Alla ricerca
di una leadership
di Carlo Stagnaro,
direttore del dipartimento Economia di mercato dell’Istituto Bruno Leoni. Collabora con la rivista statunitense Tech Central Station
Ideazione a.XIII, n°4
luglio-agosto 2006, pp.45-49
La geografia politica disegnata dalle elezioni del 9 e 10 aprile 2006 segna il riemergere della questione settentrionale. Incarnata prima dalla spinta antifiscale e riformatrice della Lega Nord e poi eclissata dall’astro di Silvio Berlusconi – che promettendo un nuovo miracolo italiano si è rivolto a tutti i moderati di ogni latitudine, laddove il Carroccio aveva cercato i consensi di chi stava la Nord, moderato e no – il male delle regioni padane si pone come una delle ferite irrisolte nel tessuto del Paese. E questa volta assume la forma di una contrapposizione tra una Padania che sceglie il centrodestra e un’Italia governata dall’Unione. La frattura, però, va ben al di là di sintomi quali le transitorie preferenze elettorali o l’assenza dall’esecutivo guidato da Prodi di ministri lombardi e veneti (con l’eccezione della milanese Barbara Pollastrini, titolare delle Pari Opportunità e priva di portafoglio).
Rispetto al passato, la risposta che la politica fornisce al mal padano presente alcune peculiarità. In primo luogo la posizione del Cavaliere: grazie alla sapiente gestione della campagna elettorale e agli errori degli avversari, che hanno trasmesso la sensazione di voler aumentare ulteriormente la pressione fiscale, l’ex premier ha saputo consolidare I suoi consensi a nord della linea gotica. Forza Italia è il primo partito nelle regioni più produttive del Paese e la radicalizzazione dello scontro ha risvegliato il sogno mai sopito di un autentico federalismo fiscale, complice l’appuntamento referendario del 25 giugno. E’ vero che la CDL mantiene posizioni anche solide in regioni importanti del Mezzogiorno, su tutte la Sicilia, ma la continuità e la compattezza del Nord sono una realtà da cui il Cavaliere non può non può prescindere - da qui la mano tesa a Umberto Bossi per la costituzione di una federazione fra Lega e FI, una sorta di revisione in chiave settentrionale del partito unico dei moderati ( dove a restare spiazzati sono AN e UDC, mentre in precedenza era il Carroccio a guardare al progetto con scetticismo) [sarebbe un errore tattico-strategico restringere il progetto del partito unitario ad un’asse “nordista”. Più intelligente creare al Nord la “gamba” automonista della Right Nation in forma di CSU rivisitata secondo le esigenze italiche, e creare un’ampia formazione moderata nel resto del paese N.d.R.].
A sua volta la Lega, che ha il merito storico di aver interpretato la questione settentrionale e quindi l’esigenza di una riforma federalista, attraversa una crisi senza precedenti. La crisi origina dalla malattia di Bossi, che ha impedito al capo di mantenere il controllo del movimento, ma ha radici più antiche e profonde. I militanti, infastiditi dal comportamento giudicato scorretto degli alleati ( in primis AN e UDC) e poco entusiasti di concedere fiducia a quello che per molti di loro è ancora “il mafioso di Arcore” (a cui pure viene riconosciuta la lealtà devoluzionista), non riescono a rivivere l’entusiasmo che in passato li spingeva a dedicare la Carroccio tempo, denaro, e fatica. Soprattutto, quel che li frastorna è la contraddittorietà dei messaggi che ricevono dalla classe dirigente: l’asset della Lega finora era stato quello di superare gli steccati tra destra e sinistra per rivolgersi agli elettori con un linguaggio unico, rimbombante, rivoluzionario: all’osso, il messaggio era «voi siete gli schiavi fiscali di qualcun altro». Il rapporto immediato tra la Lega e gli elettori, meglio, tra Bossi e gli elettori, ha cominciato a incrinarsi seriamente col patto col centrodestra, ma si è inabissato nel tunnel dell’incomprensione quando (ed è un fenomeno che inizia poco prima) la classe dirigente, Bossi compreso, ha inzio a parlare una lingua nuova e pasticciata [Perché pasticciata? L’evolversi della situazione internazionale e geo-poltico-culturale ha imposto un’evoluzione delle idee leghiste che, se non ha prodotto seri effetti elettorali, è perché non è stata portata fino alle estreme e produttive conseguenze. E’ un difetto di una certa destra economicistica e rampantista non voler vedere che l’inizio del XXI secolo sia animato da dinamiche umane e congiunture non riducibili esclusivamente alla mera dimensione economica. Un difetto di analisi e una miopia che possono costare molto in termini politici N.d.R.]