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Risultati da 1 a 10 di 10
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    Thumbs down Hezbollah:"governo italiano servo degli Usa"

    Hezbollah:"governo italiano servo degli Usa"

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    Fneish, ministro libanese e membro Hezbollah: "La Conferenza di Roma è negli interessi degli Usa"

    Muhammad Fneish, ministro dell'Energia libanese e membro di Hezbollah, sostiene che "finora non abbiamo visto una vera iniziativa da parte del governo italiano e la conferenza di Roma rischia di essere un modo per gli Stati Uniti di legittimare la loro politica in Medio Oriente".

    www.repubblica.it
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  2. #2
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    E ha perfettamente ragione!

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da waldgaenger76
    Hezbollah:"governo italiano servo degli Usa"

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    Fneish, ministro libanese e membro Hezbollah: "La Conferenza di Roma è negli interessi degli Usa"

    Muhammad Fneish, ministro dell'Energia libanese e membro di Hezbollah, sostiene che "finora non abbiamo visto una vera iniziativa da parte del governo italiano e la conferenza di Roma rischia di essere un modo per gli Stati Uniti di legittimare la loro politica in Medio Oriente".

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    A beh, se lo dice un hezbollah.. veramente, siete scandalosi.. ogni tanti mi chiedo se ci credete veramente nelle st******e che dite o se le dite solo per provacare..

  4. #4
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    I convitati di pietra
    Senza convincere l'Iran e la Siria non si va da nessuna parte

    Una conferenza di pace non può certo fare male ad un contesto ulcerato come quello mediorientale, ma ciò non significa che possa fare bene: essa è una iniziativa che potrà essere utile a futura memoria, visto che si è aperta mentre in Libano la guerra si inasprisce. Del resto alla conferenza non sono presenti i principali attori coinvolti sul campo: Siria, Israele, Iran, Hezbollah. E non potevano esserci per la semplice ragione che almeno due di essi negano le ragioni di esistenza del quarto, e non ci discutono, né direttamente né indirettamente. E, come abbiamo avuto già modo di scrivere, questo è il problema: cosa fa uno Stato sovrano quando un altro ne minaccia l'esistenza ed arma un gruppo militare per combatterlo ai suoi confini? A questa domanda poi se ne aggiunge anche un'altra: le Nazioni Unite che oggi chiedono il cessate il fuoco, non avrebbero dovuto impegnarsi prima per far ritirare le milizie Hezbollah dal Libano, così come si erano ritirate, a loro tempo, le truppe israeliane? Perché, essendosi insediata Hezbollah proprio dove Tsahal si ritirava, la situazione si è incancrenita, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.

    Kofi Annan può anche chiedere ad Hezbollah di cessare il fuoco per una tregua, ma la stessa ragione di vita di Hezbollah è principalmente quella della guerra ad Israele e, per pensare che cessino definitivamente le ostilità, Hezbollah dovrebbe non esistere più come organizzazione politica.



    Finché resta Hezbollah, ci sarà la guerra, e questa convinzione è ben chiara ormai all'interno dello Stato ebraico, tanto che non c'è un'opposizione significativa in Israele contro l'offensiva che è stata lanciata nel Libano del sud. Questo è il vero problema del vertice di Roma, ma che per ragioni diplomatiche nessuno sembra voler affrontare. Perché, se lo si affronta, il vertice sulla pace nasce morto. Meglio allora ripetere formule logore e stantie di scarso effetto. Almeno si prende tempo.

    La pace vera vi sarà solo dopo la guerra totale ad Hezbollah, sperando che Siria ed Iran capiscano l'antifona. Non è un caso che la Rice abbia parlato di "un nuovo Medioriente". Quello attualmente disegnato non ha futuro e qualcuno dovrà cedere il passo. E questa sì che è la posizione comune dei quattro convitati di pietra alla conferenza. Preferiremmo la via diplomatica, ovviamente.

    Altrimenti resta la guerra.

    Roma, 26 luglio 2006



    tratto dal sito del Partito Repubblicano
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  5. #5
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    Il mercoledì nero di Prodi
    D'Alema si scopre filoamericano e spiazza il Professore

    E' stato un mercoledì nero quello trascorso dal professor Prodi fra politica estera ed interna e va detto che niente ha fatto il presidente del Consiglio per renderlo meno cupo.

