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Discussione: L'Imbroglione (2)

  1. #11
    Hanno assassinato Calipari
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    "Il programma YURI il programma"
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    Citazione Originariamente Scritto da diegol22 Visualizza Messaggio
    ma dico...perchè il governo si è cacciato in una cosa del genere?
    quale cosa?

  2. #12
    a.k.a. tolomeo
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    Citazione Originariamente Scritto da yurj Visualizza Messaggio
    quale cosa?
    E D'Alema telefonò a prodi...Massimo D'Alema telefonando a Romano Prodi, avrebbe sollecitato il «sacrificio» di Rovati, perchè «altrimenti diventa più difficile difendere te».

    Quanto successo è qualche cosa che in Europa o in altre democrazie occidentali porterebbe alle immediate dimissioni del capo del governo.
    Figuriamoci poi se al posto di Prodi ci fosse Berlusconi la procura di Milano avrebbe già aperto un fascicolo per associazione per delinquere finalizzata alla speculazione,
    aggiotaggio e interessi privati in atti di ufficio.
    emergono fatti che dimostrano come non abbiamo un Consiglio dei ministri, ma un consiglio di amministrazione.
    In sostanza, sullo scandalo Telecom ci sono due possibilità: Rovati mente... o mente Prodi.
    o tutti e due.....
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

  3. #13
    SENATORE di POL
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    Attendiamo tutti fiduciosi l'intervento risanatore della Procura di Milano.


    Shalom


    P.S.= i veri "bananas" sono i cojones sostenitori di Mortadella

  4. #14
    SENATORE di POL
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    " Il sogno di Romano: ricostruire l'Iri

    di ANTONIO MARTINO

    "
    Le dimissioni di Marco Tronchetti Provera da presidente della Telecom sono la conclusione di quello che temiamo sia solo il primo atto di una farsa decisamente brutta. Gli succede il professore Guido Rossi che disse del governo D'Alema che aveva trasformato palazzo Chigi nell'unica merchant bank in cui non si parlasse inglese. Le dimissioni di Tronchetti sono da imputarsi alla intromissione di Romano Prodi nelle decisioni del consiglio di amministrazione di una società privata quotata in Borsa. Prodi ha lamentato di non essere stato preventivamente informato di quanto il consiglio di amministrazione avrebbe deciso. La cosa è singolare perché non si vede proprio per quale ragione il consiglio di amministrazione di una società privata dovrebbe informare preventivamente il capo del governo di quanto intende decidere. Si ha la sensazione che Prodi ritenga di essere ancora il presidente dell'Iri e che (tutte?) le aziende italiane siano di proprietà del gruppo da lui presieduto.
    Il Vietnam del Professore.
    Questa inconsapevole nostalgia di Prodi per gli anni della sua presidenza dell'Iri non risulta comprensibile perché a giudizio di molti egli è stato di gran lunga il peggiore dei presidenti dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale. Tanto per dare un'idea, il Corriere della Sera il 25 febbraio 1996 intitolava così un articolo dedicato all'argomento: "L'Iri, il Vietnam del Professore" (la definizione è dello stesso interessato) e ricordava che dal 1982 al 1989 i debiti finanziari netti del gruppo erano passati da 32 mila a 45 mila miliardi e che lo Stato aveva dovuto versare 18 mila miliardi nelle casse del gruppo. Se si aggiunge che in quegli anni il numero degli occupati venne ridotto di ben 140 mila unità e si considera il gran numero di episodi scandalosi che li caratterizzarono, non si capisce di cosa Prodi abbia nostalgia. Si pensi solo al caso dell'Alfa Romeo, ceduta alla Fiat per 550 miliardi, dopo che l'anno prima l'Iri ne aveva investito ben 700, o alla questione Cirio, svenduta e con un contorno di intrighi assai poco edificante. La lamentela di Prodi non è soltanto incomprensibile, perché non c'era motivo per informarlo e preventivamente di quanto si sarebbe deciso nel consiglio di amministrazione di una società privata, è anche falsa. Il ruolo di Angelo Rovati Il piano adottato dal cda della Telecom, infatti, era basato su un documento inviato da Angelo Rovati, consigliere di Prodi, a Tronchetti Provera su carta intestata della presidenza del Consiglio! È quindi scarsamente credibile che Prodi non ne sapesse nulla. Quanto al contenuto del piano, è semplicemente sbalorditivo che lo scorporo della Tim dalla Telecom venisse implicitamente presentato come premessa per la "rinazionalizzazione" di quest'ultima: ci si ripromette(va) di scaricare sui contribuenti l'enorme montagna di debiti accumulatidalla Telecom, società con cui il centro-sinistra da anni si diletta a fare affari (vedi il commento del professore Rossi sopra citato). Non basta. Il nostro ineffabile presidente del Consiglio, alla comprensibile richiesta della Casa delle libertà di venire a riferire in Parlamento sull'accaduto, aggiunge un'ennesima gaffe al suo prodigioso repertorio, dichiarando, prima di cambiare idea a causa delle pressioni dei suoi alleati: «Siamo matti? Lasciamo stare le chiacchiere, ne abbiamo fatte anche troppe». Il che fornisce la misura del rispetto per il Parlamento che ispira questo fior di democratico. Non contento di ciò, aggiunge che il documento inviato dal suo consigliere Rovati a Tronchetti «è una vicenda privata». Le minacce del governo Né la storia si conclude qui. Non solo Prodi, ma anche diversi suoi ministri, stigmatizzando la mancata informazione da parte di Tronchetti, si lasciano andare a minacce non tanto velate e argomentazioni risibili. Così, qualcuno minaccia di ricorrere alla "golden share" al potere di veto del governo - ipotesi questa subito bollata come inammissibile dalla Commissione Europea - qualcun altro ipotizza la revoca della concessioni, in un crescendo di assurdità e di farneticazioni demenziali. La ciliegina sul gelato viene offerta dalla tesi ribadita a tutto spiano che bisogna tutelare l'italianità della telefonia mobile. Al riguardo si potrebbero dire molte cose, ma basta ricordare la valanga di contumelie che le stesse persone riversarono su Antonio Fazio quando questi si riprometteva di difendere l'italianità del sistema bancario per rendersi conto che non siamo in presenza di persone serie: siamo di fronte a guitti di una lugubre farsa.
    "