. Dalla protesta fiscale si è passati a fantasiose ricostruzioni geopolitiche e poi alla girandola di dichiarazioni ora anticlericali ora papiste [ma perché girandole del gener non ci sono anche in FI dove convivono Formigoni con la Prestigiacomo, Mauro con la Boniver, Palmieri con la Craxi? E’ un problema di definizione di cultura politica: vera sfida per la CDL futura N.d.R.], ore europeiste ora contro forcolandia [Altro errore: la Lega ha sempre ribadito la necessità di un’Europa dal basso, dei popoli, delle macroregioni, rispetto al centralismo burocratico-dirigistico di Bruxelles N.d.R.]; ora abbasso Fazio ora viava Fazio e così via; per non dire della presente retorica sul protezionismo, che ha trasformato la battaglia per una Padania tesa verso la globalizzazione nella lotta a difesa di un Nord assistito e chiuso in se stesso [Che pena, non ne inforca una…..!!!!! La Lega – non solo lei visto che sul protezionismo Tremonti ed altri la pensano allo stesso modo – vuole anzitutto l’autodeteminazione dei popoli e la loro sopravvivenza come entità antropologico-culturali atterverso gli strumneti economico-fiscali e latamente politici. Più che global, la lega è – Deo gratiias!!!! – sempre stata glocal, unendo la necessaria apertura l’esterno alla difesa della propria identità che la globalizzazione mondialista, livellante sul piano economico e spersonalizzante su quello etico-culturale, tende a cancellare o ad omologare ad un unico paradigma neutro N.d.R.].
I mille volti della Lega Nord
Su tutto si sono innestati due ulteriori fenomeni. Per un verso la contiguità sempre più marcata tra Via Bellerio ed alcune frange tradizionaliste, lefebvriane o addirittura sedevacantiste, che hanno imposto battaglie come quella a favore della famiglia tradizionale o contro aborto e divorzio – temi che si possono condividere oppure no – ma su cui difficilmente un movimento come la Lega risulta attraente rispetto a competitori culturalmente e politicamente più attrezzati. [Ecco scodellato un esempio di pseudodestra criptogioacobina che permetterà alla sx più sghangherata di governicchiare per molto. Mi spiego: l’apporto del tradizionalismo cattolico e della Destra etico-religiosa alla Lega è stato determinante per li mantemimento di roccaforti al Nord, dopo la fuga dell’elettorato più “edonistico-economicista”; ha rafforzato il Carroccio nelle regioni centrali “rosse” e ha dato nuova linfa a certi quadri locali ormai sclerotizzati sul piano dell’impegno. Ma soprattutto ha “umanizzato” presso un vasto uditorio socio-culturale l’immagine “egoistica” di una Lega solo guadagno e terriotorio. Ricordiamo che dopo il referendum sulla legge sulla fecondazione assistita, la CEI nella persona del card. Ruini ha ringraziato il Carroccio dell’aiuto fornito e non pochi cattolici – ne sono stato testimone oculare – ha preso la tessera leghista e addirittura si sono abbonati alla Padania. Le battaglie contro leggi liberticide come divorzio e aborto saranno sempre più nell’agenda politica e – Deo gratias!!!