    La cosiddetta conferenza di pace, come era chiaro, si è rivelata una passerella del ministro degli Esteri italiano, utile a ricordare agli Stati Uniti d'America che l'onorevole D'Alema non ha solo il volto ostile mostrato in occasione della guerra in Iraq, ma anche quello accondiscendente avuto in occasione della guerra in Kossovo. E se mai qualcuno sperava che dalla conferenza di Roma provenisse un documento di condanna dell'azione militare israeliana, una richiesta di cessare il fuoco immediato, e chissà che altro, il grande realismo di D'Alema ha evitato una posizione ridicola o velleitaria dell'Italia. E bene ha fatto anche il ministro degli Esteri a differenziare la posizione del governo italiano da quella libanese, che tra l'altro appare la stessa di Hezbollah, per lo meno nelle parole del presidente Berri.

    Prodi si è invece presentato alla Camera per dire che dopo la conferenza di Roma il "cessate il fuoco" tra Israele e Libano "è più vicino, molto più vicino". Ma più vicino da dove? Perché la cosa davvero sgradevole del vertice romano è che si è svolto proprio nella giornata di combattimenti più aspri fra israeliani ed Hezbollah, tali da far pensare che siamo alla svolta cruenta del conflitto, non certo al suo punto di stabilizzazione e riflessione. Se dunque il vertice ci ha ridato il D'Alema realistico e atlantista che avevamo già apprezzato in altri frangenti, al contempo abbiamo visto un Prodi illuso ed illusionista che davvero non appare in grado di guidare e tanto meno di capire l'evoluzione dello scenario della politica internazionale.

    Il problema vero, e per questo abbiamo parlato di un mercoledì nero del presidente Prodi (altrimenti ci saremmo limitati al giovedì mattina e al primo pomeriggio) è che il professore non appare nemmeno più comprendere lo scenario della politica interna, e di conseguenza rischia di essere messo presto da parte anche dello stesso. Perché il disagio ed il conflitto del ministro Mastella non dipende soltanto dal comportamento bizzarro, per così dire, del suo collega Di Pietro * visto che se voleva davvero opporsi all'indulto poteva minacciare le dimissioni dal governo, come fecero con risultati efficaci Lega ed An nella passata legislatura - ma dal fatto che il presidente del Consiglio è sostanzialmente stato d'accordo, se non sui comportamenti, sulle valutazioni del ministro delle Infrastrutture, così come scriveva proprio il "Corriere della Sera" di mercoledì: "Il governo vorrebbe l'indulto e al contempo vorrebbe tenersene fuori". Se allora un presidente del Consiglio condivide il dissenso di un suo ministro contro il disegno di legge di un ministro pur competetene e capace di orientare positivamente i due terzi del Parlamento, non capiamo come questo presidente del Consiglio possa pensare e pretendere di poter restare in carica ancora a lungo.

    E' vero che Romano Prodi continua a sostenere che dopo di lui non ci sarà nessun governo, ma solo le elezioni. Anche qui abbiamo l'impressione che ecceda nell'illudersi e soprattutto nella pratica di voler illudere. Ma non è detto che gli riesca.

    Roma, 27 luglio 2006



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  6. #6
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    Israele, il diritto negato
    I pogrom nei secoli e l’ultimo subdolo nemico, l’odio della sinistra e le colpe dell’Europa

    di Romano Bracalini

    Non saranno gli hezbollah con i loro lanci maldestri di razzi katyusha (made in URSS) a cancellare Israele dalle carte geografiche, però sono gli ultimi in ordine di tempo a illudersi di riuscirci. Dietro di loro, Siria e Iran, gli stati più oltranzisti, stanno in agguato come bestie feroci, studiando il momento più favorevole tra odio crescente e paura di fallire. Israele ha già bastonato tre volte gli eserciti arabo-musulmani coalizzati. L’ultima volta se voleva poteva arrivare al Cairo: non l’ha fatto per non infliggere agli egiziani un’umiliazione troppo cocente. Oggi il pericolo viene da nord, da Damasco e da Teheran, nuove centrali dell’oscurantismo. Accarezzano i missili comprati al mercatino dell’usato, sognano facili trionfi ma se la fanno sotto. Il Libano è stato un avvertimento. A Gaza e Ramallah i palestinesi, nella propria impotenza stracciona, si limitano a inneggiare a hezbollah, ma senza osare muovere un dito. Israele, ferma nel proprio diritto, non ascolta le grida isteriche dei complici dei terroristi guerrafondai in Italia. Quale deve essere la risposta adeguata la decide il Consiglio di Guerra israeliano, non D’Alema, ministro dei pannicelli caldi. Una cattiva letteratura, che va da sinistra a destra, da Rizzo a Pino Rauti, accusa Israele d’essersi impadronita di territori non suoi e di occuparli contro i diritti degli arabi. È una convinzione la cui falsità non avrebbe nemmeno bisogno di essere dimostrata.