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  5. #15
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    dal quotidiano LIBERO di oggi


    "Stop ai dossier proibiti, ma attenti ai roghi

    di OSCAR GIANNINO


    Caro direttore, ieri Romano Prodi ha fatto in fretta, a montare sul provvidenziale intervento della Procura di Milano, che dopo anni di indagini consegna tempestivamente la bomba delle intercettazioni illecite di Telecom in modo tale da consentire al premier di tentare un salvifico giramento di frittata. Non si parli più delle indebite intromissioni del premier acchiappa-banche e acchiappaaziende, del dossier Rovati che Prodi dice di non aver mai letto, della contraddizione palese tra la versione ufficiale secondo cui il presidente del Consiglio non sapeva nulla, e la telefonata pervenuta invece ai vertici Telecom dal fido prodano Daniele de Giovanni poche ore prima del cda dell'11 settembre. Una telefonata nella quale, a nome del premier, si esternava la sua insoddisfazione profonda, perché la delibera che sarebbe stata presentata da Tronchetti con lo scorporo tra rete fissa e mobile non corrispondeva a ciò che Prodi si aspettava. Vai invece con la grancassa della gravissima minaccia rappresentata dalla banda Tavaroli-Telecom con le sue intercettazioni e predisposizione di fascicoli riservati a migliaia, su banchieri, imprenditori concorrenti del gruppo telefonico, politici e via continuando. Prodi ha fatto persino contattare l'opposizione, ieri, per averne il consenso e concordare al volo il decreto legge con cui è stata immediatamente disposta l'immediata distruzione delle migliaia di dati riservati accumulati dalla banda degli spioni in Telecom. Potete ora scommetterci che, come Prodi ha già annunciato, entro pochi giorni apprenderemo che il governo ha avviato il repulisti del Sismi, perché vedrete che alla fine la tesi di pm e prodiani sarà che era il servizio militare d'informazioni il vero capofila della ghenga che per anni da Telecom ha spiato migliaia di cittadini. Occhio, caro direttore. Cerchiamo di non farci cascare almeno i nostri lettori. Perché Prodi è padrone di cercare di salvare la sua faccia. Ma che il premier abbia ricevuto ferite profonde, in conseguenza dei suoi errori, lo testimonia il grido di dolore in cui è prorotto ieri alla festa dipietresca dell'Italia dei Valori. «Se vado a casa io, non sarò il solo», ha detto. Una minaccia evidente ai suoi stessi alleati dell'Unione, che giorno dopo giorno, increduli dei suoi errori giganteschi su Telecom, lo hanno costretto a sempre più penosi e sistematici voltafaccia e rimangi di parola. Un tempo, quando c'era la cosiddetta Prima Repubblica, se un presidente del Consiglio parlava in quei termini alla sua coalizione, era il segno più evidente che i suoi stessi alleati si accingevano ormai a mandarlo a casa. Probabilmente questa volta non avverrà, ma una cosa è certa. La bomba Telecom non ha solo coperto di fango Tronchetti e mandato in carcere tutti i suoi uomini di diretta fiducia che si sono occupati per anni della sicurezza in azienda (però chapeau a Tavaroli, che ieri ai pm ha tentato di salvare Tronchetti dicendo che riferiva all'amministratore delegato Carlo Buora, anche se la faccenda non cambia). Un fango che Guido Rossi tenterà di ridurre ai minimi termini: non sfugga che ieri ha depositato la sua "relazione" sul cda di Telecom dell'11 settembre alla Procura di Milano con cui spesso è andato a braccetto, non certo a quella di Roma che di suo aveva aperto un fascicolo rivendicando la competenza territoriale. Ma la vicenda Telecom ha anche introdotto una lancia dritta dritta nel costato di Prodi. E quella lancia continuerà a spargere sangue, c'è da contarci. Veniamo però al fatto eclatante di ieri, il decreto distruggi-fascicoli riservati accumulati in Telecom. Occhio direttore, mettiamo subito i lettori sull'avviso. Per noi che cominciamo ad avere un po' di anni, è giocoforza risalire a un'analoga vicenda, che per decenni è rimbalzata nella vita pubblica italiana fino a noi, come uno dei massimi misteri insoluti della repubblica. Vi ricordate dei fascicoli accumulati a migliaia, anch'essi illegalmente, da parte del Sifar guidato dal generale Giovanni De Lorenzo? Anche in quel caso erano non solo intercettazioni telefoniche ma vere e proprie schede informative poliziesche su politici, militari, ecclesiastici, uomini di cultura, sindacalisti e giornalisti, compilati diligentemente dal 1955 almeno fino al 1962. Non tanto in vista di un colpo di Stato, come la sinistra volle dire per anni, quanto per influenzare, ricattare, delegittimare, promuovere amici, screditare avversari: esattamente come nel caso Telecom. Si documentava la predilezione del presidente Saragat per gli alcoolici, le donnine di tanti industriali, i vizietti di tanti politici. Dopo anni e anni di smentite sulla loro esistenza, alla fine invece se ne accertò ufficialmente la sopravvivenza al generale, che ormai era stato defenestrato. E a chi toccò la loro distruzione? A un sottosegretario alla Difesa considerato di sicura fiducia per il suo partito, e di indiscussa lealtà alla Repubblica. Giulio Andreotti, proprio lui. Mistero in persona. Con che risultato? Che per decenni nessuno davvero potè essere certo, che quella massa di fango era stata distrutta. Tanto che quando a distanza di 15 anni venne sequestrato l'archivio uruguayano e quello italiano presso la villa di Castiglion Fibocchi di Licio Gelli, il venerabile capo della Loggia P2, a decine insorsero certi del fatto che Andreotti in realtà era stato lui a passarli all'"amico", perché potesse nell'ombra continuare la sua opera di indebita ingerenza nella vita pubblica italiana. Una commedia del tutto analoga si verificò in relazione alle migliaia di fascicoli riservati accumulati dal servizio sicurezza del ministero degli Interni dal prefetto Federico Umberto D'Amato. E solo 20 anni dopo il capo della Polizia Vincenzo Parisi poté garantire, che nulla restava di quei dossier. Ora domando e dico: chi ci dà davvero la sicurezza che la distruzione dell'archivio dossierato di Tavaroli e Cipriani, dopo anni e anni di spionaggio illecito sul doppino telefonico e nei nostri conti bancari, sia sul serio distrutto? A maggior ragione quando a differenza dei tempi preistorici andreottiani è oggi banalissimo replicare in pochi minuti i supporti elettronici, sui quali quelle migliaia di dati sensibili sono stati registrati? E quando si tratta di documenti, computer e dischetti che da mesi sono nella disponibilità della Procura di Milano? Occhio direttore, io non voglio beccarmi querele. Ma devo dirti una cosa fuori dai denti. Che davvero Andreotti abbia distrutto quei dossier del passato, io non lo so e non ci metto la mano sul fuoco, anche se Francesco Cossiga più volte ha ricostruito da par suo la vicenda e dato la sua parola, alla quale credo come poche altre. Ma che i signori procuratori, avvezzi da anni a usare ogni possibilità per affermare la propria centralità nella vita della politica e dell'economia italiana, siano essi la garanzia dell'avvenuta distruzione decretata ieri sul tamburo da Palazzo Chigi, ebbene ci vuole una bella dose di buona volontà per crederlo. E a noi, diffidenti per natura e due volte quando si tratta di ingerenze dei pm, la buona volontà su questo fa proprio difetto. vice-direttore di Finanza&Mercati

