Effetti collaterali sgraditi
Maurizio Blondet
26/07/2006
Il grande condottiero militare del Libano Michel Aoun.
LIBANO -Notevole il sermone che Muktada al-Sadr, il giovane imam sciita iracheno e capo della temibile «armata Mehdi» ha tenuto a Kufa venerdì scorso: «Continuerò a difendere i miei fratelli sciiti e sunniti, e dico loro: se ci uniamo, sconfiggeremo Israele, e senza armi». (1)
E' un effetto collaterale imprevisto del brutale attacco israeliano in Libano, e della fiera resistenza che continuano ad opporre gli Hezbollah: emerge uno spirito di resistenza che tende a superare le divisioni settarie.
Un effetto sgradito, se si pensa agli sforzi che americani, Mossad e sauditi (coi loro «Al-Zarkawi» e squadre di massacratori di sciiti) hanno fatto per scatenare la guerra civile irachena.
Invece, nel povero lacerato parlamento-fantoccio di Baghdad, è accaduto l'inaudito: sciiti, sunniti e curdi hanno votato unanimi una mozione di condanna ad Israele con la richiesta di un cessate il fuoco.
In visita a Washington, il primo ministro iracheno-fantoccio Nuri Al-Maliki si è rifiutato di definire gli Hezbollah «terroristi»: fantoccio, ma sciita e coraggioso uomo d'onore.
Quanto ad Al Sistani, il grande ayatollah, ha emanato una fatwa contro Israele.
Avviene lo stesso in Libano.
Israele, distruggendo le infrastrutture di tutti e infliggendo perdite umane ai libanesi incolpevoli, sperava di coalizzare le altre denominazioni, specie i maroniti, contro i provocatori Hezbollah.
Al contrario; il generale Michel Aoun, tornato da 14 anni di esilio ed ora capo del terzo partito libanese, cristiano da tutti rispettato perché guidò la resistenza contro la Siria, ha ordinato a chiese, parrocchie e conventi di aprire le porte ai profughi sciiti in fuga dal sud, in quanto concittadini nel bisogno.
Aoun si è alleato politicamente con gli sciiti in una visione generosamente nazionale.
«Un Libano unito deve includere gli Hezbollah perché sono parte integrante del nostro popolo», ha detto ad Al-Jazeera (2).
Non a caso il suo partito si chiama Libero Movimento Patriottico.
«Vogliamo creare insieme alla gente una cultura a-confessionale, in modo che sia il popolo a richiederla, affrontando i capi religiosi che la rifiutano», dice il programma del partito.
Negli anni '80, l'OLP coi suoi profughi palestinesi riparati in Libano non ebbe certo l'appoggio dei cristiani.
Fu facile a Giuda aizzare i capi-milizia maroniti contro questi stranieri, fino alla strage di Sabra e Shatila e all'espulsione delll'OLP.
Ma gli Hezbollah non sono stranieri.
Sono libanesi.
Gli sciiti, il 40% della popolazione, confidano in Hezbollah come partito politico e organizzazione sociale efficiente, che si prende cura degli orfani, vecchi e invalidi.
Il partito di Nasrallah ha deputati e ministri.
Qui la differenza.
Ancor più fa la differenza la fiera e ben organizzata resistenza che i guerriglieri Hezbollah continuano ad opporre all'esercito israeliano, anche dopo due settimane di bombardamenti incessanti.
Una delle armate più potenti del pianeta non riesce a piegare forse meno di 5 mila combattenti, letteralmente incastrati nel terreno - la loro terra - in cunicoli e bunker, sorprendentemente ben addestrati e forniti di mortai ed armi anticarro, coraggiosi e animati dallo spirito sciita del martirio.
La rivista Jane's ha paragonato gli Hezbollah ai Vietcong.
Ma hanno appreso qualche lezione anche dai ceceni, il solo altro gruppo guerrigliero che si è mostrato capace di affrontare tenacemente un esercito potente.
Per il «glorioso» Tsahal, troppo abituato a «vincere» a Gaza contro ragazzini armati di pietre e militanti armati di kalashnikov, mal riforniti e non addestrati alla guerriglia, è stata un'amara sorpresa.
«E' guerra vera», ha detto il comandante di un gruppo corazzato isareliano di ritorno con un carico di feriti.
«Quasi tutti i nostri mezzi sono stati bucati», ha detto un infermiere sionista.
