchezza davanti al Consiglio Nazionale: ma non sarebbe meglio che io me ne vada da presidente perché gli amici non ne possono più? Oltretutto, Francesco, siccome noi siamo stati eletti dobbiamo essere grati al partito tu, io e Del Pennino; siamo stati per così dire garantiti da Forza Italia, ma questo ci pone un problema molto difficile. E' chiaro che non appena uno si allontana quelli dicono che siamo voltagabbana, o piangono la mancanza di gratitudine, ma se dobbiamo fare qualche atto, non di tradimento ma di autonomia, se dobbiamo prendere una iniziativa, se dobbiamo cercare dei giovani, forse non siamo né tu, né io, né Del Pennino nelle condizioni di guidare il partito in questa posizione.

    Quindi la mia opinione è che dobbiamo fare un piccolo passo indietro, per cercare di trovare delle energie nuove; ci sono queste energie nel partito? Io spero di sì, qualcuno l'ho sentito ieri, l'amico Ferrini mi ha allargato il cuore sentirlo, anche l'amico di Anzio, qualche giovane che parla un linguaggio diverso dal nostro, insomma il nuovo c'è e allora vediamo se riusciamo ad intercettarlo e a dargli spazio. E non serve un congresso, perché il PRI fissa la sua linea politica nei congressi. Qui non si tratta di cambiare la linea politica, e come vedete la mia linea politica non è diversa.

    Fase di riflessione

    Io pongo questo problema, non lo possiamo certo risolvere oggi, ma il mio consiglio è di risolverlo presto, cioè verso settembre, ottobre, in modo più costruttivo, trovando una strada, perché il partito questa possibilità ce l'ha, questa sala mi incoraggia, vuol dire che la gente sente qualche cosa. E sono sicuro che, se ci sono 200 amici in sala, ce ne sarà qualche migliaio, che può arrivare in Italia, che è interessato alla linea politica.

    Quindi io direi: apriamo una fase di riflessione, di questo genere, consideratemi una riserva, questa posizione è libera, occupatela, o la occupate oggi, o la tenete ferma. Vediamo se non dobbiamo fare un passo, Francesco. "Ma il partito ha tanti problemi, anche finanziari", si dice. Ed io dico: ma siccome li abbiamo risolti noi, li hai risolti tu, li risolverà l'amico Ferrini o chi sarà il segretario del partito, cioè si vada avanti comunque.

    Cari amici, questo è quello che volevo dirvi con grande affetto; qualche amico molto prudente ha detto: "stiamo attenti, abbiamo bisogno di tempo", e così via. C'è un verso di Goethe che dice così: "Ci vogliono giorni, passano anni".

    Ecco, io non vorrei che succedesse questo al nostro partito.

 

 

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