    "


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  6. #16
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    "Ha mentito al Paese Adesso si dimetta

    di GIULIO TREMONTI

    Pubblichiamo l'intervento tenuto ieri alla Camera dall'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, durante la seduta per l'informativa del presidente del Consiglio Romano Prodi sulla vicenda Telecom.

    Signor presidente, onorevoli colleghi, è stato davvero un piacere, presidente Prodi, vederla finalmente entrare in quest'aula; francamente, non è stato un piacere sentirla parlare a quest'Assemblea. Lei non è riuscito a difendere né il suo operato né il suo consigliere. Qui ci ha parlato di molto, anche con insistiti, intimistici frammenti della sua storia professionale. Ci ha parlato di tutto questo, ma non dell'essenziale: della ragione per cui è stato convocato oggi in quest'aula. LE COLPE DEL PASSATO Per favore, non divaghi sul futuro del capitalismo e delle telecomunicazioni. Userò una sua immagine: se schiacci il tubetto, poi è difficile rimetterci dentro il dentifricio. Nel 1997 è lei che ha schiacciato il tubetto della Telecom, privatizzandola istantaneamente e totalmente. È lei che ha messo la Telecom sul mercato dei capitali, senza che ci fossero i capitalisti! Dopo nove anni, adesso ci dice che si deve correggere quel suo errore. Dubito che sia possibile farlo con mezzi politici corretti: non con la nazionalizzazione, non arrangiando una cordata più o meno filogovernativa, non aggirando la normativa europea. Il Governo avrà modo di esporci i suoi piani sul capitalismo, sulle telecomunicazioni; ma noi qui, oggi, vogliamo parlare di un'altra cosa. Vogliamo parlare dell'affare Telecom, del suo ruolo in questo affare, della sua azione di subgoverno, della cattiva politica per cui sull'Italia è riapparso il rischio paese. È, infatti, considerato a rischio dall'estero un paese in cui il Premier fa incontri privati non verbalizzati e comunicati pubblici su soci esteri e controllate estere di un gruppo privato. Signor Presidente, lei è stato eletto con un programma - glielo ricordo - in cui si impegnava a favorire la trasparenza e la legalità dei mercati. Basta leggere il suo comunicato stampa suicida dell'8 settembre per avere la prova che lei ha fatto esattamente l'opposto!ECONOMIA DOMESTICA Partiamo dall'inizio, dal decreto di gabinetto della sua Presidenza del Consiglio. Qui troviamo registrato il signor Rovati come consigliere politi co ed economico. Escluso il politico - perché Rovati stesso dice che di politica non si interessa e non si occupa - resta l'economico. In attesa di smentita, a seguito della chiamata di Rovati per chiara fama ad una qualche cattedra di economia, dobbiamo chiederci qual è il tipo di economia per cui un economista solido e famoso come lei si consiglia con Rovati. Deve essere un tipo molto particolare di economia, diciamo in senso aristotelico; economia da oikos, economia privata, economia domestica. Forse, è per questo che il vostro piano l'avete definito come artigianale. Ma non buttatevi giù! Non è un piano artigianale: è un piano industriale; anzi, un piano settoriale e istituzionale, un piano da cui tutti avrebbero guadagnato, tranne qualcuno. Avrebbe dovuto guadagnarci la Telecom, ipoteticamente ristrutturata nel suo assetto patrimoniale e finanziario; le banche creditrici, rientrando sui crediti e risolvendo qualche problema di ratios di Basilea 2; le fondazioni, estendendo il loro ruolo sull'economia; forse, un industriale interessato ai telefonini e, soprattutto, la sua ditta politica, con le mani in pasta come regista nella ristrutturazione di un settore chiave dell'economia, delle comunicazioni e della politica. Dimenticavo di dire chi ci avrebbe perduto: il contribuente italiano. Signor Presidente, il suo non è stato un errore di calcolo economico: «qualche sbavatura», dice il ministro Bersani. È stato un errore di calcolo politico. Un errore che si è manifestato all'interno del vostro circuito di potere.ERRORE DI CALCOLO Qual è la dinamica dell'affare? Il presidente D'Alema ha iniziato le sue vacanze convinto della fusione SanpaoloMonte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sul giornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi, ha letto sul giornale dell'affare Telecom, di un affare che, alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilaterale, bensì unilaterale. È questo il suo errore di calcolo! È questo che ha causato il cortocircuito politico. È questo che l'ha portata a fare i comu nicati stampa suicidi che lei ha fatto. Veda, il problema non è lo scorporo dei telefonini da Telecom: il problema è lo scorporo, che lei ha tentato, dall'affare Telecom di un pezzo di maggioranza. Com'è stato scritto autorevolmente, signor presidente, la sua è una vocazione storica; è sempre stata quella: una vocazione sensale ad orchestrare affari. Ma, poi, lei ha fatto un salto di qualità, un progresso. Per compensare il suo deficit di forza politica, lei ha cercato di acquisire un surplus di forza economica: lei è stato fulminato sulla via telefonica al partito democratico! Qui voglio essere chiaro. Tra gli elettori della sinistra, tra gli eletti della sinistra, non domina questa ideologia, dominano valori e principi: diversi dai nostri, ma valori e principi. È a Palazzo Chigi che si concentra un'idea storta della politica, la confusione tra affari e politica! Vedo che ride, Presidente Prodi; e questo certamente rallegra chi ascolta. Veda, lei ha l'idea che la politica serva per fare gli affari e, soprattutto, che gli affari servano per fare politica. Questo il paese deve sapere. Questo il paese non può accettare. IDEALI DIMENTICATI Veda, nella terza Repubblica francese, nel pieno di uno scandalo come il suo, un uomo di governo si difese dicendo: «Delle due l'una: o non sono onesto o non sono capace». La risposta fu: «Il cumulo delle cariche non è vietato». Quante cariche ha, Presidente Prodi? Esploso lo scandalo, lei ha detto: «Mi sento metà Presidente del Consiglio, metà assistente sociale». Che lei sia, per metà, assistente sociale, lo concordi con i suoi alleati; ma che lei sia un Presidente dimezzato lo ha detto lei stesso, e noi non abbiamo difficoltà a concordare su questo. Dimezzato, commissariato, tanto debole da formulare una minaccia d'ultima istanza: «Se vado a casa, porto anche voi con me!». Non sarebbe una cattiva idea! Ancora, lei ha detto: «Quando un imprenditore parla al presidente del Consiglio, deve dire la verità». Vale lo stesso anche per lei, Presidente Prodi: quando il Presidente del Consiglio parla in Parlamento deve dire la verità. Invece, oggi, lei - ridendo ha mentito... ha mentito all'Assemblea, ha mentito agli italiani. È per questo che lei, da oggi, non può governare questo paese con la necessaria dignità. Continui a ridere! *DEPUTATO DI FI
    "