    L’antisemitismo europeo non aveva nozioni storiche e geografiche più precise ma ripeteva con Proudhon che “bisogna rimandare questa razza in Asia oppure sterminarla”. I palestinesi si sentono defraudati di un territorio che è stato popolato dagli arabi in tempi posteriori alla conquista musulmana. Duemila anni avanti Cristo Egizi e Ittiti abitavano la striscia di territorio, corrispondente agli attuali stati di Israele, Libano, Siria e Giordania, chiamata terra di Canaan dal nome dei suoi più antichi abitatori, i Cananei. Nel XIII secolo avanti Cristo vi giunsero i Filistei, indoeuropei della medesima stirpe dei cosiddetti “popoli del mare”, e gli Ebrei. Provenendo dalle terre dei Sumeri, in Mesopotania (attuale Irak), attorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, gli ebrei s’erano mossi verso il Mediterraneo. Il nucleo più consistente si stanziò in Egitto in base a un trattato che consentiva agli ebrei di lavorare nella valle del Nilo in cambio di un atto di sottomissione al faraone. Con l’avvento di Ramses II le loro condizioni di vita cambiarono e gli ebrei, guidati da Mosè, abbandonarono l’Egitto dirigendosi verso la terra di Canaan, o Palestina, come la chiamarono i Filistei. In Palestina gli ebrei fondarono uno stato formato dal regno di Israele a Nord e dal regno di Giuda a Sud.

    La conquista romana segnò l’inizio della diaspora per il divieto imposto dai romani agli ebrei di risiedere in Palestina. Sotto gli imperatori cristiani, Costantino, Teodosio e Giustiniano, gli ebrei furono privati in parte dei loro diritti civili e politici. È con la conquista araba del VII secolo dopo Cristo che il territorio - mantenendo la denominazione di Palestina fino al mandato britannico nel ventesimo secolo, divenne meta di insediamenti di tribù nomadi arabe che impoverirono la terra. Semmai gli usurpatori sono loro. La diaspora aveva quasi spopolato la Palestina di ebrei che non perdevano il diritto e la speranza di un ritorno a Sion - solenne promessa - come poi avvenne con l’indipendenza del territorio dal dominio britannico. Gli arabi palestinesi non potevano far finta di non sapere che gli ebrei c’erano prima di loro. Ma nel 1948 rifiutarono di accettare che il territorio fosse diviso in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo. Lo volevano uno tutto per sé. Gli ebrei potevano andare in Etiopia o in qualche altra parte del mondo, ma non nella terra dei loro avi. Il dominio arabo era stato abbastanza tollerante, però gli ebrei non potevano citare il Corano e tanto meno toccarlo. Le peggiori persecuzioni le subirono nell’Europa cristiana. Gli ebrei non potevano possedere la terra, non potevano viaggiare, potevano fare solo i venditori ambulanti e i mercanti di bestiame, non potevano sposarsi fino all’età di trentacinque anni, e tutto questo era durato fino al XIX secolo.

    Il nazismo non inventò nulla di nuovo. Le poche opportunità concesse avevano spinto molti ebrei all’attività finanziaria e al prestito su interesse vietato ai cristiani, da cui derivò la tradizionale accusa di usura. Nel 1924 padre Agostino Gemelli, futuro firmatario del manifesto razzista del 1938, commentando il suicidio del professore ebreo Felice Momigliano, scrisse sulla rivista “Vita e pensiero”: “Si starebbe meglio se, insieme col positivismo, il socialismo, il libero pensiero, e con Momigliano, morissero tutti gli ebrei che hanno crocifisso Nostro Signore”. La sinistra, preoccupata di prestarsi a una fondata accusa, vorrebbe distinguere l’antisemitismo dalla condanna politica espressa in questi giorni contro Israele, che lotta per la vita. Ma è proprio questa condanna, senza alcuna comprensione per l’aggredito e invece uno speciale occhio di riguardo per l’aggressore, a presupporre il pregiudizio e l’antisemitismo delle origini. È il veleno antisemita a tenere insieme il fronte eterogeneo di complicità tra hezbollah, Hamas, Iran, il Manifesto, No Global, la Francia e l’imbelle Europa, che Israele fa bene a guardare con sospetto. Il filo nero dell’antisemitismo dipanato nei millenni cuce insieme destra fascista, sinistra comunista e cattolicesimo terzomondista. Giulio Andreotti ha detto: “Se nasci in un campo profughi e non vedi un avvenire si può capire se diventi terrorista!”. Facile sillogismo. Padre Agostino Gemelli non avrebbe potuto dir meglio.

