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    Brigante del 3° Millennio
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    Predefinito [per stomaci forti] Il dibattito su AN che cambia

    da www.ilgiornale.it


    Ecco qual è il partito che vorrei
    di Giordano Bruno Guerri

    Spesso i grandi cambiamenti della storia si manifestano con piccoli simboli, all'apparenza insignificanti, come la scomparsa di un semplice trattino. È il caso della volontà manifestata da Gianfranco Fini di riformare Alleanza nazionale portandola verso il Partito Popolare europeo e verso un partito unico del centrodestra: senza trattino, giustamente, perché in un sistema bipolare l'elettore deve potersi riconoscere in una coalizione omogenea, non divisa al suo interno in un centro e una destra. La divisione è fonte perenne di conflitti spesso insanabili, come accade nel centro-sinistra, che del trattino non può e non potrà mai fare a meno e che anzi di trattini ne ha – in realtà – due, a tentare di tenere unite le sue tre anime di centro-sinistra-ultrasinistra. Ciò detto, è evidente che An, prima di confluire in un partito unico di centrodestra, dovrà ridefinire la sua anima, l'essenza della sua politica. La quale non potrà che essere di destra, per distinguersi dagli altri partiti della coalizione, in particolare da Forza Italia, per sua natura attratta dal centro; e per conservare, ampliandolo, il proprio bacino elettorale. Ma quella di An dovrà essere una destra davvero liberale, liberista e anche libertaria per distinguersi da quella più conservatrice e tradizionale, che non può rientrare nel progetto di un centrodestra senza trattino. Obiettivi non semplici, ma che Fini ha indirizzato bene parlando di un partito il quale deve trovare un suo punto di convergenza “tra cultura nazionale cattolica e socialismo riformista”; che sia capace di “rappresentare un'area vasta e plurale di culture e sensibilità diverse”; che pensi “al cittadino come persona, non solo come consumatore o lavoratore”: infatti le motivazioni “che spingono una persona a fare o non fare alcune cose non sono solo di natura economica”, c'è nella destra “un'identità più profonda e quindi un senso etico della vita, spirituale o anche religioso”. Tutto ciò si riassume nel motto, che l'intero centrodestra dovrebbe avere sempre presente, “Meno Stato, più individuo”. Il primo consiglio in questa direzione che darei a Fini, è di non usare il termine “persona”, logoro e indistinto, ma quello ben più forte e preciso di “individuo”: un soggetto unico e non confondibile con la genericità della “persona”. Chi è di destra, del resto, si riconosce in uno Stato che sia una libera associazione di esseri umani e in cui il cittadino mantenga la propria, preziosa individualità. Essere individui non significa necessariamente essere individualisti, anche se Fini ha ragione quando vede nel mondo culturale della destra un tasso di individualismo superiore a quello della sinistra. La rivoluzione copernicana che il centrodestra italiano, e An in particolare, devono attuare, consisterà nel non vedere più in questo individualismo una fonte di divisione e di indisciplina, bensì una preziosa miniera di idee e di stimoli da valorizzare e utilizzare. Il ruolo di un intellettuale, a destra, non può e non deve essere organico a un partito. Al contrario, deve consistere in un libero e illimitato esercizio di critica e di formazione di nuove idee, che i partiti poi accetteranno in tutto o in parte, mediandole con le esigenze della politica, ma senza assumere l'aria di vergini offese di fronte a ogni difformità di interpretazione del mondo. Più sarà ampia e generosa la capacità di An di proteggere e stimolare l'esercizio della critica individuale, più riceverà dagli intellettuali di destra – pochi e non “organici”, ma vitalissimi – quegli stimoli senza i quali nessun partito, nessuna forza sociale può cambiare, crescere, evolversi.Un secondo punto che dovrebbe caratterizzare la nuova An è trovare un modo chiaro