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  7. #17
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    dal quotidiano LIBERO di oggi


    "«Il Professore ci racconta solo favole»

    di PIER FERDINANDO CASINI


    Il discorso in aula con cui Casini ha replicato alle giustificazioni del premier sul caso Telecom: «Vogliamo la verità. Stiamo discutendo di una vicenda che tocca i temi della democrazia e l'esercizio del potere esecutivo»
    Pubblichiamo di seguito ampi stralci dell'intervento del leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, pronunciato giovedì alla Camera, in replica alle dichiarazioni del premier, Romano Prodi, sul caso Telecom.


    Come sa il presidente Prodi, parlo a nome di un partito che interpreta il ruolo dell'opposizione in modo responsabile e penso che l'abbiamo dimostrato in tutta questa legislatura su temi cruciali come quelli di politica estera. E l'abbiamo fatto nell'interesse del Paese. La politica la conduciamo in Parlamento più che nelle piazze a viso aperto e con fermezza come credo lo debba fare una forza politica seria di opposizione. Siamo moderati ma questo non significa che siamo ingenui. Non vogliamo soprattutto in questa sede assistere a racconti di favole. A Fassino dico una cosa semplice non avendo né Fini né Tremonti bisogno di difensori. Non capisco perché dovremmo essere gli unici italiani non interessati a chiarire e a rispondere alle domande che tutti i giorni si pongono i giornali del Paese. Tutti, anche coloro che non hanno sostenuto il centrodestra nelle recenti elezioni! Il presidente ci ha ripetuto quello che sapevamo, ciò che è stato dichiarato sui giornali: che del piano Rovati non sapeva nulla, che nulla sapeva dei progetti di scorporo! Purtroppo questi chiarimenti, che era doveroso venire a fornire al Parlamento non hanno aggiunto nulla e nulla hanno davvero chiarito; anzi hanno accresciuto la curiosità e il desiderio di conoscere la verità. Questo è il ruolo di un'opposizione, altro che lamentarsi di quello che l'opposizione dice! Avrei voluto, nelle condizioni inverse, vedere voi che cosa potevate dire al presidente Berlusconi nella scorsa legislatura in casi analoghi. Stiamo discutendo di una vicenda che tocca i temi della democrazia e non mi riferisco alle intercettazioni, di cui l'Udc è parte lesa poiché il nostro segretario è stato tra coloro che sono stati spiati illegalmente. Mi riferisco, invece, alle questioni di oggi, al rapporto tra politica ed economia, alla trasparenza nelle grandi operazioni finanziarie, alla tutela dei consumatori, all'esercizio del potere esecutivo e all'attività di controllo del Parlamento. L'8 settembre Palazzo Chigi smentiva una presunta intromissione sulle scelte industriali di società italiane e internazionali nella vicenda Telecom. Il titolo di quella nota, diffusa dalla presidenza del Consiglio, non lasciava spazio a interpretazioni: nessun altolà di Prodi alla vendita di Tim! Ma il 12 settembre, dopo la notizia ufficiale del progettato scorporo, il presidente si dice sorpreso. Ammette di aver avuto 10 giorni prima un colloquio con Tronchetti Provera, durante il quale però nessuno aveva accennato a una ristrutturazione societaria così importante. Peccato che il giorno seguente una inconsueta nota di Palazzo Chigi informa di ben due colloqui avuti da Prodi con Tronchetti Provera e rivela, a mercati aperti, i dettagli del piano di ristrutturazione dell'azienda coinvolgendo una serie di grandi società, come Time Warner (Murdoch) e General Electric. Questa incauta, per usare le parole del Wall Street Journal, sfrontata irruzione del governo negli affari di una società quotata è la dimostrazione della leggerezza e della contraddizione dell'esecutivo nel rapporto che deve intercorrere tra governo e mercato! Tutti, inoltre, abbiamo visto le fotocopie del biglietto autografo su carta della presidenza del Consiglio con il quale si invia un articolato studio, 28 pagine, con due ipotesi alternative di ristrutturazione aziendale. Lei ha insistito nel dirsi sconcertato dalla sua mancanza di informazione sul futuro di Telecom. Noi denunciamo il nostro sconcerto per quello scambio segreto di informazioni, ma è logico definirle intromissioni o indebite pressioni e non ci può bastare quanto ci è venuto a dire! Dai verbali del consiglio di Telecom acquisiti dai magistrati risulta l'altra verità, quella di Tronchetti Provera che aveva informato il presidente del Consiglio del progetto di scorporo di Tim. Allora chi dice la verità? Sento il dovere di porle alcune domande. Anzitutto, chi ha redatto quello studio? La nostra non è una curiosità fine a se stessa, ma serve a dissipare dubbi legittimi su connessioni tra governo e banche d'affari internazionali e in particolare una, che annovera fra i suoi ex dirigenti componenti del governo, circostanza che rende doverosa una spiegazione molto più esauriente delle sue assicurazioni riguardo al fatto che a Palazzo Chigi non c'è una banca d'affari. Il dossier Rovati prevedeva il successivo acquisto di Tim da parte della Cassa depositi e prestiti, ossia da parte dello Stato e qui vengo alla seconda domanda. È uno scenario di strategia industriale condiviso dall'esecutivo, perché una gran parte della sua maggioranza condivide questo scenario ed è quella stessa parte che due anni fa voleva l'entrata dello Stato nella Fiat. Il tema è delicato, perché dettare le regole per il funzionamento del mercato è un compito specifico del Parlamento, non del governo. Secondo il piano, insieme alla Cassa depositi e prestiti dovevano entrare soci minori. Fughiamo i dubbi. C'era una cordata precostituita, o il governo è stato solo spettatore? Presidente, quando le ricordo che non siamo ingenui, mi riferisco anche a una certa memoria delle privatizzazioni. Qualcuno ci dovrà spiegare perché il primo governo Prodi decise nel '97 di pilotare la privatizzazione di Telecom, consegnandola in mano alla Fiat permettendole di governare con un nocciolo duro molto piccolo, in cui la Fiat aveva appena lo 0,6%. Due anni dopo, con un altro governo di centrosinistra, l'attuale governatore di Bankitalia, Draghi, allora direttore generale del tesoro, fu obbligato da D'Alema a disertare la riunione decisiva dell'assemblea Telecom. La sua presenza avrebbe fatto scattare il numero legale e impedito che l'azienda finisse in mano a una cordata di imprenditori graditi all'esecutivo, con la compiacenza delle banche, che non sono spettatrici - cosa che invece avvenne - ma, guarda caso, l'unico fra questi imprenditori che avesse una politica industriale, Roberto Colaninno, fu costretto a lasciare poco dopo. È questa la politica industriale su cui lei vuole oggi impartirci una lezione? Vorrei sollevare una questione che riguarda Di Pietro. Il ministro delle Infrastrutture Di Pietro il 13 settembre, a mercati aperti, ha chiesto pubblicamente le dimissioni di Tronchetti Provera, presidente di un'azienda privata legittimamente nominato dagli azionisti. Quelle dichiarazioni hanno determinato la caduta del titolo Telecom, un danno per i risparmiatori e la conseguente apertura di un fascicolo della procura di Roma. Ma il fatto grave è che Di Pietro abbia rilasciato questa dichiarazione mentre decideva il destino di uno degli azionisti principali di Telecom, la famiglia Benetton, la cui società Autostrade sta portando avanti un processo di fusione con Abertis sul quale l'assenso di Di Pietro è determinante. Bell'esempio di politica industriale, basata sul conflitto di interessi e la turbativa dei mercati. Alla fine di questa vicenda è chiara l'inadeguatezza del governo e la debolezza del capitalismo italiano. Se si vuole privatizzare bisogna avere il coraggio di aprire i mercati, altrimenti il consumatore non avrà il beneficio della liberalizzazione, le tariffe non si abbasseranno. Se si vuole privatizzare con dei destinatari precisi ma senza capitali, si avrà un processo di liberalizzazione che non serve al consumatore. Infine, è la ventesima volta che la sento parlare di authority, ma bisogna essere chiari. Un conto è occupare gli enti pubblici come questo governo ha fatto, un conto è minacciare le autorità di riformarle drasticamente, perché questo lede i principi di autonomia delle autorità. Non siamo soddisfatti delle sue parole. Noi abbiamo affrontato delle questioni in modo anche crudo, ma l'opinione pubblica non si aspetta che facciamo dei balletti da salotto, ma che affrontiamo le questioni che non hanno ancora una risposta davanti a tutti gli italiani.

    "


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  8. #18
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    "AVANTI POPOLO, ALLA RISCOSSIONE

    di OSCAR GIANNINO

    Lo sciopero dei giornali per mettere il silenziatore al più grande imbroglio di Prodi & C.