    tratto da
    http://www.opinione.it/pages.php?dir...t=3356&aa=2006

  7. #7
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    L'ambiguità italiana
    Offerta una mediazione per il Medioriente che nessuno vuole

    L'Italia nella passata legislatura ha avuto il merito della chiarezza in politica estera; con la nuova maggioranza di centrosinistra non è più così.

    La giustificazione che è stata data per tale cambiamento di posizione è che, grazie ad esso, il governo può svolgere una mediazione utile fra le parti in causa. Peccato che una mediazione, nel caso di un conflitto come quello israeliano - libanese, possono offrirla grandi potenze mondiali, come gli Usa, o magari potrebbe svolgerla l'Unione europea nel suo insieme, se mai riuscisse a trovare una posizione comune. Certo non un singolo paese, per quanto dotato di buona volontà possa essere.



    L'unico risultato che ha ottenuto l'Italia con questa sua nuova politica estera è un ritorno alle ambiguità che hanno caratterizzato dal dopoguerra la nostra politica in Medioriente; quando il governo Berlusconi era stato - senza nessuna esitazione - a fianco di Israele in ogni circostanza.

    A maggior ragione il governo italiano dovrebbe esserlo adesso che lo Stato ebraico subisce forse la più grave minaccia mortale dal giorno della sua esistenza.

    Questo fatto, così trasparente nell'opinione pubblica mondiale dal momento in cui il presidente dell'Iran ha detto che Israele deve essere cancellato dalle mappe, sembra quasi ignoto ai governi europei, che si riuniscono e discutono senza considerare questo presupposto teorico che è alla base dell'offensiva scatenata da Hezbollah, che dell'Iran è alle strette dipendenze. Ma se non si parte da questa premessa è ovvio che ogni iniziativa risulti velleitaria, come ad esempio quelle prese dal nostro governo nelle ultime settimane fra conferenze e missioni diplomatiche.

    Il premier italiano si è perfino presentato alla Camera per dire che dopo la Conferenza di Roma il cessate il fuoco era più vicino. E' sufficiente questa frase per capire il velleitarismo e l'inadeguatezza di chi dovrebbe guidare la nostra politica estera.

    Per questa ragione i repubblicani ritengono inaccettabili le esitazioni dell'Europa che si sono viste in occasione del recente vertice dei ministri europei e considerano inutile ed improduttivo l'affaccendarsi del governo italiano.

    Roma, 2 agosto 2006



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  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da nuvolarossa
    I convitati di pietra
    Senza convincere l'Iran e la Siria non si va da nessuna parte

    Una conferenza di pace non può certo fare male ad un contesto ulcerato come quello mediorientale, ma ciò non significa che possa fare bene: essa è una iniziativa che potrà essere utile a futura memoria, visto che si è aperta mentre in Libano la guerra si inasprisce. Del resto alla conferenza non sono presenti i principali attori coinvolti sul campo: Siria, Israele, Iran, Hezbollah. E non potevano esserci per la semplice ragione che almeno due di essi negano le ragioni di esistenza del quarto, e non ci discutono, né direttamente né indirettamente. E, come abbiamo avuto già modo di scrivere, questo è il problema: cosa fa uno Stato sovrano quando un altro ne minaccia l'esistenza ed arma un gruppo militare per combatterlo ai suoi confini? A questa domanda poi se ne aggiunge anche un'altra: le Nazioni Unite che oggi chiedono il cessate il fuoco, non avrebbero dovuto impegnarsi prima per far ritirare le milizie Hezbollah dal Libano, così come si erano ritirate, a loro tempo, le truppe israeliane? Perché, essendosi insediata Hezbollah proprio dove Tsahal si ritirava, la situazione si è incancrenita, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.