- costituiranno terreno di scontro tra coalizioni e single realtà partitiche. E poi caro Stagnaro chi sarebbe più attrezzato della Lega “etica” a combattere tali metastasi sociali e legislative? Gli eredi della Dc? Ossia di coloro, che “da cattolici” controfirmarono quelle odiose quanto regressive leggi? Certamente no!!!!!! Vedremo se la Lega dovesse abbandonare la linea “etica” e da Pensiero Forte per riprendere in modo anacronistico istanze meramente autonomiste e ultraregionaliste se aumenterà consensi o se perderà quello zoccolo duro dell’elettorato “religioso” che, se soddisfatto in alcune questioni chiave, ti va a votare con tutti i climi. Ecco perché è necessario che governi (male) per un certo lasso di tempo L’Unione: per chiarire – usando, in senso metaforico ovviamente, anche i lunghi coltelli – i fondamenti etici di un futuro cdx. Se l’area laicista tirerà la corda troppo, la Destra etica è pronta alle barricate e a far cadere un eventuale esecutivo moderato, come di recente è accaduto in Slovacchia, premiando nelle successive elezioni proprio il partito della Destra etica. Ma questo è avvenuto anche in Polonia e avverrà sempre più spesso. Per i naviganti del Polo: a buon intenditor poche parole !!! N.d.R.]. Secondariamente, appunto, l’infermità di Bossi e il venire meno della leadership carismatica che fino a quel momento aveva consentito alla Lega di sorvolare le incomprensioni e di dare una voce alle speranze sempre meno accese per la verità (lo dimostrano i trend elettorali), del Nord. Gli elettori erano disposti a concedere una cambiale (quasi) in bianco a Bossi: ai suoi colonnelli, no. Rispetto alle Regionali del 2005, alle politiche del 2006 la Lega in Lombardia è calata dal 15,8% all’11, 7%; in Piemonte dall’8,5 % al 6,4%; in Veneto si è mantenuta sul 14,7% anche perché l’erosione (a favore di altri movimenti autonomisti) si era già consumata. Nelle stesse regioni Forza Italia è passata dal 26 al 27%; dal 22,4% al 23,6%; e dal 2, 7% al 24, 5%. Complessivamente nel Nord la Lega si è rivelata un player minore [Che magniloquenti cazzate!!!! N.d.R.], determinante ma in declino: il suo 8,5% è al di sotto del 10,9% di AN e del 23,9 % di FI ed è incalzato dall’UDC col 6,3%.
L’assenza del segretario federale ha scatenato una guerriglia interna, che prima è rimasta sotterranea per poi stagliarsi sempre più nitida sullo sfondo della politica nazionale. Le motivazioni degli scontri così come le posizioni e le alleanze tra i colonnelli e le loro cordate sono cambiati ma al fondo c’è sempre l’esigenza di dare una testa a un movimento che, dall’oggi al domani, si è trovato acefalo. L’aspetto più enfatizzato dello scontro è stato quello tra i movimentisti di Giancarlo Giorgetti e i ministeriali di Roberto Calderoli, ma è uno schema che non tiene: intanto perché lo stesso Giorgetti si è ritagliato il doppio ruolo di interlocutore del Cavaliere e sacerdote del bossismo. Poi perché Calderoli, che già godeva di scarso credito presso il movimento, è stato costretto ad assumere un basso profilo a causa della vicenda delle vignette su Maometto. Infine perché quest’analisi semplicistica trascura il ruolo di Roberto Maroni e ignora del tutto I movimenti spontanei di base. Ed è qui la chiave per comprendere quanto sta accadendo..
Maroni, che come ministro ha riscosso apprezzamenti bipartisan, è da sempre indicato come l’eterno numero due del Carroccio (“e non ci sono numeri due in grado di diventare numeri uno”, ha malignato il direttore dell’house organ La Padania). E’ in ogni caso l’unico, tra gli esponenti più in vista, a godere contemporaneamente di un sostegno sedimentato nella roccaforte varesina e ad avere una credibilità interna ed esterna. A differenza di Giancarlo Pagliarini (che peraltro è stato pesantemente ridimensionato prima da Bossi e poi da Giorgetti con l’esclusione dalle liste per la Camera e il Senato), è riuscito a costruirsi l’immagine di politico a 360 gradi (non di mero esperto economico del partito) e non si è mosso da battitore libero. Tra i due, tuttavia, c’è un certo feeling, o almeno una lealtà venata di reciproca stima, che s’incrocia col rapporto di entrambi con Gilberto Oneto, animatore della “Libera Compagnia Padana” (il pensatoio indipendentista vicino al Carroccio) e da sempre critico nei confronti delle sbandate del movimento.