    Caro direttore, l'ho scritto dal primo giorno della formazione del governo, ai lettori di Finanza& Mercati e di Libero, che con Vincenzo Visco alle Finanze avremmo riavuto di fronte il più lucido e temibile avversario di chi pensa che viene prima l'individuo e poi lo Stato, prima la crescita e poi la ridistribuzione, prima la libertà e poi quel minimo di vincoli necessari a tenere in piedi il consorzio civile. La scommessa è vinta, caro direttore. La prima Finanziaria del governo Prodi-bis è una esplosione nucleare statolatrica. Contraddice una serie di impegni assunti dall'Unione e dai suoi leader in campagna elettorale, e dunque tradisce in primis il proprio stesso elettorato. È stata preceduta da mesi di finti confronti tra parti e controparti, ma perpetrando solo all'ultim'ora sul tavolo tre espropri uno più grave dell'altro, e approfittando del connivente sciopero della stampa, perché il Paese sapesse solo troppo tardi e a cose fatte. È la definitiva disillusione di chi pensava che Tommaso Padoa-Schioppa potesse essere il punto di riferimento ragionevole di un'ala riformista del centrosinistra capace di tenere a bada l'ala antagonista. Consegna all'Italia il triste primato di essere l'unico Paese dell'Ocse che decide in maniera autolesionista di andare controcorrente, e di rimettere mano a una risalita massiccia del prelievo fiscale su persone e imprese, quando da un quindicennio cresce di più chi abbassa le imposte. Vediamo di dare al lettore esempi concreti per far capire che le accuse non sono mosse da spirito di contrapposizione, ma si basano su dati di fatto. Oggi a Milano Prodi e Padoa-Schioppa spiegheranno ai giornali "amici" che la loro Finanziaria è tutt'altra cosa rispetto alla macelleria di cui li accusiamo. Si diffonderanno nel chiarimento dei 33,4 miliardi di euro in cui si articola la manovra. Ma delle loro riaggregazioni invito apertamente a diffidare. Il segno della Finanziaria è l'aggravio fiscale: i 10 miliardi di contenimento della spesa pubblica sono sopravvalutati, mentre nascono nuove Agenzie come quella per l'autonomia scolastica ed è ridicolo visto il centrosinistrra non ne ha mai voluto sentir parlare. Alla cifra di 33,4 miliardi si giunge non certo per rispettare il tetto di deficit del 3% contrattato con Bruxelles - sarebbe bastata una cifra pari a un terzo della manovra - bensì per avere decine di miliardi aggiuntivi a disposizione del governo, da contrattare col sindacato e amministrati dai cosiddetti «incentivi alla crescita». E come si arriva alla maxi stangata espropriatrice? Attraverso tre plateali sbugiardamenti di impegni che l'Unione aveva preso. Fino a poche ore prima del Consiglio dei ministri a coloro che gli crede vano Visco spergiurava che l'aggravio del prelievo sulle persone fisiche avrebbe riguardato solo coloro che avevano più di 70 mila euro l'anno. In tutta la campagna elettorale l'Unione ha gridato che non avrebbe mai ritoccato le aliquote dell'ex Irpef. Ebbene Visco e l'Unione mentivano: tutte le aliquote sono state riviste, e gli aggravi iniziano a riguardare i 9 milioni di soggetti che hanno un reddito tra 15mila e 26.500 euro - che passano da un aliquota dal 23 al 27%; penalizza un milione e mezzo di contribuenti che stanno tra i 28mila e i 33.500 euro di reddito - che passano da un'aliquota del 33 a una del 38%; e altri 600 mila, tra i 55mila e i 75mila euro di reddito, che passano da un'aliquota del 39 a una del 41%; infine tartassa al 43% (invece che al 39), i 250mila compresi tra 75mila e i 100mila euro di reddito. Sono 11 milioni di contribuenti colpiti da aggravi di aliquote sul reddito, e gli aumenti partono da una fascia bassissima. Dice Visco che il meccanismo delle detrazioni riequilibra la progressività maggiore introdotta nel sistema: in realtà le detrazioni azzerano la propria portata tra i 40 e i 50 mila euro di reddito. Il colpo basso sul tfrSecondo colpo bassissimo a sorpresa: l'esproprio del Tfr alle imprese. Fino a 24 ore prima del Consiglio dei ministri la stessa Confindustria è stata mantenuta all'oscuro del furto colossale di liquidità che lo Stato compie ai danni dei suoi iscritti e di tutte le altre imprese. Anticipando al 2007 la riforma del Tfr il governo Prodi non farà decollare i fondi complementari privati che servono tanto al mercato finanziario: sapendo che sarà lo Stato a incamerare il 65% dell'inoptato e contando sul fatto che lo Stato stesso certo non fallisce, i lavoratori saranno scoraggiati a optare per i fondi, e alla Tesoreria di Stato passeranno tra i 6 e i 9 miliardi di euro l'anno. È pura contabilità creativa, tanto che la stessa Finanziaria è costretta a mettere le mani avanti perché bisognerà vedere che cosa dirà Eurostat, di queste risorse acquisite dalle imprese allo Stato per finanziare opere pubbliche e incentivi allo sviluppo. Per le imprese è una doppia mazzata: