[center]Il mistero del grifonecenter]
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della triade indoeuropea non giacciono su di uno stesso piano orizzontale: al livello inferiore si colloca la coppia Mitra - Varuna, che incarna la polarità notte / giorno. Mitra è infatti un dio solare, mentre Varuna è associato alla luna che domina le maree con i suoi influssi. Nei secoli successivi ai Veda questa coppia fu sostituita da Shiva e Vishnu (in Nepal vi sono statue raffiguranti un essere misto che partecipa per metà delle sembianze dell’uno e per metà dell’altro). Ancor oggi nel culto indiano figurano gli stessi animali venerati un tempo dai Frigi: con testa leonina viene scolpito Nrishima, l’emanazione di Vishnu, e in ogni tempio dedicato a Shiva c’è la statua di un toro che guarda l’entrata.
Il triangolo sacro agli Indoeuropei si erge verticale e, all’apice, un dio celeste domina sulla coppia inferiore. Ecco quindi che nei testi vedici Indra detiene il supremo potere ed il suo cielo è il regno dell’Aquila che trasporta il nettare degli dei (Soma). Nel più importante sacrificio rituale sono previste libagioni del succo di Soma tre volte al giorno per tre giorni:
< Indra, bevi questo Soma, la spremitura di mezzogiorno che prediligi. Noi lo offriamo a te per la tua gioia, bevi >.

Queste lontane premesse ci introducono alla comprensione del mandala paflagonico della tomba rupestre di Kalekapu. L’architettura della tomba evidenzia la stessa tecnica adottata dai Frigi, si tratta di una costruzione scavata nella roccia e provvista di due colonne sull’apertura a picco sulla parete. Risale al primo millennio a. C. ed è probabilmente una tomba regale appartenente a un pelopide. Di grande interesse sono i bassorilievi che ne adornano la facciata perché esprimono in modo diretto le concezioni religiose dei Paflagoni.
All’apice del frontone troviamo l’Indra paflagonico, non altri che lo Zeus locale impersonato dal rilievo scultoreo di un’aquila ad ali spiegate e di robusta corporatura. In quanto uccello dell’anima, essa è sovente in relazione ai sepolcri anatolici. L’aquila aveva una ben precisa collocazione in ambito frigio, come si deduce dal racconto del nodo gordiano: il rapace si posa infatti sul timone del carro a sancire il potere regale di Gordio; il novello re consacra poi il carro a Zeus e ne annoda il timone in modo talmente stretto e complicato che nessuno riusciva più a scioglierlo. Chi fosse stato capace di aprirlo sarebbe divenuto signore dell’intera Asia ed il macedone Alessandro Magno, che lo fu di fatto, aveva troncato il nodo di Gordio con un colpo di spada.

La coppia antitetica Toro – Leone è posta alla base della facciata. I due animali corrispondono alle divinità Attis e Ponto ed occupano perciò il livello inferiore della triade. Salendo verso l’alto della facciata compare il rilievo di due leoni in lotta fra loro e più sopra una coppia di leoni tranquilli e amichevoli. Questi quattro leoni non sono un soggetto puramente decorativo perché compaiono con gli stessi atteggiamenti in altre tombe ed il messaggio che se ne può trarre, tenendo conto dell’insieme della facciata, è che la direzione ascendente porta ad un processo di armonizzazione del conflitto in cui incorrono i contrari. In un certo senso si ripercorre a ritroso il processo di creazione e differenziazione esposto in precedenza a proposito dei due leoni di Cibele che si erano scissi nella coppia leone – toro.
Esiste ancora un elemento geometrico da analizzare ed è il centro del triangolo, sede del polo mediante il quale l’individuo può ottenere il contatto privilegiato con l’Unità universale. E’ banale il concetto del triangolo uno e trino ed in questo contesto la sostanza unificante risulta nell’entità di Cibele che occupa la superficie del triangolo con la sua grotta (l’atrio su cui si affacciano le due colonne). In posizione appartata sulla facciata ecco un unicorno, con le fattezze corporee di un bisonte e un lungo corno frontale liscio e cilindrico che mira al centro della grotta.
Nei rilievi di Kalekapu il Grifone possiede delle corna caprine. In frigio Attis significa caprone,ma la morfologia delle corna richiama influenze assire benché i confini degli Assiri non abbiano mai inglobato la regione, raggiungendo al massimo la Cilicia. Tradiscono l’influsso frigio il tipo di facciata e l’insieme dei soggetti raffigurati, ma in sostanza l’arte della manifattura è totalmente altra, indipendente espressione degli antichi Paflagoni. In effetti l’opera si può collocare cronologicamente intorno al 700 a.C., cioè quale ultimo messaggio dei Veneti d’Anatolia prima del rovinoso arrivo dei Cimmeri. Il mistero del grifone rampante chiarisce il suo intimo significato nella sintesi e armonizzazione degli eterogenei elementi del ternario: ha corna caprine, ali di grifone e corpo di leone. Elementi tutti che nella tripartizione della cosmogonia anatolica incarnano rispettivamente le montagne, il cielo e il mare. Nel simbolismo dell’anno tripartito (sacro alla grande dea) scopriamo in alternativa l’autunno con la capra, l’inverno col grifone e, come nei testi Veda, la primavera col leone.
Il mandala paflagonico di Kalekapu









Anche presso i Veneti adriatici il grifone aveva una posizione di primo piano. Grifoni e cavalli alati compaiono spesso nelle palette rituali o nei vasi lavorati a sbalzo. Nella situla del museo di Este c’è l’immagine di un centauro alato che uccide con la spada un grifone e subito avanti c’è una creatura con testa umana, corpo felino ed ali ai fianchi; la testa di questa sfinge è maschile, come è consuetudine nell’iconografia frigia. Si può supporre che il centauro impersoni un eroe veneto mentre è impegnato in una impresa pari a quella di Bellerofonte che uccide la chimera.

La Chimera era un mostro dall’alito infuocato e aveva testa di leone, corpo di capra e coda di serpente. Per poterla sconfiggere, Bellerofonte dovette farsi consegnare da Posidone il cavallo alato nato alla fonte perenne dell’Oceano e capace di far sgorgare una sorgente battendo al suolo il suo zoccolo lunato. In groppa a Pegaso, Bellerofonte piombò sul mostro con una nube di frecce e, poiché la Chimera non cedeva, gli conficcò in gola la lancia: il piombo della punta si sciolse con l’alito di fuoco e gocce del metallo fuso scivolarono giù per la gola bruciando gli organi vitali.
Secondo un’ipotesi plausibile, fornita da specialisti di archeometallurgia, il leone alato che sovrasta a Venezia la colonna della Piazzetta possedeva in origine un paio di corna sulla fronte poiché si possono rintracciare i solchi ove poggiavano. La sua criniera ha una morfologia a cascata simile a quella del leone della tomba di Kalekapu e non è un caso. Il leone marciano, che in passato fu l’emblema della Serenissima e oggi da più parti è vittima d’appropriazione indebita, risale alla fine del IV secolo a.C. e fu materialmente trasportato dall’Anatolia.