Gli Hezbollah hanno missili anticarro capaci di neutralizzare un carro armato Merkavah.
Nelle facce esauste dei soldatini israeliani, l'inviato del Times ha visto la paura.
Il generale Shuki Shachar, vicecomandante ebreo delle forze del nord, ha ammesso:
«Non voglio dare voti al nemico, ma questi combattono. Non scappano». Naturalmente ha aggiunto: «Sono fanatici, altamente motivati».
Giora Eiland, già capo del Consiglio di Sicurezza nazionale d'Israele, dubita perfino della saggezza della penetrazione terrestre di Tsahal: «Il prezzo di questa azione sarà alto, la sua efficacia bassa». (3)
S'intende che alla fine la potenza di fuoco e la brutalità senza limiti di Tsahal avrà la meglio.
Ma intanto, la resistenza imprevista rallenta il piano di una liquidazione di Hezbollah «in tre settimane», che fu presentato un anno fa dagli israeliani, con tanto di presentazione PowerPoint, a giornalisti, diplomatici e analisti USA.
E ogni giorno in più che passa, aumenta la legittimità di Hezbollah - che si va configurando come un vero esercito nazionale libanese - e la sua reputazione presso le piazze arabe, non abituate a vedere qualcuno dei loro che resiste con tanto successo agli ebrei.
Nasrallah, il capo, viene continuamente intervistato dalle TV islamiche, e diventa di ora in ora più popolare.
Anzi, si va profilando come un incubo per i tiranni musulmani filo-americani (o loro servi) come i sauditi e i giordani, che sono sunniti: perché Nasrallah è sciita, e la sua stella sorgente evoca la possibilità di un'egemonia unificante sciita - iraniana - nel mondo musulmano.
Il discorso di Al-Sadr e il coraggioso rifiuto di Al-Maliki di condannare Hezbollah di fronte a Bush dice che proprio questo può avvenire in Iraq.
Il risultato può essere un'estensione di guerriglie asimmetriche sferrate da entità non-statali e quasi invisibili (come gli Hezbollah sul loro terreno) capaci di ritorsioni sanguinose alle aggressioni.
Per contro, il tempo che passa non è a favore di Israele.
Nonostante gli sforzi dei suoi servi nei media euro-americani, la sua guerra unilaterale rivela ogni giorno di più la sua criminosa atrocità.
L'uccisione di quattro osservatori ONU nel Libano meridionale è stata definita «deliberata» da Kofi Annan, e non l'hanno fatto gli Hezbollah, ma l'aviazione ebraica.
E benchè i media occidentali ne tacciano, tutti i media arabi riportano sempre più chiari indizi di come l'attacco israeliano al Libano sia stato deliberato, progettato in anticipo e non provocato. L'agenzia SANA, ad esempio, riferisce di una rete di spie israeliane smantellata in Libano: «Membri della rete, forniti di apparati tecnici e di comunicazione avanzati, selezionavano bersagli nei sobborghi meridionali di Beirut 'illuminandoli' per guidare su di essi gli aerei d'Israele», scrive il giornale libanese A-Safir».
E aggiunge: «Uno dei capi dei questa rete, sotto interrogatorio, ha confessato che Israele aveva messo in allarme le cellule dormienti in Libano quattro giorni prima dell'arresto dei due soldati israeliani, fornendo loro direttive e gli apparati tecnologici per illuminare i bersagli». (4)
Dunque «quattro giorni prima» del cosiddetto attacco proditorio in cui Hezbollah avrebbe «rapito» due innocenti soldatini di Tsahal, pretesto della risposta «sproporzionata» israeliana.
I nostri giornalisti noachici potranno tacere questo genere di notizie.
Ma ogni giorno che passa, Israele che carbonizza bambini e uccide caschi blu perde un po' di credibilità morale; la sua pretesa di essere stata provocata perde legittimità.
Le opinioni pubbliche musulmane sanno ormai, dalle loro TV, quello che i lettori del Corriere e del Foglio ignorano ancora, e che sanno invece i nostri lettori: l'aggressione non si fermerà al Libano, ma è parte di un piano per «rifare un nuovo Medio Oriente» con ulteriori guerre a Iran e Siria, Libia e Sudan e Somalia.
Sanno che Israele vuole annettersi il corso del fiume libanese Litani, per sottrarre acqua agli arabi. Sanno che Israele vuole attaccare la Siria perché è d'ostacolo al progetto dell'oleodotto che dovrebbe portare il greggio dell'Iraq da Kirkuk (in mano ai curdi collaborazionisti) ad Haifa, per far godere lo Stato ebraico dell'oro nero saccheggiato agli iracheni.