hanno visto ridursi nel 2007 a metà del 60% dei 5 punti promessi lo sgravio Irap poco più dunque del punticino che era stato considerato, quando lo aveva ridotto il governo Berlusco ni - ma in più si vedono rapinate di liquidità nelle loro mani a costo bassissimo. Padoa-Schioppa nella conferenza stampa di palazzo Chigi ha seraficamente osservato che le imprese non hanno da lamentarsi: quelle risorse le possono ottenere dalle banche. A costo più che doppio del 3% del Tfr, però: e con ciò il governo fa contente le banche, mettendosi più che in pari con il minor cuneo fiscale loro negato. Il doppio regalo alla Fiat. Fermiamoci ancora un momento sulle imprese: in Finanziaria tutte vengono deluse e vedremo ora quali più colpite, però ci sono due sorprese-regalo a favore della Fiat. È ovvio che la supertassa sui Suv e il maxisgravio sulla tassa d'immatricolazione dei veicoli ad emissione Euro4 è un regalo indiretto alla Fiat, visto che non produce supercar ed è forte nelle utilitarie. Ma il regalo vero è lo strappo alla riforma Maroni che viene fatto concedendo alla Fiat la mobilità lunga a spese della collettività in deroga alla riforma pensionistica, ciò che giustamente il governo Berlusconi, il ministro Maroni e il sottosegretario Sacconi avevano sempre negato a Torino. Per i signori di Confindustria, veder premiata solo l'azienda del loro presidente è una bella lezione. I farmaceutici si beccano una bella scoppola tutta per loro, visto che si taglia di 800 milioni il loro margine annuale. I concessionari autostradali sono freddati per decreto, dal momento che Di Pietro ottiene la riscrittura imperativa e non contrattata dei meccanismi tariffari sin qui vigenti. Sarà contento Montezemolo, insieme ai sindacati confederali, ma per tutti gli altri imprenditori l'alternativa è tra la notte fonda, e la delusione amara. Veniamo poi al terzo esproprio: quello sul lavoro autonomo. Per l'intera campagna elettorale la Margherita ha predicato che si sarebbero innalzati solo i contributi al lavoro parasubordinato, per lottare contro il precariato. Bugia assoluta: oltre che su parasubordinati di 3 punti, i contributi salgono di oltre 2 punti anche per i milioni di lavoratori autonomi. Salgono persino di uno 0,3% per tutti i dipendenti, tanto per non smentire che il segno della manovra è incassare il massimo di risorse. Ma se si somma la prima mazzata a tutti i redditi medi italiani, la se conda alle imprese che non siano a Torino e producano automobili, la terza all'Italia di chi lavora in proprio, e infine la potatura generale che si dà a tutto il risparmio inalzando al 20% il prelievo sui Bot, plusvalenze azionarie e compravendite di titoli, ecco che il segno politico della finanziaria di Visco diventa inequivocabile. Romano fa contenti i sindacati È una manovra che fa felice Epifani e Montezemolo. Che getta polvere negli occhi di chi vive con 15-20 mila euro l'anno, per carità milioni di italiani rispettabilissimi, ma che per il resto consegna all'Italia la bandiera di unico Paese bolivarista d'Europa. Se pensate che a ciò si aggiungono nuove imposte locali - come la "tassa di scopo" che potranno raccogliere i Comuni per costruire opere pubbliche - che si reintroduce il mussoliniano capo-caseggiato, visto che il condominio diventerà sostituto d'imposta per i lavori fatti in appalto da terzi, se immaginate che cosa potrebbe capitare visto che ogni Comune potrà assumere semplici diplomati per renderli ispettori fiscali e ficcare il naso nei vostri affari, se aggiungete che naturalmente i denari per i contratti dei dipendenti pubblici sono raddoppiati rispetto al "tetto invalicabile" posto inizialmente da Padoa-Schioppa, siete solo a un cinquantesimo degli aggravi scritti nella finanziaria fiscal-comunista che vi aspetta dietro l'angolo. Maurizio Sacconi ha contato 58 diversi aggravi. Io di mio sono a più di 70. E ancora non ho capito bene se davvero possiamo dormire sonni tranquilli sul fronte delle successioni e donazioni, che nel testo della Finanziaria c'erano sotto forma di imposta di registro con franchigia ristrettissima sulla prima casa, e praticamente risibile su tutto il resto con aliquote da incubo. Mi auguro che il centrodestra ora sappia che cosa fare. Ma, in ogni caso, ci dovremo pensare noi, anche e per primi se da soli. Spieghiamolo a tutte le Unioni industriali provinciali di Confindustria, il bel capolavoro che coi loro giornali hanno regalato all'Italia, l'odio riservato a chi cresce di più, scoraggiato, e rapinato dal governo. Mi dispiace ma io lo dichiaro: di fronte a questo, evadere la rapina di Stato è pura autodifesa. Irriducibile battaglia di libertà. *Vicedirettore Finanza&Mercati
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  9. #19
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    "Altro che equità Crescono per tutti pure le tasse locali

