Israele mira all’Iran
di Maurizio Blondet
09/08/2006


George W. Bush con il primo ministro israeliano Olmert a Washington


C'era da ridere a sentire come annaspava Vittorio Parsi in un'intervista Rai, quando gli è stato chiesto di commentare l'ultima iniziativa di Israele: la decisione di continuare in profondità, e di invelenire l'offensiva terrestre in Libano.
Vittorio Parsi è un ragazzetto molto stimato dal cardinale Ruini: così è diventato miracolosamente docente di Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano, e notista di primo piano ad «Avvenire».
Siccome è filo-giudaico, è ospite fisso da Gad Lerner e da Ferrara.
La sua tesi generale è che Israele (la seconda potenza atomica del pianeta) non fa che difendersi contro l'entità spettrale chiamata «terrorismo islamico», con cui l'Occidente è in guerra dall'11 settembre: insomma, rimastica, la risciacquatura dei media neocon.
Ora, la decisione israeliana di prolungare la guerra - evidente aggressione - accasciava il povero giovane.
«Ora questa è una guerra per la sopravvivenza stessa di Israele, e dunque contro il primo principio dell'Occidente», che sarebbe questo: l'Occidente non si può permettere che Israele venga cancellato dal mappamondo.
L'Occidente entrerà nella guerra planetaria per salvare Giuda.
Così pensano del resto molti cattolici, anche in Vaticano.
Per volontaria cecità alle informazioni reali, per soggezione culturale al cristianismo giudaizzante e neoconservatore.
Parsi, l'adolescente elevato al ruolo di docente di politologia internazionale alla Cattolica, ossequiosamente intervistato dai media (come tutti i filo-neocon) è mediamente meno informato dei nostri lettori.



E così ogni nuova manifestazione aggressiva di Israele lo prende alla sprovvista, e non sa bene come giustificarla, almeno finchè non ha letto il Jerusalem Post o il Foglio del giorno dopo.
I nostri lettori invece sanno che Israele ha preparato questo attacco immotivato da almeno un anno.
Sanno che una delle sue mire è annettersi il fiume libanese Litani, riserva d'acqua preziosa e già desiderata dai sionisti nel 1917 (e infatti la più recente decisione di Israele parla di far avanzare le truppe «almeno fino al Litani»).
Ma i nostri lettori inoltre sanno che Israele stava da mesi facendo pressioni sulla Casa Bianca per un obbiettivo più ambizioso: spingere gli USA ad attaccare le installazioni nucleari dell'Iran.
E Bush nicchiava: non per cattiva volontà noachica, ma perché per il bene d'Israele l'America ha già troppi fronti aperti, dove le cose non vanno affatto bene, e Bush sta crollando nei sondaggi di un'opinione pubblica che comincia ad averne abbastanza.
Ora, siamo in grado di dire che probabilmente l'attacco agli Hezbollah è appunto la preparazione all'aggressione all'Iran.
E lo facciamo come al solito citando la fonte (una fonte che il professor Parsi, miracolato di cattedra «cattolica», non conosce).
Parliamo di Gareth Porter storico e analista di sicurezza nazionale americano.
Gareth Porter dà alcune preziose informazioni. (1)
Cita Edward Luttwak, il noto polemologo americo-israelita, il quale ha raccontato che Israele fa da tempo pressioni sul Pentagono per il bombardamento dell'Iran; e che al Pentagono però hanno fino ad oggi resistito, adducendo la motivazione (o la scusa) che l'attacco avrebbe provocato la rappresaglia di Hezbollah, i quali avrebbero lanciato i loro razzi e missili sul territorio israeliano, provocando «migliaia di vittime».