e lineare di essere in Occidente, ovvero con gli Stati Uniti e in Europa. Stare con gli Stati Uniti non significa rinunciare alle caratteristiche antiche della nostra cultura e del nostro popolo, che anzi vanno valorizzate e difese: però in questa fase di confronto (se non si vuole adottare il termine più proprio di “scontro”) fra civiltà e culture, An deve abbandonare quel diffuso stato d'animo antiamericano che c'è in molti suoi quadri, più che alla sua base; un sentimento che ha le sue radici, neanche tanto nascoste, nel vecchio Movimento sociale e quindi prima ancora nel fascismo. Oggi tutto ciò non ha più ragione di essere, anzi costituisce una palla al piede per il partito. Come per il discorso sugli intellettuali, An deve poter “prendere” dagli Stati Uniti quello che le occorre per essere una destra moderna e internazionale, senza accettazioni supine ma anche senza preclusioni aprioristiche. Paradossalmente, poi, un partito di destra dal pensiero e dalle caratteristiche proprie, internazionale ma attento ai valori nazionali, deve essere più guardingo verso l'Europa unita che verso gli Usa: gli Stati Uniti infatti ci propongono modelli e comportamenti che siamo liberi di accettare o no, mentre l'Ue procede con sempre maggiore determinazione verso un livellamento – e poi un annullamento – di tutte le identità nazionali. Nessun grande partito, finora, ha mostrato di rendersene conto: a sinistra anzi si va con esultanza verso un appiattimento dei popoli, che sostituisce quello marxista sugli individui, e verso una comunistica visione della vita basata sull'economia dirigista. Se il vecchio Movimento Sociale e la giovane An avevano un timore sacro di prendere le distanze dall'Unione Europea, per la giustificata paura di essere tacciate di nostalgie nazionaliste di stampo fascista, oggi questa paura non ha più ragione d'essere. E a destra c'è un enorme bacino di voti (perché c'è un bisogno reale) per chi saprà difendere le caratteristiche, i bisogni, gli orgogli e – lo si dica in modo chiaro – anche gli “egoismi” nazionali dalla voracità di un'Europa che procede a velocità folle verso la massificazione dei popoli e l'annullamento sostanziale dei singoli Stati. Quanto alle politiche sociali, il modello di una destra nuova mi sembra ben tracciato da Fini quando sostiene, a proposito di Pacs, che bisogna garantire diritti normativi, fiscali e di successione anche alle coppie di fatto, senza per questo dover riconoscere loro tutto, compresa l'adozione e la fecondazione assistita. O quando Fini dichiara che occorre “conciliare identità e integrazione nella consapevolezza che il melting pot appartiene ad un'altra cultura, ad un altro continente”. Tenuti fermi questi punti, tutto si dovrà discutere di volta in volta, a partire per esempio dal voto amministrativo per gli immigrati: senza schemi rigidi e precostituiti, inaccettabili in società in veloce trasformazione; e essendo sempre pronti a riconoscere, senza negarlo a priori, che anche a sinistra ci possono essere buone idee, ancorché da discutere, adattare e migliorare prima di farle proprie. L'An che vorrei, in definitiva, non è quella del Gianfranco Fini per il quale tutte le droghe sono uguali, senza possibilità di distinguo, ma è quella del Fini che ha il coraggio di rivedere le proprie posizioni sulla legge per la fecondazione assistita, senza arroccamenti culturali, sociali e confessionali. Solo così An saprà darsi la caratteristica che, per ammissione del suo stesso leader, non ha saputo darsi: e senza la quale è destinata a insterilirsi nella conservazione e nel conservatorismo fine a se stesso: “Un'immagine culturale capace di far sognare”. An, negli ultimi anni, è stata stordita dal potere conquistato: da qui la questione morale, che c'è – eccome – anche al suo interno. Ora si deve inebriare di cambiamento e di aperture per riconquistare, prima che il potere, i suoi elettori tradizionali e i molti che potrebbero aderire al progetto di una destra davvero nuova, davvero di destra.


