IL VICEPRESIDENTE FI ED EX MINISTRO DELL'ECONOMIA
«Prodi cadrà, ma non si tornerà a votare»
Tremonti: Grande coalizione necessità europea, in Italia la sinistra divisa è un ostacolo «Impossibile governare con il 51% dei consensi. Formule tecniche? Non ci credo»
ROMA — Lo spettro della Grande coalizione continua ad aggirarsi per l'Italia. Ne parla apertamente Mario Monti suscitando interesse e reazioni. Pier Ferdinando Casini si dice convinto che sarà necessaria «una fase nuova». E nel centrosinistra molti sostengono la necessità di allargare la maggioranza. Ma questo, secondo Giulio Tremonti, non scongiurerà il rischio di una crisi. «Il governo di Romano Prodi cadrà, non per collasso, ma per il progressivo esaurimento della sua spinta politica», sostiene l'ex ministro dell'Economia. Che non rinuncia alla polemica: «Credo di essere stato il primo e l'ultimo ministro dell'Economia e delle Finanze. Sono stato orgoglioso di servire con il governo Berlusconi il mio Paese. Il tempo è galantuomo, i dati che stanno emergendo e i giudizi oggettivi e positivi che si stanno formando lo dimostrano. Ma ormai ho spostato il campo dei miei interessi dall'economia alla politica».
Ne deduco che il tema della grande coalizione appassiona anche lei.
«Di grande coalizione ho cominciato a parlare nella primavera del 2004, quando ero al governo, ho ripetuto e ripeto le stesse cose anche dal lato dell'opposizione».
In quale occasione?
«Nell'intervento alle assise generali della Confindustria, notavo che la vecchia mappa geopolitica dell'Europa era cambiata. Prima le rotte elettorali andavano da sinistra a destra o da destra a sinistra, da un certo momento in poi hanno cominciato invece ad andare in una sola direzione: contro i governi in carica».
Una specie di rivoluzione senza spargimento di sangue...
«Ma qual è la causa? L'incapacità dei governi di governare, o piuttosto il fatto che la forza dei problemi adesso va molto oltre la forza di un governo convenzionale, cioè di un governo che ha il 51%, magari con una coalizione molto frammentata e divisa? In ogni caso non si possono governare con il 51% le forze che si stanno scatenando sul continente europeo e gettano in crisi le vecchie strutture sociali ed economiche».
Così però si mette in discussione la validità del bipolarismo, basato proprio sul principio che governa chi ha il 50% più uno dei voti.
«In questa fase storica stanno entrando in crisi le categorie essenziali della democrazia. Si può andare oltre la democrazia accettando sistemi di subgoverno, di paragoverno, di governo che ha la forma ma non la forza di un vero governo? O illudersi che i vecchi strumenti possano ancora funzionare, magari facendo leva sulle leggi elettorali, nella speranza che un surplus di premio attribuito per legge possa compensare un deficit di consenso popolare?».
E in Germania l'hanno capito prima che altrove?
«Il modello generale ha trovato un'applicazione sperimentale in Germania per almeno tre motivi. Primo: nessuno dei due schieramenti, popolare e socialista, ha vinto. Secondo: i due schieramenti sono storicamente molto forti e coesi ciascuno al proprio interno. Terzo, entrambi sono stati condizionati da un sentimento popolare diffuso: la paura del futuro.
La formula di soluzione è stata dunque prodotta dallo stato di necessità».
Come se fosse il male minore?
«Va notato che la nuova formula adatta le vecchie strutture politiche alle necessità dei nuovi tempi senza superarle.
Infatti è una formula transitoria mirata ad un catalogo specifico di obiettivi uniti insieme nella logica dell'interesse nazionale. Superata la fase critica, il sistema politico tornerà al bipolarismo».
Crede che sia applicabile anche in Italia?
«Guardi che finora io ho parlato di Grande coalizione in termini di filosofia generale europea e che l'analisi del caso Germania l'ho fatta in questa logica. Non ho la minima intenzione di utilizzare questo apparato ideologico per entrare nel dibattito politico italiano».
Faccia uno sforzo.
«Il caso Italia è molto diverso dal caso Germania... Le forze politiche italiane hanno un impianto molto diverso, soprattutto a sinistra».