Edward Luttwak


Perciò, secondo Luttwak, gli strateghi di Giuda hanno scatenato la campagna anti-Hezbollah proprio per distruggere preventivamente l'arsenale missilistico dei ribelli sciiti e bloccarne le vie di rifornimento ulteriore, sì da togliere agli americani la scusa per non agire contro Teheran, e forzar loro la mano.
L'attacco «preventivo» serviva appunto a ridurre la reazione Hezbollah e il numero dei morti in Israele.
Infatti, dice Luttwak: «[gli strateghi] sapevano che un attacco Hezbollah ben preparato e coordinato sarebbe stato molto più catastrofico che una reazione sotto attacco israeliano».
Può darsi non sia vero: questa è una guerra di illusionismi e menzogne.
Però Gerald Steinberg, specialista militare alla Barl Illan University di Israele e noto
echeggiatore delle posizioni dei generali sionisti, in un'intervista avvenuta la settimana scorsa con uno membro del Council on Foreign Relations, l'ebreo Bernard Gwertzman, ha ammesso: in Israele «c'è una certa aspettativa» che Bush, dopo le elezioni di medio termine a novembre, «deciderà che deve fare ciò che si deve fare» (cioè bombardare l'Iran).
Inoltre, questo Steinberg ha aggiunto che i comandi israeliani volevano «ottenere una valutazione» (get an assessment) se gli USA erano pronti a «presentare un attacco bellico contro le installazioni dell'Iran come l'unica opzione».
Il linguaggio è debitamente contorto, ma il senso è chiaro: forzare la mano agli americani, che paiono poco entusiasti di buttarsi in una nuova aggressione preventiva (crimine di guerra, en passant) dopo le altre in Iraq e in Afghanistan che danno così miserandi risultati.
No, Israele non vuole che la Rice o alcun altro trattino con Teheran: vuole la guerra «come unica opzione».



Ora, è comune valutazione dei ben informati (non Parsi, dunque) che Teheran abbia armato potentemente Hezbollah proprio perché li considera la «sua deterrenza contro Israele» (così Ali Ansari, professore alla Saint Andrews University di Scozia, ha spiegato al Toronto Star il 30 luglio).
Più che «deterrenza» la forza Hezbollah può essere definita «difesa avanzata».
Si dice che l'Iran possa colpire Israele dal proprio territorio, con il proprio missile a lunga gittata Shahab-3; ma il sistema antimissile Arrow, che gli USA hanno fornito ad Israele, è probabilmente in grado di intercettare gli Shahab durante il lungo volo balistico.
I razzi Hezbollah sono a ridosso di Israele e arrivano a destinazione immediatamente.
Così, secondo Haaretz che cita una innominata fonte dell'intelligence sionista, Teheran avrebbe fornito a Hezbollah 12 mila razzi.
In massima parte, è vero; kathiushe con gittata teorica di 8 chilometri, ma già inefficaci dopo
due: arma difensiva più che offensiva.
Ma c'è stata la fornitura di qualche missile più sofisticato.
Questo deterrente avanzato spiega perchè Mohsen Reza, l'ex capo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana, abbia detto ad attacco israeliano iniziato: «Israele e USA sapevano che, finchè ci sono gli Hezbollah, l'aggressione all'Iran può essere costosa per loro. Perciò devono eliminare queste forze in Libano, prima di passare all'Iran».
Tutto ciò è in un articolo sul New York Times del 25 luglio, a firma di Michael Slackman.
Che cita anche un anonimo iraniano «vicino ai più alti livelli del regime», il qualche avrebbe detto a proposito dell'aggressione al Libano: «Vogliono troncare un braccio dell'Iran».



Ehud Olmert del resto era volato da Bush il 23 maggio per convincerlo o costringerlo all'uso della forza preventiva contro Teheran: contro le stime della CIA secondo cui Teheran non avrà la prima bomba se non fra dieci anni, Olmert dice che il momento è «molto vicino».
E ha aggiunto: «Preferisco prendere le misure prima, piuttosto che scoprire poi che la mia indifferenza era così pericolosa».
Ovviamente in quella sede Olmert deve aver annunciato a Bush l'imminente campagna anti-Hezbollah e deve aver ottenuto l'approvazione del piano di riduzione della «deterrenza iraniana».
Uscito dal colloquio, si è infatti dichiarato «molto, molto soddisfatto».
Come al solito: Giuda comanda, l'America obbedisce.
Se ha ragione Gareth Porter, c'è qui la spiegazione del notevole arsenale di missili (o razzi) Hezbollah.
Anche se chi scrive continua a dubitare che questa pioggia di razzi sul nord-Israele sia una parziale finzione (rafforzata da tiri all'interno di Israele) (2), perché ciò è utile per far dire ai ragazzetti come Parsi che «è in pericolo l'esistenza stessa» dello Stato ebraico.
Infatti Israele ha trasformato un'aggressione che non sta andando bene, un blitzkrieg mezzo abortito, in una «lotta per la sua sopravvivenza»: convenientemente, per angosciare ebrei dentro e fuori Israele, e perché quando è questione di vita o di morte ogni arma è lecita.
Anche l'atomica.
Perché effettivamente il blitzkrieg giudaico è fallito.