    I nuovi conservatori liberali
    di Marcello Pera*
    Caro direttore, quasi quasi meritava perdere le elezioni per sentire finalmente un leader del centrodestra parlare di strategia politica, di identità di partito, di collocazione ideale, di prospettive. Che superasse la sindrome della vittoria scippata. Che facesse capire che la sconfitta elettorale non è solo colpa di ventiquattromila voti rubati di notte. E che dichiarasse, più o meno apertamente, che bisogna ricominciare da capo, con idee finalmente chiare e definizioni finalmente precise di che cosa la destra è e deve essere. Nel silenzio sempre più incomprensibile degli altri, vi ha provveduto Gianfranco Fini con il suo discorso al Consiglio Nazionale del suo partito. Spero che sia l'inizio di un dibattito interno a tutta la ex-Casa delle libertà. E spero che abbia successo, perché solo con quel genere di discorso la Casa delle libertà può finalmente uscire dal limbo di una coalizione che una volta vince e un'altra perde, ma sempre dando la sensazione di provvisorietà, fragilità, transitorietà. Fini sa bene che la vittoria della sinistra è stata occasionale e fortuita, perché la sinistra è in ritardo tragico e irrimediabile con la storia. Ma proprio per questo, Fini sa anche che la destra non avrebbe neppure dovuto correre il rischio di perdere le elezioni se solo avesse riflettuto meglio su se stessa e agito di più sulla propria identità politica e programmatica, senza la quale anche la migliore azione di governo si perde in mille rivoli senza uno sbocco comune ben definito. Per ricominciare e tornare a governare, Fini propone una formula, «l'alleanza fra produttori di reddito e produttori di valori». Poiché ho detto più volte la stessa cosa, sia pure con formule e terminologie diverse, vorrei commentare il discorso di Fini per contribuire al dibattito da lui iniziato. Userò le sue parole, ma mi avvarrò del mio armamentario concettuale. I produttori di reddito sono «operai, piccoli e medi imprenditori, artigiani, professionisti, agricoltori, commercianti». In genere, sono tutti coloro che intendono essere protagonisti di sé, quelli che, per professione e attitudine, non affidano più il proprio destino ad uno stipendio o salario ottenuto, ma ad un reddito prodotto, e che perciò intendono essere più attori che rischiano che percettori che consumano. I produttori di valori sono tutte le famiglie e le persone che, in una società che è cambiata in fretta, ha disgregato antichi legami e sta perdendo nuove sfide etiche, pongono il problema della loro sopravvivenza e riaffermano con consapevolezza il primato del loro valore sulla massa, sulla società e sullo Stato. Di che cosa hanno bisogno queste due categorie di soggetti? Gli uni, i produttori di reddito, hanno bisogno di «più Stato e meno lacci», cioè più cornice di regole generali per gli attori del gioco produttivo e meno vincoli alle loro iniziative individuali. Inoltre, e di conseguenza, hanno bisogno di «più servizi e meno assistenza», proprio perché essi, volendo essere soggetti protagonisti, rifiutano di sottostare alla guida dello Stato pervasivo e occhiuto, inevitabilmente inefficiente e vessatorio. Infine, e sempre come conseguenza, questi soggetti hanno bisogno di «più privatizzazioni e liberalizzazioni». La conclusione è che i produttori di reddito intendono superare il welfare state e realizzare la welfare community. La differenza fra i due concetti è enorme: nel welfare state il soggetto è destinatario di un'assistenza; nella welfare community il produttore di reddito è protagonista di un'iniziativa. Il concetto che marca questa differenza, sia rispetto allo statalismo che al liberalismo classico, è quello della sussidiarietà, la quale, attenzione, è un metodo e non il contenuto di una politica. Quanto ai produttori di valori, essi hanno bisogno di cose meno palpabili ma, se possibile, assai più importanti. Hanno bisogno di politiche di identità, in un mondo, specie quello