Perché soprattutto a sinistra?
«Il tasso di coesione del centrodestra è superiore. I socialdemocratici tedeschi hanno marcato una fortissima divisione con la sinistra di Oskar Lafontaine e i Verdi di Joschka Fischer, conservando una rilevante forza politica, pari a circa un terzo dell'elettorato. Questi caratteri non sono ancora presenti nello scenario politico italiano».
Da zero a cento, quante chance dà alla Grande coalizione italiana?
«Più di zero, ma non saprei dire di quanto. In ogni caso il laboratorio politico italiano è entrato in azione ».
Molti, soprattutto nel centrodestra, confidano che fra qualche mese cambierà tutto.
«In Italia, come in Germania, c'è stato un effetto pareggio. Ed è in effetti un errore poter pensare che un pugno di senatori a vita faccia la differenza. Può essere che il laboratorio politico italiano abbia la possibilità di trovare delle soluzioni. Formule originali, oppure semplici varianti dello schema tedesco».
Ritiene anche lei che la Finanziaria sarà il passaggio cruciale del governo Prodi?
«Il problema non è fare una Finanziaria, ma quale Finanziaria fare. Partendo da un pareggio, sono convinto che la base elettorale della sinistra sia destinata ad essere erosa. I primi atti del governo hanno portato voti a noi. La Finanziaria li porterà via a loro».
Come fa ad affermarlo? Ha la sfera di cristallo?
«Il governo sta trasmettendo nel Paese il senso di una grande confusione. Quello che fa impressione è il contrasto continuo, dalla Tav alle nomine, dal risparmio agli annunci di dimissioni. Tutti i sondaggi ora ci danno ampiamente maggioritari. E governare essendo sotto nei sondaggi è difficilissimo: soprattutto se è certo che i consensi persi non si recuperano più».
Se il governo cadesse, si tornerà a votare?
«Non penso. Comunque non credo a formule tecniche, sarebbe una ulteriore anomalia dell'Italia rispetto all'Europa».
Monti sostiene la necessità della Grande coalizione, sottolineando però che non c'è una visione comune dei problemi. A sinistra ci sono grandi differenze sull'economia, a destra Tremonti ha sempre attribuito le responsabilità delle difficoltà economiche alla Cina e all'euro...
«Le stesse tesi che ho sostenuto nel libro
Rischi fatali le sostiene, per esempio, Nicolas Sarkozy. Dalle critiche alla politica monetaria, all'antitrust europeo, alla concorrenza asimmetrica che viene da Oriente. La mia impressione è che Monti sia liberista su tutto ma monopolista sull'idea dell'Europa. Sull'Europa si possono, e in questa fase storica si devono, avere anche idee molto diverse ma non per questo si è antieuropei».
Almeno condividete l'analisi sulla Grande coalizione.
«Veramente nell'estate scorsa andava di moda il Grande centro, che non c'entra nulla. Presuppone infatti il superamento degli schieramenti ed è permanente, non transitorio. In ogni caso, in politica non esistono monopoli e copyright».
Monti parla anche di un differenziale di competitività con l'Europa.
«Mi sembra che il differenziale più grave non sia fra Italia ed Europa ma fra l'Europa e il resto del mondo. L'Europa sta costruendo il mercato perfetto. Fuori dall'Europa e contro l'Europa si sta invece formando il cartello perfetto, con l'accordo fra la russa Gazprom e l'algerina Sonatrach. Nella strategia della competizione, l'energia è stata e sarà sempre più drammaticamente rilevante. Forse anche questo è un modo per guardare in modo diverso all'interesse dell'Europa».
Ma il metodo Angela Merkel, dice l'ex commissario europeo, potrebbe almeno fermare le lobby. Magari favorendo le liberalizzazioni avviate dal governo.
«Le liberalizzazioni sono una delle riforme necessarie. Ma i provvedimenti presi ora dal governo vanno nella direzione opposta. Il mio calcolo sul decreto di liberalizzazione è che produrrà più di un miliardo di nuovi adempimenti contabili imposti. La nuova contabilità non mi sembra la via maestra per la competitività».
(Sergio Rizzo)