    di RENATO BRUNETTA


    Al di là delle contrapposte cannonate sulle misure specifiche che il governo Prodi ha introdotto nella Legge finanziaria per il 2007, misure che metteranno maggioranza e opposizione l'una contro l'altra, da qui fino al voto finale del Parlamento, su una cosa il giudizio di politici, economisti e dei commentatori più autorevoli non può che collimare: con la manovra varata dal governo Prodi aumenterà la pressione fiscale. Una considerazione generale, e due conti sul retro di una busta. Il primo esercizio da fare per valutare la bontà di una manovra di finanza pubblica è, infatti, quello di giudicare nel suo complesso i grandi capitoli dal lato delle entrate e delle uscite, rispetto all'andamento del ciclo economico. Cruciale è la qualità dell'aggiustamento, il mix cioè tra maggiori entrate e minori spese.
    Tante imposte nessun taglio- Il policy maker deve, dunque, porsi il problema sull'opportunità di agire o tagliando la cattiva spesa corrente, piuttosto che aumentando la tassazione, sia essa diretta che indiretta. Questa scelta sulla composizione dell'aggiustamento è lo strumento in mano ai governi per influenzare, assecondare, sostenere oppure deprimere il ciclo economico (con la moneta unica - l'euro - il controllo e la definizione dello strumento della politica monetaria è passato alla Banca Centrale Europea). La pressione fiscale è, così, la misura finale dell'incidenza tra il totale dei tributi (tasse, imposte, accise, ecc.) pagati dal cittadino di uno Stato e il Prodotto interno lordo (il totale della ricchezza prodotta). Questo rapporto più è alto e più drena risorse alla libertà economica. Più è alto, più estende l'intermediazione dello Stato nell'economia, con prevedibili effetti diretti sulle famiglie e sulla crescita. Più è basso e più consente all'economia di "respirare"(entro certi livelli, naturalmente). Tetto record del 43 per cento
    Nonostante sia riconosciuto da tutti gli istituti internazionali di ricerca, e da tutte le organizzazioni internazionali, che l'Italia soffra per un'eccessiva spesa pubblica, con la Finanziaria di Prodi e Visco la spesa non sarà, dunque, tagliata, in compenso la pressione fiscale aumenterà di circa 2 punti e sfiorerà il livello record del 43%. In un colpo solo, infatti, il governo delle tasse di Prodi e Visco fa ritornare la pressione fiscale italiana ai livelli massimi del '97 (quando c'era la tassa per l'Europa). Allora si sfiorò il 44% (43,7%). Ci vollero 8 anni per far diminuire tale valore e portarlo al 40,6% (tre anni di centro-sinistra e 5 anni di centrodestra), nel 2005. C'è l'esigenza di riportare il deficit pubblico sotto il 3%, dicono ora Romano Prodi e Tommaso PadoaSchioppa. Bene, per fare ciò servivano 14,8 miliardi di euro (un punto di Pil), ma la manovra nel suo complesso è ben più corposa: 33,4 miliardi di euro; 18,6 dei quali giustificati genericamente con "politiche a sostegno dello sviluppo". Ecco che allora, per trovare le coperture, il fiscalista del governo, nonché vice-ministro dell'Economia, Vincenzo Visco, si è divertito con un abile gioco delle tre carte a mascherare la stangata fiscale che colpirà tutti gli italiani, siano essi appartenenti ai ceti bassi, ceti medi, che benestanti o ricchi (a proposito per Visco i ricchi sono tutti coloro che hanno un reddito superiore ai 40mila euro lordi). 16 miliardi di nuovi balzelliInfatti, se si somma all'incremento di 3-4 miliardi di euro, prodotto dalla cancellazione della riforma Tremonti sull'Irpef, al netto dei tagli del cuneo e di altre modeste agevolazioni, se si sommano a questi 3-4 miliardi di euro tutti gli altri incre menti stimati e inevitabili (dagli studi di settore per 3-5 miliardi di euro, all'operare nuovamente delle addizionali a livello locale per almeno 5-6 miliardi di euro, a nuove tasse, ticket, balzelli, contributi, accise, catasto, nuova tassazione del risparmio), si arriva ad un incremento netto di gettito (stima prudenziale) di 15-16 miliardi di euro. Oltre un punto di Pil.. Ma l'ipocrisia fiscale di Prodi non finisce qui.
    Proprio i signori del governo, che per anni hanno bollato gli interventi fiscali di Tremonti come finanza creativa, nulla dicono, poi, di fronte a discutibili trasferimenti del Tfr (che è bene ricordare sono soldi dei lavoratori), all'Inps (una operazione di maquillage dei conti pubblici che dovrà trovare l'ok della Commissione europea di Bruxelles), o dell'inserimento di 7 miliardi di euro dal lato delle entrate per effetto di misure anti-evasione e anti-elusione, che per loro natura sono difficili da quantificare ex-ante (e molto aleatorie). Ma ciò che più di tutto preoccupa è "la bomba addizionali". Il governo, non contento della stangata a livello centrale ha, infatti, posto le basi per una stangata locale. Non potendo agire sul controllo della spesa, per accontentare la sinistra radicale, Prodi e Visco hanno tagliato parte dei trasferimenti agli enti locali, concedendo loro, però, maggiori margini di autonomia impositiva. Insomma meno trasferimenti dal centro e mano libera di aumentare Irpef e Ici a livello decentrato. Così si uccide la crescita economica Insomma, inasprimento degli studi di settore, maggiori controlli fiscali, aumento dei contributi previdenziali, aumento delle aliquote Irpef (decise a livello centrale e periferico, più Ici), sono solo alcune delle misure che assieme a quelle ben celate da Visco, negli articoli della Finanziaria, finiranno per deprimere consumi, risparmi ed investimenti per famiglie e imprese, deprimendo la crescita prevista per il 2007. Governare in un periodo di stagnazione dell'economia come ha fatto il governo Berlusconi non è stato facile. Fare quello che sta facendo Prodi e il suo governo, cioè ammazzare la crescita economica a colpi di stangate fiscali, è semplicemente demenziale.
    "