europeo, che crepa di relativismo. Hanno bisogno di politiche di integrazione fondate «sulla accettazione dei valori della nostra società», in un'Europa in cui il relativismo etico sta sciaguratamente trasformando il fenomeno crescente della multiculturalità nell'ideologia perversa del multiculturalismo senza identità (cioè «meticcio», per usare la formula gradita ai benpensanti). E perciò hanno bisogno, questi produttori e al tempo stesso portatori di valori, di politiche della famiglia, della vita, della dignità della persona, tutte cose che l'Europa dei matrimoni omosessuali, dell'eutanasia, dell'eugenetica, delle sperimentazioni sugli embrioni, sta disgraziatamente perdendo, sotto lo sguardo angosciato di Benedetto XVI e purtroppo sotto quello spesso troppo compassato della stessa Chiesa cattolica. Cerchiamo ora di dare un nome alle cose. I produttori di reddito hanno bisogno di più liberalismo sociale. I produttori di valori hanno bisogno di più conservatorismo morale. La somma è che un partito che voglia rappresentare gli uni e gli altri deve essere un partito conservatore liberale. Conservatore sui princìpi della nostra tradizione, quella giudaico-cristiana, e liberale sulle politiche delle riforme economiche. Conservatore sui valori da cui dipende la nostra identità, liberale quanto a tutte le libertà compatibili con questi valori. Insomma, conservatore sull'eredità dei nostri padri, liberali quanto alle opportunità dei nostri figli. Rispetto al mondo largo non c'è quasi niente di nuovo: il partito che ha in mente Fini è quello della Thatcher delle virtù vittoriane, di Blair quando ha seguito la Thatcher, di Cameron che sta aggiornando Blair, di Bush che ha seguito Reagan e ascoltato i neoconservatori, di Aznar soprattutto quando ha rimeditato sulle ragioni non occasionali della sua sconfitta, di Koizumi quando ha rinnovato il suo partito, di Sarkozy quando promette di superare il laicismo repubblicano e giacobino. Molto di nuovo invece per l'Italia, perché pressoché mai da noi la destra, anche quella liberale attenta ai produttori di reddito ma spesso insensibile ai produttori di valori, ha pensato alla propria identità in termini così sistematici. Un partito siffatto si colloca in Europa e nel Partito popolare europeo. Con due avvertenze, però. La prima, dice Fini, che oggi «l'Europa è impaurita, ripiegata su se stessa, disorientata e frammentata» per cui «l'Italia non può più affidarsi solo all'Europa, ma deve contribuire a rifarla». La seconda, che Fini però non dice, è che lo stesso Partito popolare europeo è oggi in buona parte da rifare, affetto com'è, in alcune sue componenti soprattutto tedesche, da residui assistenzialisti poco attraenti per i produttori di reddito, e, in genere, incline a cedevolezze multiculturaliste, relativiste e laiciste, e perciò poco appetibile ai produttori di valori. Ma la collocazione è corretta, perché è corretto il criterio. Si tratta di fare una «scelta di civiltà», che giustamente Fini definisce come una «questione etica», e, coerentemente, di rinsaldare il «legame transatlantico», il quale «non si limita a ribadire il valore delle alleanze ma si fonda su un comune sentire dell'Occidente». Parole sante e inizio promettente, anche se non sono sicuro che il mio armamentario concettuale abbia tradotto correttamente il discorso di Fini. Comunque, molto meglio il suo discorso di tante chiacchiere sul neocentrismo, sui sussidi a Prodi, sulle grandi coalizioni, per non dire delle correnti e delle ambizioni personali di questo o quel colonnello disoccupato. Fini ha parlato e non solo ad Alleanza Nazionale. Quando, si spera molto presto, parleranno anche gli altri, primo fra tutti il leader del centrodestra, il terreno del confronto politico sarà quello. Come vede, caro direttore, perdere le elezioni non è poi una grande sciagura se si capisce perché e si ha chiaro il come ricominciare.
    Conosci il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna

