Le caratteristiche degli attentatori di Londra, come quelle dei giovani che hanno dato vita l’anno scorso alla rivolta islamica nelle banlieues francesi, sono la dimostrazione del fallimento delle politiche di integrazione, peraltro profondamente diverse, messe in atto in quei paesi, nei quali per ragioni storiche l’immigrazione islamica di massa è un fenomeno secolare.
Si è molto insistito nell’analizzare i movimenti interni alle comunità islamiche immigrate, il recupero dell’identità spesso intriso di fanatismo nazionalistico e religioso, mentre si è poco insistito sul problema speculare, quello dell’identità culturale delle società che si ponevano l’obiettivo d’integrarli.
In che cosa, insomma, si chiede a costoro di riconoscersi, come individui, come avviene in Francia, o come gruppi etnici come in Gran Bretagna?
La civiltà europea, che ha tanta difficoltà a riconoscere le sue radici giudeocristiane, che è intrisa di un relativismo da antropologia culturale, si presenta solo come un assetto giuridico, i cui valori di fondo, dei quali non si riconoscono i fondamenti, sembrano evanescenti e irriconoscibili.
Agli islamici si chiede o di rendere altrettanto irriconoscibili i loro, come fa la Francia proibendo l’ostentazione di simboli di riconoscimento, o di mantenere i loro rapporti comunitari come garanzia di una sorta di disciplina tribale all’interno di quella statale, come si fa in Gran Bretagna. E’, insieme, troppo e troppo poco.
Giuliano Amato, che con la legge sulla cittadinanza si propone di definire il modello italiano di integrazione, dovrebbe riflettere su questi fallimenti.
Non è tanto importante stabilire quanti anni ci vogliono per diventare cittadini italiani, quanto sapere quali sono le caratteristiche di un cittadino italiano (e più in generale europeo). Non basta la conoscenza di qualche parola della nostra lingua, che peraltro in alcune regioni non è affatto richiesta, o di concetti generali della Costituzione, ignoti peraltro a tanti italiani.
Quel che servirebbe, forse, è il rispetto per i caratteri della nostra civiltà, che non è fatta solo di norme o di parole e l’accettazione pratica delle conseguenze che ne derivano nella concezione della libertà, delle relazioni tra i sessi, dell’eguaglianza dei cittadini.
Non sono cose facili da misurare, tanto più se il compito è affidato a qualche ufficio della Questura. Anche per questo si dovrebbe impiegare, almeno, un po’ di cautela e di gradualità.
saluti