Vittorio Parsi



Benchè non sappiamo cosa avvenga in linea (non c'è nessun giornalista con la truppa ebraica, questa «guerra» avviene nel buio informativo totale, riempito da disinformazione e menzogne), la resistenza incontrata da Tsahal pare essere sorprendente.
Il generale Dan Halutz, per esempio, è stato rimpiazzato come comandante dell'invasione.
Ma siccome Dan Halutz è uno dell'aviazione, la sua rimozione può significare sì che l'arma aerea abbia fallito nel distruggere Hezbollah; ma può anche dire che ora che l'attacco continua con la fanteria corazzata, occorreva un generale di fanteria.
In ogni caso, si delinea esattamente quel che ha detto la Rice: che la distruzione del Libano
è solo «l'inizio dei dolori del parto di un nuovo Medio Oriente».
Israele è all'attacco per una guerra finale contro i suoi nemici.
Attaccherà la Siria (che è debole), farà attaccare dagli USA l'Iran, e l'escalation arriverà probabilmente fino all'olocausto nucleare dei persiani.
Lo aveva detto una settimana prima a Rawalpindi il generale pakistano Hamid Gul, l'ex capo dell'ISI (servizi segreti): «L'America attaccherà in ottobre Siria e Iran». (3)
Il generale Gul è l'uomo che in stretta collaborazione con la CIA ha creato negli anni '80 Al Qaeda (intesa come la lista dei mujaheddin mandati a combattere i sovietici in Afghanistan) e i Talebani (sempre per conto della CIA); ora parla con la rabbia e il pessimismo di chi si sa tradito.
Infatti ha aggiunto che, poi, lo stesso fato del Libano e dell'Iran toccherà ad «Arabia Saudita e Pakistan».
Può darsi che esageri.
Ma attenzione: così in Oriente si percepisce Israele.
Essa è vista ormai come lìinsaziabile belva super-armata che vuole distruggere ogni Paese musulmano, anche «amico» degli USA.



La stretta di mano tra Cheney e Olmert il 24 maggio: Israele chiama, gli Stati Uniti rispondono.



Il martirio del Libano ha confermato i generali pakistani in questa convinzione.
Il Libano aveva tutto per piacere all'America.
Era diventato «democratico».
Aveva cacciato la Siria, come richiesto da Giuda; era filo-occidentale; non minacciava certo Israele.
Eppure è stato devastato dalle fondamenta, Washington non l'ha salvato dalla vendetta giudaica.
A che serve, allora, essere «amici» degli Stati Uniti?
Questo pensano i generali in Pakistan.
E i generali del Pakistan hanno - contrariamente a Teheran - un arsenale atomico, che stanno rapidamente rafforzando.
Come scrive Israel Shamir, tutti i Paesi musulmani cominciano a pensare che Israele non sarà mai un vicino pacifico ma, «come dice il presidente iraniano Ahmadinejad, un'entità bellicosa per natura, che dovrà essere liquidata come lo fu il regno crociato».
Alla fine, dunque, Israele mette davvero in pericolo la propria esistenza.
Ma la domanda da farsi è quella opposta: Israele riconosce il diritto all'esistenza delle popolazioni arabe e musulmane?
L'avanzata «almeno fino al fiume Litani», cui seguirà un'occupazione permanente del Libano meridionale, provocherà un altro milione di profughi che non torneranno mai più alle loro case; l'attacco che continua garantisce che il milione di senzatetto libanesi bloccati dai bombardamenti giudaici non ricevano alcun soccorso per altri mesi: si profila un genocidio di dimensioni inaudite, perché Israele spara sui convogli umanitari e ne vieta il passaggio.



I Parsi (e molti cattolici, anche ai più alti livelli in Vaticano) tollerano con equanimità questo orrendo crimine, perché per loro è l'esistenza di Israele che conta.
In Pakistan come in Iran si comincia a pensare alla propria sopravvivenza.
E quando si tratta di vita o di morte, le testate nucleari entrano in gioco.

Maurizio Blondet




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Note
1) Gareth Porter, «Clearing the path for US war on Iran», Asia Times, 10 agosto 2006.
2) Per esempio, questi razzi portano scritte in inglese. A posteriori, è stata fornita una cervellotica spiegazione dal servizi giudaici: quei razzi, cinesi come modello, sono fabbricati in India su licenza. Posto che appare improbabile che Pechino abbia dato la licenza di costruzione di missili a Delhi, sua nemica fino a ieri, bisogna concludere che l'India fornisce all'Iran l'armamento che poi arriva agli Hezbollah. E allora perché Israele risparmia l'India, questa complice del «terrorismo»? Perché non la bombarda con le sue 300 testate atomiche?
3) «America will attack Syria, Iran in october: Gul», Pakistan Time, 2 agosto 2006.




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