  2. #2
    Super Troll
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandro
    da www.ilgiornale.it


    Ecco qual è il partito che vorrei
    di Giordano Bruno Guerri

    Ciò detto, è evidente che An, prima di confluire in un partito unico di centrodestra, dovrà ridefinire la sua anima, l'essenza della sua politica. La quale non potrà che essere di destra, per distinguersi dagli altri partiti della coalizione, in particolare da Forza Italia, per sua natura attratta dal centro; e per conservare, ampliandolo, il proprio bacino elettorale. Ma quella di An dovrà essere una destra davvero liberale, liberista e anche libertaria per distinguersi da quella più conservatrice e tradizionale, che non può rientrare nel progetto di un centrodestra senza trattino.

    .
    Credo che al dilà di tutto Giordano Bruno Guerri abbia dato una perfetta definizione della linea politica a cui vorrebbe tendere Fini: la trasformazione completa in un partito liberale moderato e un po' neocentrista ma anche vicino ad una parte delle idee dei progressisti magari in forma un po' annaquata(il voto amministrativo agli immigrati senza cittadinanza e i PACS in versione "leggera"). Il progetto è lontano anni luce dalle mie idee politiche (e credo da quelle di molti altri forumisti)per cui penso che gli si possa tranquillamente augurare di andare avanti coi suoi progetti, basta solo che lo faccia alla luce del sole e senza i soliti infingimenti furbeschi.

  3. #3
    DaBak
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    Il problema non è AN. Il problema è tutta quella marmaglia di militanti che, anche in buona fede (non metto in dubbio), pensa che il partito sia ancora quello dei camerati. Basta vedere i siti di Azione Giovani: non credo che Degrelle, Codreanu, Jose Antonio, Bobby Sands siano dei liberal-liberisti...

  4. #4
    Super Troll
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    Citazione Originariamente Scritto da DaBak
    Il problema non è AN. Il problema è tutta quella marmaglia di militanti che, anche in buona fede (non metto in dubbio), pensa che il partito sia ancora quello dei camerati. Basta vedere i siti di Azione Giovani: non credo che Degrelle, Codreanu, Jose Antonio, Bobby Sands siano dei liberal-liberisti...
    Infatti credo che Fini farebbe sarebbe molto più onesto (e scioglierebbe le residue ambiguità politiche) se a questo punto contemporaneamente alle nuova linea politica proponesse di cambiare il nome di Alleanza Nazionale in partito liberale.

  5. #5
    civis_romanus
    Ospite

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    Citazione Originariamente Scritto da DaBak
    Il problema non è AN. Il problema è tutta quella marmaglia di militanti che, anche in buona fede (non metto in dubbio), pensa che il partito sia ancora quello dei camerati. Basta vedere i siti di Azione Giovani: non credo che Degrelle, Codreanu, Jose Antonio, Bobby Sands siano dei liberal-liberisti...
    Per una volta concordo al 100% con DaBAk !

  6. #6
    lorenzo v.
    Ospite

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    Citazione Originariamente Scritto da DaBak
    Il problema non è AN. Il problema è tutta quella marmaglia di militanti che, anche in buona fede (non metto in dubbio), pensa che il partito sia ancora quello dei camerati. Basta vedere i siti di Azione Giovani: non credo che Degrelle, Codreanu, Jose Antonio, Bobby Sands siano dei liberal-liberisti...


    SBAGLIATO ,IL PROBLEMA SONO GLI ITAGLIANI

  7. #7
    Nimmo
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    Il cammmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmerata Alemanno ha appoggiato la linea Fini.

  8. #8
    Terzo Incomodo
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    ..e il mio maestro m'insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire..
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    Dentro AN è un casino.Fini ha mollato il partito già da parecchio ormai.Vuole"superarlo" e coloro i quali hanno giocato a "bloccarlo" cercando si ergersi a responsabili dell'area più sana sono stati non premiati dal leader ma ricoperti d'oro...Giovani e vecchi...

  9. #9
    lorenzo v.
    Ospite

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    quindi torna la questione morale?

  10. #10
    DaBak
    Ospite

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    Citazione Originariamente Scritto da civis_romanus
    Per una volta concordo al 100% con DaBAk !
    Commosso!!!

 

 
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