    Kofi Annan può anche chiedere ad Hezbollah di cessare il fuoco per una tregua, ma la stessa ragione di vita di Hezbollah è principalmente quella della guerra ad Israele e, per pensare che cessino definitivamente le ostilità, Hezbollah dovrebbe non esistere più come organizzazione politica.



    Finché resta Hezbollah, ci sarà la guerra, e questa convinzione è ben chiara ormai all'interno dello Stato ebraico, tanto che non c'è un'opposizione significativa in Israele contro l'offensiva che è stata lanciata nel Libano del sud. Questo è il vero problema del vertice di Roma, ma che per ragioni diplomatiche nessuno sembra voler affrontare. Perché, se lo si affronta, il vertice sulla pace nasce morto. Meglio allora ripetere formule logore e stantie di scarso effetto. Almeno si prende tempo.

    La pace vera vi sarà solo dopo la guerra totale ad Hezbollah, sperando che Siria ed Iran capiscano l'antifona. Non è un caso che la Rice abbia parlato di "un nuovo Medioriente". Quello attualmente disegnato non ha futuro e qualcuno dovrà cedere il passo. E questa sì che è la posizione comune dei quattro convitati di pietra alla conferenza. Preferiremmo la via diplomatica, ovviamente.

    Altrimenti resta la guerra.

    Roma, 26 luglio 2006



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    ma sai scrivere? o posti solo materiale preso da altri siti?

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Rocker503
    ma sai scrivere? o posti solo materiale preso da altri siti?
    ... Per imparare a scrivere ... bisogna prima imparare a leggere ... e, soprattutto, capire quel che si legge ..

  10. #10
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    Israele si difende da sola
    L'Europa non sa assumersi le sue responsabilità

    Abbiamo una sincera difficoltà a pensare che il ministro D'Alema creda davvero che Israele possa affidare all'Europa la sua difesa in Libano. Sommessamente e con tutto il rispetto, vorremmo dire al responsabile della Farnesina che Israele si difende da sé. Quello che potrebbe fare l'Europa, se avesse sufficiente coraggio e determinazione, sarebbe piuttosto di concorrere ad una forza di interposizione nel sud del Libano per impedire che Hezbollah si riarmi e riprenda a bersagliare Israele, altrimenti saremmo daccapo.

    A noi sembra in sostanza che l'onorevole D'Alema ed il governo italiano non vogliano vedere un semplice ed elementare fatto, e cioè che Israele non ha interesse ad annettersi pezzi del Libano. Come abbiamo visto, si ritira financo da territori dove vivono da decenni i suoi coloni.



    Israele non può però più permettersi di subire attacchi dal Libano né da altri parti del mondo arabo. La Comunità europea, l'Italia, vogliono il cessate il fuoco immediato? Facciano rispettare le risoluzione dell'Onu, disarmino Hezbollah. Vadano Chirac e l'onorevole D'Alema, con i soldati, a tastare sul campo la disponibilità di Hezbollah a smilitarizzarsi. Visto che per vent'anni Hezobollah si è armata e potenziata, è andata al governo del Libano, tratta con i governi europei e poi bombarda Israele, speriamo che nessuno voglia dirsi stupito che ad un dato momento sia avvenuta questa reazione.

    Il governo israeliano è molto realista, e sa benissimo che non potrà restare in Libano per assicurarsi che, una volta cacciati, gli Hezbollah ritornino e si riarmino. E il compito che dovrà svolgere un eventuale contingente internazionale è questo: evitare il riarmo di Hezbollah dopo l'azione israeliana. Da quanto leggiamo, temiamo che molti governi europei non abbiano nemmeno incominciato a comprendere il problema. Se l'Europa non si sveglia e si assume delle responsabilità, la guerra continuerà. Certo, poi, che un'azione diplomatica serve. Ma per portare, al riconoscimento di Israele e dei suoi diritti, Stati come l'Iran e la Siria, che invece la vorrebbero distrutta.

    Infine è politicamente molto suggestiva la teoria dell'onorevole D'Alema sull'Iraq. Peccato che Israele sia convinta di avere uno Stato nemico di meno nella regione e che il terrorismo ci fosse prima della guerra a Saddam, come continua ad esserci dopo.

    Roma, 3 agosto 2006



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