La morte nell'ultimo giorno del conflitto

Uri, 20 anni, figlio dello scrittore pacifista, ucciso da un missile.
Il padre e la madre: «Aveva una grande anima piena di vita»
GERUSALEMME — Non potrà essere a casa per il prossimo shabbat, come aveva promesso. Perché è lui il ventiquattresimo soldato caduto sul fronte libanese: Uri Grossman. L’esercito ci ha messo più tempo del solito a dirlo. Ha fatto pubblicare, ieri, sui giornali i 23 nomi dei soldati uccisi nella battaglia peggiore dall’inizio di questa guerra, tra venerdì e sabato. Ma ha lasciato una casella vuota. Bisognava fare arrivare la notizia dall’altra parte dell’Oceano, al fratello maggiore in America. Quando il ragazzo è stato informato, allora, quello che molti in Israele avevano già appreso da amici, dai blog, dalle notizie che filtravano dal fronte, ha potuto essere reso pubblico: nella seconda guerra del Libano, colpito nel «suo» tank da un missile anticarro, è morto il figlio di uno dei più celebri scrittori del Paese, David Grossman.
Una moglie molto amata, Michal, tre ragazzi adorati: con Uri, Yonatan e Ruthie. Chi conosce la famiglia Grossman la descrive come molto unita. E forte. Ieri lo scrittore, raccolto con i suoi nella casa alla periferia di Gerusalemme, ha trovato le parole per annunciare la morte del figlio in un comunicato. «Uri Grossman era nato il 27 agosto 1985. Avrebbe festeggiato il suo ventunesimo compleanno tra due settimane. Studiava alla scuola sperimentale. Si è arruolato nell’unità corazzata e ha realizzato il suo sogno di diventare comandante di un tank. Stava quasi per essere congedato dall’esercito, a novembre. Avrebbe girato il mondo, poi studiato teatro. Venerdì pomeriggio ha parlato dal Libano con i genitori e la sorella. Era felice che fosse stata presa la decisione del cessate il fuoco. Aveva promesso che avrebbe mangiato a casa il prossimo sabato... Aveva un favoloso senso dell’umorismo e una grande anima piena di vita e di emozione...». Una tragedia nella tragedia, che colpisce un uomo che è stato da sempre uno dei più convinti sostenitori del dialogo e della convivenza. E che in questa guerra, con un figlio al fronte, aveva faticosamente cambiato idea, appoggiando al principio il conflitto come legittima difesa. Poi, però, dopo la decisione del governo Olmert di estendere le operazioni militari in Libano, era tornato nel campo pacifista. «L’idea che una presenza dell’esercito israeliano oltre il fiume Litani possa prevenire i lanci dei razzi Hezbollah è un’illusione », aveva detto. E aveva raggiunto la sinistra (il partito Meretz) e i pacifisti di Peace Now (organizzazione di cui è considerato il padre intellettuale) nella proteste contro la guerra.
Appena il 6 agosto aveva firmato un appello alla tregua. Con lui gli amici scrittori Abraham Yehoshua e Amos Oz: «L’azione militare ai nostri occhi appare giustificata — avevano scritto —, è autodifesa nei confronti dell’aggressione di uno Stato nemico. Ma a questo punto della guerra ci appelliamo al governo di Israele affinché concordi un cessate il fuoco bilaterale. Perché i possibili obiettivi dell’azione militare sono già stati raggiunti, e non esistono giustificazioni per causare ulteriori sofferenze e spargimenti di sangue». Previsione dolorosamente centrata. Mai come dall’inizio di questa «grande offensiva», che non si è conclusa nonostante l’intesa alle Nazioni Unite, Israele conta tanti caduti tra i suoi soldati. Altri funerali insieme a quello di Uri, domani. Al cimitero, accanto al padre David ci sarà un amico carissimo, che condivide la stessa esperienza: Nahum Barnea, uno dei giornalisti più celebri del Paese, autore con Grossman di un libro lucido e preveggente sulla questione palestinese «Vento giallo» (dell’87). Due destini che si incrociano. Dieci anni fa, suo figlio Yonatan, 20 anni, militare in licenza, tornò a casa per un giorno a Gerusalemme: morì nell’attentato kamikaze all’autobus numero 18. Lo stesso autobus che avrebbero dovuto prendere i figli di Grossman per andare a scuola.
Alessandra Coppola
14 agosto 2006