    Saluti liberali

  10. #20
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    dal quotidiano LIBERO di oggi...

    PRODI HA 15 MILIARDI DI EURO

    di GIULIANO ZULIN

    MILANO - Forse abbiamo capito dove andranno a finire i soldi delle nostre tasse. Basta leggere l'articolo 53, primo e secondo comma della finanziaria. C'è scritto che il governo potrà spendere 15 miliardi di euro in tre anni, senza specificare come e per cosa. In sostanza, nel testo che ora è al vaglio del Senato, siamo di fronte a una delega in bianco che i parlamentari dovranno firmare a Prodi & C. Un atto che appare comunque illegittimo oltre che incostituzionale, visto che va contro le leggi di contabilità dello Stato e la Carta costituzionale. Lo dicono proprio alcuni costituzionalisti, tecnici del Parlamento e alti dirigenti della pubblica amministrazione. E il ministro Tommaso Padoa-Schioppa? Ovviamente sa tutto, visto che la manovra l'ha scritta lui. Ma a questi rilievi sembra non voler dare ascolto. Ma vediamo questo articolo, leggermente modificato in prima lettura alla Camera: "Per gli esercizi 2007, 2008, 2009 è accantonata ... una quota, pari rispettivamente a 4.572 milioni, a 5.031 milioni e a 4.922 milioni di euro, delle dotazioni delle unità previsionali di base iscritte nel bilancio dello Stato, anche con riferimento alle autorizzazioni di spesa predeterminate legislativamente". Il testo emendato prosegue poi spiegando che "con decreto del ministro dell'Economia ... possono essere disposte variazioni degli accantonamenti ... anche interessando diverse unità previsionali". E ancora: "Lo schema del decreto è trasmesso al Parlamento per l'acquisizione del parere delle Commissioni competenti - quindi siamo a livello di pareri - per le conseguenze di carattere finanziario". E dire che - come recita l'articolo 76 della Costituzione - "l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo". Senza considerare che la finanziaria non potrebbe contenere norme di delega o di carattere ordinamentale o organizzativo. Ma il bello arriva con il secondo comma dell'articolo 53 della legge di bilancio. "Il ministro competente - si legge - d'intesa con il ministro dell'Economia, può comunicare all'Ufficio centrale del bilancio ulteriori accantonamenti aggiuntivi delle dotazioni delle unità previsionali ... da destinare a consuntivo, per una quota non superiore al 30%, ad appositi fondi per l'incentivazione del personale dirigente e non dirigente". Tradotto: i 15 miliardi di partenza potrebbero salire a 20. E quei cinque miliardi in più dovrebbero finire nelle tasche di "personale dirigente e non dirigente". A voler essere maliziosi si potrebbe inoltre aggiungere che Prodi, con questo articolo, non voglia più passare dal Parlamento per farsi autorizzare le spese, evitando così di finire nella palude del Senato e di scendere a patti con gli alleati, in primis i Ds. Quindici o venti miliardi in tre anni sono infatti una bella dote. I comma incriminati per ora sono passati alla Camera, pur con qualche polemica. Ma a Palazzo Madama c'è chi promette battaglia. Come il senatore della Lega Nord, Dario Fruscio. Già da qualche settimana sta tentando di porre sul tavolo il problema. In via istituzionale ha scritto una lettera-documento al presidente Franco Marini per metterlo in guardia dal rischio di incostituzionalità del provvedimento. Ha invocato il suo intervento per evitare «un'inutile attività, offensiva delle dignità e del ruolo del Parlamento». Ha chiesto «di giudicare irricevibile» il testo della finanziaria uscito dalla Camera o, in subordine, «di espungere», di togliere l'articolo 53. Risultato? Marini ha risposto a Fruscio sostenendo che certe prerogative, le quali "spettano direttamente al presidente del Senato ... sono di ambito differente a seconda che il provvedimento giunga al Senatoin prima o in seconda lettura". Come se un ramo del Parlamento valga di più dell'altro. E comunque "eserciterò queste prerogative ... sulla base del parere che sarà espresso dalla Quinta commissione permanente". Che in realtà si occupa soltanto di saldi, non di giudizi. Fra pochi giorni la manovra arriverà in Aula a Palazzo Madama. E se nessu no interverrà, il governo potrà contare su una delega in bianco da 15 e passa miliardi per i prossimi tre anni. Frutto delle nuove tasse introdotte da Padoa Schioppa e Visco. Qualcuno lo faccia presente al presidente Giorgio Napolitano: visto che per il capo dello Stato la Costituzione «va letta, studiata, imparata e praticata». Se ne ricordi anche quando dovrà firmare la finanziaria.

    Saluti liberali

 

 
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