Oneto e Pagliarini hanno promosso una raccolta di firme, aperta anche a coloro che sono stati espulsi o hanno abbandonato la Lega senza poi aderire ad altri partiti che non fossero autonomisti, per l’indizione di un congresso straordinario. Il congresso dovrebbe sciogliere il nodo della leadership (affiancando a Bossi una sorta di direttorio, il modo più soft per traghettare la Lega verso una nuova governance) e dare la partito una linea più coerente con la sua tradizionale mission [la mission della Lega del 1987 non può essere la stessa oggi, in quanto ci sono stati il 1989 e soprattutto l’11 settembre 2001 N.D.R]. Si dice che Maroni (che del resto ha rotto, in un’intervista la Corriere della Sera, il tabù dell’intangibilità della leadership bossiana) guardi con simpatia alla manovra di Oneto e Pagliarini [E’ solo tattica!!!!!!!! N.d.R.] consapevole che il “Progetto Ducario” (come l’hanno chiamato gli ideatori, in memoria del guerriero celtico che uccise il console romano Gaio Flaminio) porterebbe acqua la suo mulino. Che l’iniziativa non sia peregrina e non punti alla costituzione dell’ennesimo clone della Lega lo dimostrano non solo le credenziali leghiste di Oneto e Pagliarini, ma anche la visibile irritazione con cui altri maggiorenti del partito guardano a Ducario. Per esempio, a Oneto è stato impedito di prendere la parola in una manifestazione a Chiari, in provincia di Brescia, a cui pure era stato invitato. E’ improbabile che una semplice raccolta di firme, a prescindere dal successo, possa cambiare la costellazione di potere che regge la Lega: il carattere della manifestazione e le motivazioni dei promotori, però, sono un campanello d’allarme preoccupante almeno quanto le débâcle elettorali.
Una nuova leadership per la Questione Settentrionale.
Il fatto è che, orfana di un interprete genuino come la Lega, la questione settentrionale rischia di restare ancora una volta un sordo brontolio all’orizzonte, di non tradursi in un reale cambiamento. Dopotutto a ben guardare l’esperienza del Carroccio, che dopo aver spazzato via la Prima Repubblica si è ridotto a mendicare brandelli di autonomia assiso su un bottino elettorale ch’è l’ombra dei tempi che furono, indica come il pessimismo di un protagonista della fase ascendente del movimento, Gianfranco Miglio, non fosse fuori luogo. Nella campagna sul referendum sulla devolution si è assistito all’ennesimo dissidio, con Bossi che lanciava segnali di dialogo al centrosinistra e Maroni che chiudeva, barricandosi a difesa della riforma. Ma anche a prescindere da questo, oggi il Nord può contare su una congiuntura politica favorevole: il motore dell’economia italiana è governato da maggioranze ostili a quelle che hanno in mano le leve del potere centrale. Intanto, il futuro della CDL, e ancor più del partito unico se mai vedrà la luce, sembra intrecciato all’abilità d’intercettare la domanda dei ceti produttivi, e quindi in massima parte della borghesia settentrionale [sulla limitatezza e ottusità di tale analisi, prerogativa della pseudodestra economicistica, che considera la “domanda etica” irrilevante ai fini politico-elettorali si veda quanto abbiamo detto sopra N.d.R]. Infine il cdx al Nord può contare su individui come Roberto Formigoni e Roberto Maroni che hanno dimostrato fiuto politico e coraggio. Ma alla fine quel che conta è altro: si dice che per completare una rivoluzione ci vogliono le condizioni, le idee [sopratutto….Nd.R.] e la leadership. Sulle prime non c’è dubbio [i dubbi sulle idee così come si evince anche da questo articolo ce ne sono e molti e pure gravi…Le idee, soprattutto se laiciste, saranno la vera spina nel fianco del futuro cdx, altro che leadership!!!! N.d.R.]: è lecito invece nutrire qualche perplessità sulla capacità del cdx di coagularsi attorno a un leader, che peraltro come tale deve ancora emergere, che sappia sedurre il Nord [No!!!!!!!!!!!!!!!!! Che lanci un “Progetto Italia” comprendente anche le istanze del Nord, si fondi su base federale e rivitalizzi le energie umane e culturali del Sud che il centralismo giacobino-bonapartista della gauche imbavaglia e impedisce di svilupparsi N.d.R.] con un visine aperta, ottimista, spregiudicata.
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