I nostri servi possono ripetere che Israele «non fa altro che difendersi» e che «non vuole conquistare territorio».
I musulmani sono al corrente che quel che avviene è parte del progetto stilato da Richard Perle nel '96, intitolato «Un taglio netto» (A clean break) per «mettere in sicurezza il regno» (d'Israele).
In questo documento, si additavano le seguenti tappe:
- l'annullamento del processo di pace di Oslo (fatto);
- l'eliminazione di Arafat (fatto);
- il rovesciamento di Saddam Hussein (fatto)
- e lo smembramento dell'Iraq in statarelli mono-etnici e mono-settari, in cui - fra l'altro - ritagliare uno «Stato palestinese» coi i palestinesi che Israele conta di espellere in massa e deportare dai territori occupati, che diverranno sacra terra del «regno di David» redivivo.
Questo è il «nuovo Medio Oriente» di cui parla Condi Rice.
Gli arabi e i musulmani ormai lo sanno, e ne traggono le conclusioni: sentono l'urgenza di rispondere a questo attacco, che li minaccia tutti, con un nuovo spirito di unità.
Che riescano davvero ad agire uniti, è da vedere.
Ma già la loro presa di coscienza contrasta con lo spettacolo miserevole di servilismo che danno gli europei nel cosiddetto vertice di Roma.
Basti un solo episodio, riportato da Reseau Voltaire.
Alle prime bombe sul Libano, Chirac aveva mandato il ministro degli eEsteri Villepin a Beirut, a difendere quel che resta là degli interessi francesi.
Ma al vertice del G-8 a San Pietroburgo, Bush ha bloccato i francesi.
Dicendo chiaramente, e brutalmente, che l'attacco in corso non era un'operazione israeliana approvata dagli USA, bensì un'operazione americana condotta attraverso Tsahal.
Decisa tra Dick Cheney e Benjamin Netanyahu in un colloquio a Beaver Creek, il 17-18 giugno, a cui erano presenti Richard Perle e Nathan Sharanski, il capo del partito ebraico razzista.
De Villepin non ha potuto che abbozzare, e dire a Beirut solo buone parole. (5)
E a Roma, D'Alema si è impegnato per una partecipazione italiana alla forza d'interposizione. Speriamo solo, visto com'è andato il vertice, che non se ne faccia niente: non è allegro essere mandati nel tritacarne, esposti agli attentati «false flag» che sono la specialità giudaica, e insieme agli attacchi Hezbollah.
Il generale Bantz Craddock
Forse Condi Rice faceva bene a dare al suo nuovo amico questa ultima informazione, che i media italiani non riportano: in Libano, le operazioni di Tsahal sono sotto la supervisione del Pentagono.
Se ne occupa il generale Bantz Craddock, in quanto capo del Comando Sud.
Craddock, un esperto di guerra corazzata, è un favorito di Donald Rumsfeld - il che può spiegare gli ultimi insuccessi israeliani - e lo ha aiutato ad allestire il lager di Guantanamo per i «combattenti nemici».
E' dunque anche un esperto di tortura e repressione.
Del resto quest'uomo è un membro di spicco della Jinsa, Jewish Institute for National Security Affairs: ossia non solo un fiduciario dei giudei, ma uno che ha dovuto studiare il «pensiero» neo-barbarico di Leo Strauss, di rigore alla Jinsa.
A novembre, Craddock sarà nominato capo dell'European command della NATO.
Potrebbe essere lui a dirigere dunque la «forza d'interposizione» a favore di Israele in Libano.
Lui a comandare «i nostri ragazzi» in guerra per Giuda: c'è da tremare.
Maurizio Blondet
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Note
1) Pepe Escobar, «The spirit of resistance», Asia Times, 26 luglio 2006.
2) Margaret Griffis, «Israeli onslaught may spark Aounist resurgence», Antiwar.com, 26 luglio 2006.
3) Sami Moubayed, «Hezbollah banks on home-ground advantage», Asia Times, 26 luglio.
4) «An israeli spy network arrested in Lebanon», SANA, 22 luglio 2006, ore 14.50.
5) Thierry Meyssan, «Les néo-conservateurs et la politique du chaos constructeur», Reseau Voltaire, 26 luglio 2006.
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