Considerazioni generali su una piattaforma unitaria per i repubblicani
Le voci che si sono levate fino ad oggi sulla questione repubblicana, la mia tra queste, hanno ripetutamente denunciato la crisi in cui versa il nostro filone ideale nella sua interezza. Crisi rappresentata non dal venir meno di ragioni valoriali, tutt’oggi valide e attuali, ma dall’esiguità dei numeri e dalle conseguenze dispersive della diaspora.
Dopo tanto recriminare e tanto disquisire su cause ed effetti, oggi credo sia venuto il momento di avviare una riflessione ulteriore, che prenda le mosse dal disagio che si è diffuso in questi anni, per riconvertirlo in positivo. E’ il caso di chiedersi, cioè, se gli eventi che hanno caratterizzato la storia dei repubblicani negli ultimi dodici anni, non possano oggi offrire anche un arricchimento, una ragione per evolversi, per emancipare una cultura politica rimasta troppo a lungo figlia e custode del proprio passato.
Questo non solo per riscattare un sentimento di sconfitta politica (politica, non ideale), e non tanto per assolvere un recente passato che di tutto ha bisogno, meno che di essere riabilitato, ma perché è solo prendendo atto di ciò che ogni realtà repubblicana rappresenta oggi, in ogni sua particolare specificità, che possiamo pensare di ricostruire.
E dunque, un filo virtuoso va ricercato e tessuto.
Oggi osserviamo tre grandi filoni residui, in cui si è smembrata la proposta politica repubblicana.
Il primo è quello del partito storico, che pur perdendo terreno su questioni basilari legate alla sensibilità democratica e istituzionale (vedi l’alleanza con la destra della Lega e di Forza Italia, nonché la scarna difesa delle istituzioni e della Costituzione), ha comunque segnato una continuità col passato distinguendosi su molti temi specifici (politica estera, politica energetica, economia, laicità dello Stato) e su uno stile puntuto e rigoroso, pur nei limiti del basso profilo dei compromessi cui si è piegato.
Se sotto molti aspetti il PRI appare oggi irrigidito, se non sclerotizzato su posizioni di retroguardia, ad esso va comunque il merito di aver garantito una continuità nello stile, nel costume, nella specificità politica, nella struttura organizzativa, oltre che nel marchio di fabbrica. La tenacia e la fermezza con cui è stata difesa la sopravvivenza di un simbolo, anche da parte della radicale dissidenza interna, sono note di merito che vanno riconosciute, e che ci consegnano formalmente integro un bagaglio evocativo indiscutibile.
Il secondo filone è rappresentato dai Repubblicani Europei. Un movimento ricreato quasi dal nulla, che ha dovuto reinventare un modo per strutturarsi, crescere, produrre proposte politiche. Se il bipolarismo ha costretto il PRI a far degenerare una vocazione elitaria ma di progresso, in un surrogato appena più presentabile della destra liberista e neoconservatrice, sull’altro versante ha obbligato un movimento appena nato e sprovvisto di una solida guida ideale, a ripiegare su terreni politici nuovi e poco familiari, appannaggio delle forze cattolico-progressiste e “riformiste” (uso di proposito questo neologismo di matrice socialista), ma anche a rispolverare le proprie radici storiche mazziniane, quale propria credenziale di sinistra e quale valore aggiunto, specifico e qualificante.
Se l’appiattimento sul versante catto-riformista resta tutt’oggi un fattore ambiguo e politicamente debole, non è da sottovalutare invece il recupero di un dibattito approfondito sul mazzinianesimo e sul repubblicanesimo, che ha prodotto in molti casi lo sviluppo di una cultura ritrovata e rinnovata (Maurizio Viroli ne è un esempio brillante) anche e soprattutto nella militanza di base.
Il terzo filone è quello della Sinistra Repubblicana. Il percorso di questa componente è stato, per certi versi e al di là di qualunque giudizio polemico sulle motivazioni, il più coerente nei contenuti e il meno coerente nelle scelte. Nel senso che gli esponenti repubblicani che hanno dato corpo alla Sinistra Repubblicana erano anche quelli che meglio incarnavano gli ideali laici e liberaldemocratici di una forza di progresso, ma hanno preferito riversarli in un contenitore diverso, per contribuire all’evoluzione di una cultura estranea alla nostra. L’operazione è riuscita parzialmente, ma a scapito della componente stessa, che è rimasta svuotata della propria missione e infine disarcionata.
Se la Sinistra Repubblicana è oggi allo sbando, invischiata in questioni di partito avulse dal nostro mondo, essa ha però conservato la propria matrice laica e liberaldemocratica, modernizzandola in senso fortemente progressista e solidale, grazie alla mutuazione con l’ambiente diessino.
Dunque appare chiaro che al di là di ogni male, la diaspora ha potuto fornire nel suo insieme elementi di ricchezza. Perché ha consentito a ciascuno di questi filoni di sviluppare autonomamente ma con profitto diversi aspetti complementari della cultura repubblicana, che un solo partito avrebbe sicuramente compresso e sacrificato alle proprie esigenze: la tradizione dei simboli, del rigore e della ragione del Pri; il neorepubblicanesimo e le origini mazziniane del Mre; la cultura laica, liberaldemocratica e di progresso civile della Sinistra Repubblicana.
Questi ingredienti possono costituire naturalmente l'ossatura di una ritrovata forza repubblicana della sinistra democratica.
Resta solo da trovare una formula magica che li rimetta insieme. Questa formula ha un nome: volontà unitaria.
Due parole semplici e allo stesso tempo terribilmente complesse.